Bahrain. La repressione non ferma gli investimenti italiani

di Francesca La Bella | nena-news.it

Nuove manifestazioni e nuovi scontri hanno attraversato il Bahrain durante lo scorso fine settimana. Sabato le principali autorità religiose sciite hanno esortato la cittadinanza a partecipare ai raduni in solidarietà con lo sceicco Isa Qassim la cui cittadinanza è stata revocata da Manama a giugno dello scorso anno in quanto accusato di essere alle dipendenze di interessi stranieri e di promuovere settarismo e violenza nel paese.

Le proteste di domenica, però, non si sono limitate ad esprimere solidarietà allo sceicco, ma hanno denunciato il clima di forte repressione di ogni forma di dissenso e la discriminazione perdurante della minoranza sciita. Le notizie sugli eventi sono, però, poche e frammentarie anche a causa della censura ai principali giornali dell’opposizione messa in atto ormai da mesi dal governo.

Nonostante la gravità della situazione, i principali governi mondiali latitano, lasciando orfane le poche voci contrarie alla repressione provenienti dalle associazioni per i diritti umani. L’Italia non si distingue da questo generale disinteresse per le sorti dell’opposizione in Bahrain e, in questi anni, mentre gli attivisti locali ed internazionali denunciavano torture ed arresti arbitrari, le relazioni politiche e commerciali tra i due Paesi hanno continuato a svilupparsi.

Significativo in tal senso è l’accordo firmato a novembre dello scorso anno tra Eni e le compagnie petrolifere bahrainite. Nel comunicato pubblicato dalla stessa Eni si legge che “le autorità del Bahrain hanno chiesto a Eni di studiare e valutare il potenziale di alcuni asset di esplorazione e produzione nel Paese. A tal fine sono stati firmati quattro accordi tra le compagnie di stato Bahrain Petroleum Company (Bapco), Tatweer Petroleum ed Eni”.

Se, secondo alcuni commentatori, la scelta della monarchia bahrainita sarebbe dettata dal tentativo di sfruttare le tecnologie dell’azienda italiana per provare a replicare il successo al largo dell’Egitto con la scoperta del giacimento Zohr, l’apertura agli investimenti esteri risulta funzionale al riequilibrio dell’economia in una fase di caos nel Paese.

L’apertura italiana al Bahrain, pur essendo principalmente commerciale, non si limita, però, alla libera iniziativa di singoli imprenditori. In questi ultimi mesi, infatti, si sono tenuti numerosi incontri istituzionali tra l’ambasciatore italiano a Manama, Domenico Bellato, e membri del governo bahrainita per discutere la possibilità di migliorare i rapporti tra i due paesi.

Analizzando l’incontro tra Bellato e Khalid Almoayed, presidente della Camera del commercio e dell’Industria del Bahrain (BCCI), svoltosi a dicembre, sembra di poter individuare le linee guida di questa rinnovata collaborazione. Se Almoayed ha concentrato la propria attenzione nella presentazione delle potenzialità del Bahrain come mercato di investimento, evidenziandone la competitività, la presenza di infrastrutture avanzate, la posizione strategica ed i servizi offerti agli investitori stranieri, l’ambasciatore italiano ha espresso grande interesse per un incremento degli scambi tra i due Paesi.

In questo senso i successivi incontri tenutisi a gennaio con il ministro del Petrolio Mohammed bin Khalifa bin Ahmed Al-Khalifa e con la presidentessa dell’Autorità del Bahrain per la Cultura e Antichità (BACA) Mai Bint Mohammed Al Khalifa completano il quadro di crescente collaborazione tra i due paesi. La parallela apertura ad una cooperazione in ambito petrolifero con il rafforzamento delle iniziative congiunte tra National Oil & Gas Authority (NOGA) e aziende italiane come TECHNIP e la volontà delle autorità bahrainite di riservare all’Italia un ruolo di primo piano nell’offerta culturale del Paese, mostra l’ampiezza della collaborazione ricercata dai due Paesi.

Per quanto gli scambi tra Italia e Bahrain siano ancora limitati rispetto a quelli con altri partner commerciali, il mantenimento e la volontà di accrescere questa collaborazione, in una fase come quella attuale, costituisce un implicito endorsement delle politiche della monarchia bahrainita con il conseguente isolamento ed indebolimento delle opposizioni interne.