Al fianco delle lotte nelle Università: dagli Stati Uniti all’Italia. Editoriale

di Marco Pondrelli

Molti opinionisti ammettono che in tante università statunitensi sta succedendo qualcosa, che ricorda da vicino le battaglie della fine degli anni ’60 contro la guerra in Vietnam. Paragonare eventi storici è sempre rischioso, perché rischia di annullare le diversità che fra questi movimenti vi sono. È però indubbio che quello che sta succedendo ha una portata molto ampia, che va anche oltre il motivo della protesta, ovverosia la pulizia etnica che Israele sta portando avanti in Palestina.

L’accusa che viene rivolta agli studenti (e che i media italiani ripetono a pappagallo) è sempre la stessa, quella di antisemitismo. Nessuno però dice che fra gli studenti che manifestano in difesa della Palestina ci sono anche studenti ebrei, alcuni dei quali hanno scritto un lettera al quotidiano ‘The Hill’ che si intitola ‘siamo studenti ebrei della Columbia University arrestati per avere protestato contro la guerra di Israele’.

Il primo maggio a Bologna Marx21 ha tenuto una bella e partecipata iniziativa con Moni Ovadia, ebreo che si sta spendendo contro il sionismo e in difesa della Palestina, ovviamente anche su di lui pesa l’accusa di antisemitismo, ma come ci ha ricordato nel suo intervento sono tanti gli ebrei nel mondo che attaccano ferocemente le politiche israeliane.

Se la repressione che sta avvenendo negli Stati Uniti con cariche della polizia e arresti si verificasse in Russia avremmo servizi giornalistici, politici indignati a manifestare davanti all’ambasciata di Mosca e richiesta di nuove sanzioni.

Ma come si spiega una represisone così dura? Negli Stati Uniti nonostante questo sia un anno elettorale e magari a parole qualche politico critichi Israele, nessuno vuole creare problemi al massacro che si sta compiendo sotto i nostri occhi per non urtare la potente lobby israeliana (non ebraica). Inoltre le Università statunitensi vivono grazie alle donazioni dei privati, che non vedono di buon occhio le proteste filo-palestinesi degli studenti. Una cosa simile è accaduta alla Sapienza di Roma, che ha ricevuto una lettera della Fondazione Rothschild la quale ha fatto sapere che la mancata collaborazione con le università israeliane avrebbe comportato un abbassamento del rating internazionale con un danno per l’ateneo romano.

Abbiamo già denunciato l’appiattimento accademico sulle politiche atlantiste rispetto al conflitto ucraino, quello che sta succedendo oggi non fa che confermare queste preoccupazioni. Francesca Albanese ha titolato il suo bellissimo libro J’Accuse, questo era il titolo dell’articolo che costò la condanna ad Émile Zola per avere difeso il capitano Dreyfus condannato perché ebreo. Quello che ci ricorda Francesca Albanese è che gli intellettuali devono schierarsi, questo può voler dire uscire dalla grazie dell’informazione mainstream è magari, come è successo a Francesca Albanese o Elena Basile, non essere più ospite dei salotti televisivi ma l’alternativa è tradire il proprio ruolo in cambio di qualche prebenda.

Salutiamo con favore che anche in Italia ci siano tante giovani e tanti giovani che non si fanno influenzare da un’informazione corrotta e hanno il coraggio di battersi per le proprie idee. Come sempre sentiremo dire che questi sono una piccola minoranza che vuole bloccare il funzionamento degli atenei, la verità è che la minoranza è oggi rappresentata dalla politica istituzionale e dall’informazione mainstream. Sono gli stessi che parlano di ‘comunità internazionale’ facendo riferimento a una piccola minoranza di Paesi e di popolazione, gli studenti italiani stanno dimostrando che i tempi stanno cambiando.

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