Marzo 2001: distruzione dei Buddha di Bamiyan

di Maria Morigi

Il 2 marzo 2001 la dinamite esplode nella Valle di Bamiyan, si sentono colpi di artiglieria, sono piazzate mine anticarro, vengono lanciati razzi contro i Buddha giganteschi. Al 12 marzo le statue sono distrutte, senza spettatori, come invece piacerà esibire ai terroristi dell’IS-is. 

I Buddha della Valle di Bamiyan, Patrimonio dell’Umanità e simbolo di Pace globale buddhista, erano sopravvissuti ai conquistatori islamici, al passaggio delle armate di Gengis Khan e alla guerra del 1979-1989  tra Repubblica Democratica dell’Afghanistan, sostenuta dall’Unione Sovietica, e Mujaheddin sostenuti dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali. 

Fino al 1998, la Valle di Bamiyan era sotto il controllo delHezb-e Wahdat-e Islami Afghanistan (Partito dell’Unità Islamica dell’Afghanistan), fondato nel 1989 da parte dell’Alleanza del Nord, coalizione di resistenza antisovietica che combatté i Talebani durante la guerra civile e che fu sconfitta dai Talebani nelle battaglie di Mazar-i Sharif, tra 1997 e 1998. Già durante le battaglie di Mazar-i Sharif alcuni leader talebani avevano espresso l’intento di far saltare i Buddha di Bamiyan.

Tuttavia, nel luglio del 1999 l’intervento del Mullah Omar, capo supremo dei Talebani, fermò la distruzione emanando un decreto: “il governo considera le statue di Bamiyan fonte di introiti per i visitatori internazionali in Afghanistan. I Talebani dichiarano che le statue di Bamiyan dovrebbero essere non distrutte bensì protette”. 

Solo due anni dopo il 27 febbraio 2001, i Talebani dichiararono ufficialmente che le statue sarebbero state distrutte. L’Organizzazione della cooperazione islamica (OIC) con tutti i 54 paesi membri di allora si unì alle proteste di chi chiedeva di salvare i Buddha. Il presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, inviò una delegazione per trattare, disse che i musulmani non dovrebbero distruggere gli dei di altre religioni, che quelle statue erano più antiche dell’Islam stesso, che nessun musulmano aveva mai pensato di distruggerle. Per l’ex re dell’Afghanistan, Mohammed Zahir Shah, la distruzione andava contro gli interessi del popolo afghano. L’India si offrì di trasferire i Buddha sul proprio territorio nazionale.

Non ci fu niente da fare: la decisione di distruggere i Buddha venne presa in base all’interpretazione fondamentalista dell’Islam, e cioè che la religione proibisce la rappresentazione della figura umana e non ammette idoli di altre religioni.

Se apparentemente le ragioni della distruzione erano religiose, in realtà furono conseguenza della situazione politica internazionale. Secondo il New York Times (18 marzo 2001) i Talebani ordinarono la distruzione dopo la visita di una delegazione di inviati europei e dell’Unesco che avrebbero offerto risorse per proteggere i Buddha. I Talebani si sarebbero sentiti offesi per l’offerta occidentale, perché preferivano ricevere fondi per sfamare la popolazione sfiancata dalla guerra civile. 

Sayed Rahmatullah Hashimi, ambasciatore talebano che partecipò alla trattativa, fece questa dichiarazione: “Quando i tuoi figli muoiono davanti a te non ti interessi delle opere d’arte […] Se distruggete il nostro futuro con sanzioni economiche significa che non v’importa  del nostro patrimonio culturale. Avremmo potuto distruggere le statue tre anni fa… Perché non lo abbiamo fatto? Nella nostra religione, se qualcosa non nuoce, lo lasciamo stare. Ma se il denaro va alle statue mentre i nostri bambini muoiono di fame, allora questo le rende nocive, quindi le distruggiamo”.

E, oltre al risentimento dei Talebani per l’offerta economica per la protezione delle statue in un momento di forte crisi umanitaria, ci sono altre motivazioni: 

  1. -le sanzioni che l’Onu impose all’Afghanistan nel dicembre del 2000; 
  2. – la mancata reazione della comunità internazionale in seguito ai provvedimenti coi quali il Mullah Omar bandì la coltivazione dell’oppio (ricchezza dei contadini afghani); 
  3. – la protesta nei confronti delle Nazioni Unite per aver consegnato il seggio di delegato dell’Afghanistan all’ex presidente Rabbani, piuttosto che a un membro dei Talebani, malgrado all’epoca questi ultimi controllassero il 90% del paese. 

Mi si dirà che questa “difesa” delle ragioni dei Talebani è tardiva ed inutile, però io preferirei che in questo, come in tanti altri casi di attualità, le ragioni dei “cattivi” venissero prese in considerazione, piuttosto che procedere per direttissima e senza mezzi termini alla demonizzazione del nemico dell’Occidente. E da cultrice del Patrimonio buddhista ed islamico in Asia, mi rammarico della cecità internazionale che, secondo il mio parere, non solo non opera per la pace, ma è più grave anche di qualsiasi violenza ideologica o religiosa.

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