
di Giuseppe Amata
L’interessante editoriale di Francesco Maringiò, pubblicato domenica 4 dicembre da questo sito, mi sollecita ad allargare il discorso nella convinzione che divenga tema di ulteriore approfondimento.
1. Nelle ultime settimane si sono manifestate apertamente le insofferenze di molti politici, circoli finanziari e tecnocrati europei per la situazione economica in cui sta sprofondando l’Unione Europea. Da un lato, il viaggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Pechino, con al seguito un’elevata presenza di industriali e finanzieri per sviluppare un costruttivo rapporto economico con la Repubblica Popolare Cinese (ma non tutto il suo governo ha approvato questa iniziativa, anzi Verdi e Liberali cercano costantemente di sabotarla, schierati a sostegno degli Usa e del governo ucraino), seguito qualche settimana dopo da quello del presidente del consiglio dell’Unione Europea Charles Michel (il quale con presunzione ha invitato Xi Jinping a fare pressione su Putin per chiedere il ritiro delle truppe dal Donbass). Dall’altro lato, il viaggio del presidente francese Macron negli Stati Uniti nei giorni scorsi con franche dichiarazioni, nelle quali si ammette esplicitamente che, dalla situazione di contrasto tra la Nato e la Russia e di fatto dalla guerra per procura in Ucraina, l’Unione Europa sta diventando economicamente la più danneggiata, mentre gli Stati Uniti ne hanno tratto grande vantaggio.
Queste manifestazioni più appariscenti del malumore europeo non assolvono certamente i leader dell’Unione dalle gravi responsabilità che hanno avuto negli ultimi trent’anni nel costruire una politica fondamentalmente aggressiva verso la Federazione russa seppur mascherata da vantaggiosi accordi economici (nel settore petrolifero e del gas soprattutto), nella fase precedente all’inizio della “Operazione militare speciale”,.
2. Prima di mettere in evidenza queste gravi responsabilità, desidero fare un accenno alla situazione militare in Ucraina.
Più di un mese addietro, il comandante delle forze militari russe dispiegate a sostegno delle repubbliche popolari del Donbass, generale Serghei Surovikin, ha fatto sapere che era giunta l’ora delle decisioni difficili. Le decisioni difficili si sono concretizzate nel ritiro dalla città di Kerson, dato che gli ucraini hanno impegnato sul campo una forza numerica di soldati nettamente superiore, e nella riorganizzazione degli altri fronti dando vita a nuova offensiva che appare vincente nelle regioni dell’est e del Sud, tanto da far dire al comandante dello Stato maggiore delle forze Usa che è giunto il momento di avviare trattative di pace, perché gli ucraini con la forza non sono in grado di riprendere i territori conquistati nei primi nove mesi di guerra dalle milizie popolari con l’appoggio delle Forze armate della Federazione russa.
3. La prima grave responsabilità dell’Unione Europea consiste nell’aver avviato la guerra alla Serbia nel 1999 in appoggio alla politica americana sotto l’egida della Nato e violando il diritto internazionale e lo statuto delle Nazioni Unite.
La seconda nell’appoggiare sotto copertura Nato la guerra americana in Afghanistan.
La terza, nel sostenere gli Usa nella guerra in Iraq, seppur con qualche distinguo di Francia e Germania.
La quarta nello schierarsi in prima fila (e gli americani in seconda) nell’aggressione alla Libia per rovesciare Gheddafi.
La quinta nel sostenere il colpo di Stato, iniziato con la sommossa in piazza Maidan a Kiev, per rovesciare il legittimo presidente ucraino Victor Yanukovych ed eleggere Petro Poroshenko come presidente provvisorio, da parte di un parlamento ridimensionato con l’arresto di alcuni oppositori al colpo di Stato e con le assenze di coloro che per paura di essere arrestati si sono dileguati. Da quel momento i governi europei e la Commissione Europea hanno sostenuto il governo fantoccio nella repressione del popolo del Donbass e soltanto quando le forze popolari organizzate hanno respinto l’offensiva e hanno costituito le repubbliche popolari, mentre il popolo della Crimea, a sua volta, esercitando il diritto all’autodeterminazione (previsto dalla Carta delle Nazioni Unite) ha aderito alla Federazione russa (cosa del tutto ovvia, per la sua storica appartenenza alla Russia) Germania e Francia sono stati i promotori per ricercare un compromesso, poi sancito con gli accordi di Minsk. Tuttavia, se Francia e Germania hanno firmato gli accordi di Minsk, non sono stati per nulla garanti di quegli accordi e hanno lasciato fare il governo ucraino per sabotarli. D’altra parte i governi dei Paesi aderenti all’Unione Europea hanno appoggiato la politica aggressiva del governo ucraino ed hanno favorito l’integrazione di fatto delle sue forze armate nella Nato, protesa a spingersi sempre più verso i confini della Russia.
La sesta nell’approvazione da parte del Parlamento europeo nel 2019 della risoluzione che equipara nazismo e comunismo e che sancisce la politica revancista di molti settori europei, politica bloccata dal 1945 agli anni Ottanta, quando, sulle debolezze e incapacità di Gorbacev (perdonate questi eufemismi!) e sul dissesto degli apparati statali dei Paesi dell’est e della stessa Unione Sovietica, ha trovato nuovo vigore per emergere e diventare una forza dirompente dei vecchi equilibri.
La settima nel rifiutare le garanzie di sicurezza collettiva tra Russa e Paesi aderenti alla Nato, chieste da Putin ben due mesi prima dell’inizio della “Operazione militare speciale”.
L’ottava grave responsabilità, infine, è consistita nel rifiutare di prendere in considerazione a livello diplomatico le richieste avanzate dalla Russia al governo ucraino e quindi alla Nato che lo ha sempre sostenuto. Non solo, ma l’UE ha risposto a quelle ragionevoli richieste diplomatiche (riconoscimento del diritto del popolo del Donbass all’autodeterminazione, denazificazione e smilitarizzazione del territorio ucraino) con la politica delle sanzioni e con l’avvio di una guerra generalizzata contro la Russia, sia a livello economico e sia a livello mediatico, nonché con l’ulteriore sostegno economico e militare al governo ucraino che violava i più elementari diritti di libertà, mettendo fuori legge tutti i partiti d’opposizione oltre a quello comunista, già messo al bando dopo il colpo di Stato del 2014.
4. Queste specifiche responsabilità sono figlie della struttura economica e della sovrastruttura ideologica, politica e culturale sulle quali si regge l’Unione Europea con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e successivamente con la nascita dell’euro il 1° gennaio del 1999, con la circolazione della moneta unica il 1° gennaio 2002 e con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
E pensare che in origine, col Mercato Comune Europeo e con il passaggio alla fase due, cioè la creazione della Comunità Economica Europea, i principali monopoli europei cercavano certo di allargare i mercati di sbocco per i loro prodotti, ma tenevano però conto della realtà politica scaturita dalla lotta anti-nazifascista e dei vincoli scaturiti dal Patto atlantico, dalla Nato e dalla guerra fredda imposta dagli Stati Uniti, non solo per impedire che le lotte popolari in Occidente per la trasformazione sociale si saldassero con gli interessi strategici dei Paesi avviati al socialismo, bensì anche per tenere sotto il loro controllo economico, politico e militare tutta l’Europa occidentale.
I monopoli di allora, dopo l’avvio della ricostruzione economica e con la fase di boom, pensavano di allargare le loro sfere di influenza promuovendo relazioni di reciproco vantaggio con l’Unione Sovietica e i Paesi aderenti al Patto di Varsavia, sulla base dei principi della coesistenza pacifica e non sulla modifica del quadro geo-politico.
Quando Giovanni Gronchi, presidente della repubblica italiana, nel dicembre del 1960 si recò a Mosca, capeggiando una nutrita delegazione, nella quale facevano parte rappresentanti dei principali monopoli pubblici e privati (Eni, Iri, Fiat, Montecatini, ecc), firmò importanti accordi economici ma non mise in discussione l’appartenenza dei rispettivi Paesi a campi economici e politici diversi.
Analogamente, il presidente francese Charles De Gaulle, dopo aver riconosciuto nel 1964 la Repubblica Popolare Cinese, nel 1965 è andato in Cina e in Cambogia. L’anno successivo, se ricordo bene, è andato in Unione Sovietica visitando alcune importanti città e località in ricordo di epiche battaglie antinaziste. E in occasione di quel viaggio dichiarò che l’Europa andava dall’Atlantico agli Urali e quindi bisognava rafforzare sia i rapporti politici che quelli economici.
Nel 1970, il cancelliere tedesco Willy Brandt avviò la ost-politik che permise a Repubblica federale tedesca da una parte e Unione Sovietica e Paesi dell’Europa orientale dall’altra di realizzare importanti accordi economici.
Certo, tra Est e Ovest sul terreno di una ventennale collaborazione in Europa, nella seconda metà degli anni Ottanta nacquero anche clamorose illusioni che portarono a tragici errori. Gorbacev, ad esempio, partendo dall’idea di De Gaulle, parlò di realizzare la “Casa comune europea”, smantellando frettolosamente, e senza garanzia di reciprocità della controparte Nato, il Patto di Varsavia. Comunque, fino alla prima metà degli anni Ottanta, l’allora Comunità economica europea non mise mai in discussione gli Stati e le frontiere scaturiti dalla guerra contro il nazifascismo, come fece dopo il 1989, cominciando dalla Jugoslavia.
5. Ed infatti, l’Unione Europea sin dal 1992 è stata concepita come terzo polo imperialista in costruzione per la spartizione del mondo con Stati Uniti e Giappone dopo il crollo dell’Unione Sovietica (ovviamente Giappone e Unione Europea come soci di netta minoranza rispetto agli Usa). Forte del successo politico la triade (Usa, UE e Giappone) non pensava, in quel momento, che nell’arco di un decennio la Cina avrebbe impensierito con il suo grande balzo economico l’imperialismo internazionale e la Russia si potesse sollevare dal disastro economico e politico generato da Eltsin, quest’ultimo contraccambiato con grandi elogi personali. Tanto è vero che la Banca centrale europea è stata architettata non come un ente di diritto pubblico, la cui stragrande maggioranza del pacchetto azionario andava in mano del capitale pubblico (come era una volta la Banca d’Italia), bensì come un ente di diritto privato con la stragrande maggioranza del pacchetto azionario nelle mani del capitale finanziario privato, a cui però si affidava una funzione di pubblico interesse con la stampa e il controllo della circolazione della moneta unica.
Per queste ragioni, l’Unione Europea cercava sempre l’espansione verso est e verso quella parte di continente africano in passato sotto l’influenza sovietica. L’espansione verso Est, però, avveniva sotto il controllo degli Stati Uniti, i quali con la guerra alla Serbia, dopo lo smembramento della Jugoslavia, avevano esteso il dominio sui Balani inglobandoli nella Nato ed allargando questa Alleanza a tutto l’est europeo e alle repubbliche baltiche ex sovietiche. Se l’Unione Europea dimostrava di avere una grande forza di attrazione economica nell’espansione ad Est, superiore a quella degli Stati Uniti, si trovava però con le mani legate sul piano politico e militare, in quanto i governi di tutti i Paesi dell’est si sentivano più garantiti dagli Stati Uniti.
6. Con la grande crescita economica della Cina, già nel primo decennio del nuovo secolo, e con la presidenza di Putin in Russia, inizia una lenta inversione di tendenza nei rapporti internazionali che porta alla realtà dei nostri giorni. Realtà che evidenzia il declino del mondo unipolare americano (con le appendici dell’Unione Europea e del Giappone, il cui sogno di rinascita imperiale era già svanito con la crisi finanziaria in Asia nel 1997) e la nascita della multilateralità, fondata su nuove relazioni interstatali sulla base del principio del reciproco vantaggio. La nuova fase è basata sulla non interferenza negli affari interni dei singoli Paesi e si è avviata con il Trattato di Shanghai (ora allargato a tanti Paesi) e proseguita con la costituzione dei Brics (attualmente in formato più) e con la nascente Zona economica euroasiatica (Russia ed ex Repubbliche sovietiche).
L’Unione Europea, quindi, attualmente, è prigioniera delle sue trame costitutive e delle contraddizioni che si sono determinate nel mondo e se alcuni leader dei governi che vi aderiscono manifestano adesso alcune insoddisfazioni, altri invece (come la Von der Leyen e Borrell) proseguono imperterriti legati al carro americano e minacciano la Russia e anche la Cina di ogni punizione terrestre. Tuttavia, sia i lamenti degli uni che le arroganze degli altri, oppure le false promesse di tutti verso i loro popoli e verso gli altri popoli non rappresentano altro che l’antico canto delle sirene e nulla possono fare per modificare la situazione in cui l’Unione Europea sta sprofondando
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