di Alessandro Berlmonte
da https://alessandrobelmonte.it
All’alba del 24 febbraio 2022, Vladimir Putin, nonostante sia da tempo malato ed in fin di vita, spinto dalla sua sete di potere e dal sogno di ricreare l’impero russo, decide di attaccare l’Ucraina, culla della civiltà occidentale ed esempio compiuto di democrazia liberale. L’attacco, oltre che nella follia omicida dell’ex spia del Kgb, è sicuramente da ricercarsi nella paura che i russi possano prendere esempio dai vicini ucraini e decidere di liberarsi dalla peggiore autarchia mai esistita nel corso della storia.
I piani di conquista del nuovo Zar di Russia si infrangono contro la valorosa resistenza del popolo ucraino che, con armi rudimentali e spirito di abnegazione, guidato dall’eroico presidente Volodymyr Zelensky, riesce a tenere testa ad un esercito russo ormai allo sbando il quale, incattivito dalla sconfitta, uccide barbaramente i bambini; violenta le donne; spara su case, teatri ed ospedali; compie stragi di civili indifesi; bombarda addirittura una centrale nucleare pur avendone preso il possesso e distrugge un gasdotto di sua proprietà.
In questo scontro tra l’Occidente democratico ed i barbari venuti dall’Est, ogni sincero democratico ha l’obbligo di sostenere la resistenza ucraina in ogni modo possibile affinché essa possa ricacciare entro i propri confini l’invasore e salvare così il mondo libero. Ciò che accade all’Ucraina, accade a tutti noi!
Questa è la Verità. Questa, l’unica versione possibile. Chiunque provi ad abbozzare una critica a tale impostazione verrà subito deriso e tacciato di putinismo. L’Istituto Luce non ammette repliche, dubbi o tentativi di analizzare il contesto in cui questa guerra, questa terribile guerra che rischia di sfociare nella Terza Guerra Mondiale, abbia avuto inizio. Né è possibile accennare ad una via d’uscita diplomatica. L’unico esito possibile è la vittoria sul campo dell’esercito ucraino contro l’invasore. Costi quel che costi!
Ma è davvero questa l’unica chiave di lettura possibile? Si può ridurre il tutto a categorie psicologiche dando del pazzo criminale a Putin?
Io credo di no. Penso che qualsiasi conflitto abbia sempre un’origine più complessa, la cui conoscenza sia fondamentale per la formazione di un’opinione che non sia influenzata solo da fattori immediati che rispondono inevitabilmente a ragioni di tipo emotivo.
Nel caso di specie, sono convinto che tali ragioni vadano ricercate, rimanendo solo alla storia recente, in ciò che è avvenuto in Ucraina da fine 2013 ad oggi. Per questo motivo ho deciso di ripercorrere tali avvenimenti attraverso una serie di post sul mio blog. Nel farlo, proprio per evitare qualsiasi accusa di fake news, utilizzerò come unica fonte l’archivio di La Repubblica. Quotidiano che, di certo, non può essere accusato di simpatie putiniane.
Nel primo post ripercorreremo il periodo compreso tra metà novembre 2013 e fine febbraio 2014 ossia il periodo che va dalla decisione del presidente in carica Viktor Yanukovich di interrompere le trattative per l’ingresso dell’Ucraina nell’UE e la sua destituzione a seguito delle proteste di piazza con la nomina di un nuovo presidente e di un governo provvisorio.
Le domande che lasceremo irrisolte sono: siamo di fronte ad una rivolta di popolo o ad un colpo di Stato? Vi sono state ingerenze esterne? Vi è stata una brutale repressione delle forze di polizia nei confronti di manifestanti pacifici? In piazza erano presenti frange di estrema destra e qual è stato il loro ruolo?
Passiamo quindi alla semplice cronaca dei fatti.
Il 13 novembre del 2013, iniziano ad intravedersi i primi segnali di retromarcia del governo in carica rispetto all’ipotesi di sottoscrivere l’accordo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. «Alla fine la “sorella minore” non ha resistito ed è ormai sul punto di tornarsene a casa. Il sogno di molti Paesi membri della Ue di agganciare l’Ucraina separandola dall’influenza politica ed economica della Russia di Putin è ormai pressoché svanito. La conferma è arrivata ieri pomeriggio alla Rada, la sede del Parlamento di Kiev, quando una lunga interminabile discussione si è conclusa senza nemmeno prendere in esame la legge che avrebbe dovuto liberare Yiulia Tymoshenko, ex icona della rivoluzione arancione, diventata la merce di scambio per un accordo tra Kiev e Bruxelles che avrebbe cambiato equilibri strategici e militari antichi di secoli. Proprio la Tymoshenko, dalla sua camera sorvegliata d’ospedale, ha capito che la situazione ha ormai ben pochi sbocchi e invitato i suoi seguaci a trasformare in una grande giornata di protesta il 24 novembre, data in cui Kiev avrebbe dovuto firmare lo storico accordo di associazione alla Ue» (Ue addio, l’Ucraina sceglie la Russia e la Tymoshenko resta in carcere).
Il 20 novembre 2013, tale decisione diventa ufficiale. «Niente ricovero all’estero per Yulia Tymoshenko e accordo sospeso con la Ue. L’Ucraina sfida l’Unione europea in due mosse: mentre il governo, riferisce l’agenzia Interfax, stabilisce per decreto di sospendere il processo di preparazione per la firma dell’accordo di associazione, che sarebbe dovuta avvenire al summit di Vilnius in programma il 28 e 29 novembre, il Parlamento ucraino, la Rada, boccia tutte e sei le proposte di legge che avrebbero permesso di liberare in anticipo la leader dell’opposizione, condizione posta dall’Ue per andare avanti con l’integrazione» (Ucraina sfida UE: dice no a trasferimento Tymoshenko e sospende accordo).
Il 24 novembre 2014, molti cittadini rispondono all’appello della Tymoshenko. Fin da subito però la piazza appare molto variopinta. «Ma insieme ai fan di Yiulia c’era un po’ di tutto: i nazionalisti di “Svoboda” e di altre formazioni con i capelli rasati e inquietanti similsvastiche sulle maniche; l’onnipresente gruppo femminista delle Femen, per l’occasione a seno coperto; i sostenitori di Udap, il partito fondato dall’astro nascente della politica locale, l’ex campione del mondo di pugilato Vitalyj Klitcko. Tutti a gridare insieme slogan contro “la banda al potere” e appelli alla Ue: «Non lasciateci strangolare da Putin» (L’Ucraina in piazza: vogliamo l’Europa).
Nel corso delle successive giornate di protesta. I gruppi più estremisti prendono via via il controllo della piazza, si impossessano del municipio di Kiev e della sede dei sindacati, fino a giungere all’abbattimento e decapitazione di una statua di Lenin. Un atto tanto violento quanto simbolico che fa il giro del mondo insieme alle immagini dei primi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. «Previsioni difficili sugli sviluppi della protesta, ma la tensione in piazza è tangibile. La liberazione della Tymoshenko è tra le richieste dei manifestanti, che protestano contro il mancato accordo di associazione alla Ue in cui vedono garanzie per i diritti umani. Una piazza democratica, ma non mancano frange più inquietanti di nazionalisti anti russi» (Kiev, Lombardozzi: “Piazza democratica insieme a nazionalisti antirussi”). «Tra la folla sventolano le bandiere blu stellate dell’Ue e quelle gialle e blu dell’Ucraina. Sono sparite quelle dei partiti dell’opposizione, ma non quelle rosse e nere dell’Upa, l’Armata insurrezionale d’Ucraina che durante al Seconda guerra mondiale appoggiò l’invasore nazista» (Ue-Ucraina, niente accordo. A Kiev monta la protesta). «Gli attivisti del partito nazionalista di opposizione Svoboda (libertà) hanno preso possesso del municipio di Kiev. Hanno rotto i vetri e sono entrati. Lo ha reso noto il loro leader, Oleg Tiagnibok da un palco improvvisato in piazza Maidan, cuore della protesta pro Ue. “Dislocheremo temporaneamente il nostro quartier generale nell’edificio, poi lo trasferiremo in via Bankovskaya” ha dichiarato. In precedenza gli attivisti avevano occupato la sede dei sindacati» (Ucraina, teste di cuoio in azione: cariche e manganelli. Manifestanti occupano municipio). «Un gruppo di giovani incappucciati, avvolti nelle bandiere gialloblù del partito nazionalista e antisemita “Svoboda” (Libertà) ha cacciato a urla e spintonate i pochi poliziotti che sorvegliavano il gigantesco Lenin scolpito nel marmo rosso al centro del viale Kreshatik, di fronte all’ ingresso dei Mercati Generali. Prima, cavi d’acciaio e un camion per abbattere il monumento in pochi minuti; poi una furiosa demolizione con spranghe e martelli in un crescendo di violenza, insulti e minacce: «Il prossimo sarà Yanukovich». Ce n’è abbastanza per far temere una reazione da parte degli agenti che dopo le eccessive violenze della settimana scorsa continuano a rispettare l’ordine di evitare gli scontri. Ma la piazza è sempre più affollata e incontrollabile. E ci sono i soldati (tra di loro si chiamano proprio così) del partito Udar (colpo) dell’ex campione del mondo di pugilato Vitali Klitschko. Gareggiano con quelli di Svoboda a chi ha l’aria più da duro. Hanno bandiere rossonere ma si notano di più le croci teutoniche sui loro giubbotti. Portano caschi e strani guanti imbottiti. Si occupano, dicono, di prevenire le violenze, e si dislocano tutto attorno ai palazzi del potere, tra Presidenza, Parlamento e Consiglio dei Ministri. Sfidano lo sguardo dei poliziotti, consultano continuamente i telefonini in attesa di ordini dal loro leader» (Kiev, l’onda del 500 mila abbattuta la statua di Lenin. E ora tocca a Yanukovich).
Intanto, compaiono anche le prime armi. «In viale Khreshatik dei manifestanti appartenenti a un gruppo paramilitare hanno a loro volta accusato quattro giovani armati di spranghe e bastoni di essere dei “provocatori” e sono venuti alle mani con loro, poi uno dei paramilitari ha afferrato uno dei quattro per il bavero della giacca e lo ha minacciato con una pistola» (Ucraina, polizia sfonda le barricate dei manifestanti europeisti).
Fino a metà dicembre si alternano tentativi di mediazione a fasi di repressione. Intanto, tra i leader della protesta, la gestione della piazza sembra essere saldamente in mano al capo della forza neonazista Svoboda. «Qualche opinionista raffinato li ha paragonati a Marat, Danton e Robespierre. Ma la piazza li identifica più semplicemente in “Il Codardo”, lo “Scemo” è il “Cattivo”, personaggi de “La prigioniera del Caucaso”, una esilarante commedia cinematografica che fece impazzire milioni di sovietici negli anni Settanta e che ancora viene replicata spesso in tv. Il “Codardo”, (almeno per gli altri) è Arsenij Yatsenjuk, economista di 39 anni. Azzimato professionista dall’aria delicata e la battuta pungente, fa di fatto le veci della sua leader Tymoshenko. Prova a predicare moderazione ma dal carcere il suo Capo lo scavalca spesso invocando una «lotta fino all’ultima risorsa contro la dittatura». Lo “Scemo” (solo per gli avversari) è il più seguito dai giornali internazionali. Si chiama Vitalij Klichko e la gente lo ama come Mr. Pugno di Ferro, soprannome meritato quando si è aggiudicato il titolo mondiale dei pesi massimi con un numero di vittorie per Ko secondo solo a quello di Rocky Marciano. È entrato in Parlamento con il suo partito Udar (Colpo) che gli altri considerano con snobismo un partito populista e qualunquista che cavalca la disperazione per la crisi economica e il sempre vivo sentimento anti-russo. Ieri è stato il primo dei tre a dire no a ogni trattativa: «Con l’ennesima azione violenta, Yanukovich ha spazzato via ogni possibilità di compromesso». Ma il più inquietante e imprevedibile è ovviamente il “Cattivo” (anche per i suoi) Oleg Tjagnybok. Medico, 45 anni, ha il dieci per cento di seggi in Parlamento con il suo partito Svoboda (Libertà) e ha fornito l’ossatura logistica per la protesta. Sostiene di odiare i russi e gli ebrei che per lui sono la stessa cosa. Tanto da essere inserito dal governo di Israele tra i dieci politici più antisemiti d’Europa. I suoi uomini, reduci da campi di addestramento militari nei Carpazi, portano simboli simil nazisti e gestiscono la logistica della piazza con cucine da campo e tende militari. Sono i suoi seguaci arrivati, da Leopoli e dalla zona più anti russa d’ Ucraina, a organizzare le difese e ad arricchire le barricate di ghiaccio con matasse di filo spinato. Sono spavaldi e si dicono pronti a menare le mani con la polizia. In piazza qualcuno si esalta, altri temono il peggio» (Kiev, barricate di ghiaccio per salvare il sogno europeo).
Dopo una sorta di tregua natalizia, a metà gennaio le proteste riprendono e si caratterizzano per l’estrema violenza. Appare ormai evidente come siano egemoniche le frange più estremiste che, di fatto, bloccano ogni tentativo di compromesso. «Molte le bottiglie incendiarie scagliate da alcuni manifestanti, incendiati almeno tre mezzi blindati. I gruppi più violenti hanno attaccato e devastato tre pullman delle forze dell’ordine, uno dei quali è stato dato alle fiamme. Tutto è cominciato quando una parte dei dimostranti ‘europeisti’ ha lasciato piazza Maidan e ha cercato di forzare i cordoni di polizia per raggiungere la zona dei palazzi del potere. In prima fila molti dimostranti ultranazionalisti» (Ucraina, scontri a Kiev tra manifestanti e polizia. Nasce una commissione per cercare un accordo). «Sono ripresi violenti gli scontri in Ucraina fra dimostranti anti-governativi e la polizia. Nel centro di Kiev, un corteo non autorizzato che si era avviato verso il Parlamento è degenerato: ci sono stati lanci di pietre, molotov e fumogeni, e sono stati incendiati 5 furgoni della polizia, che ha risposto coi cannoni d’acqua. I feriti, dalle due parti, sarebbero un centinaio. Uno dei leader dell’opposizione, il pugile Vitali Klitschko, ha incontrato Viktor Yanukovich, al centro delle proteste dei manifestanti, e ha detto che il presidente è pronto a parlare con l’opposizione. Ma non è chiaro se questo riuscirà a fermare la protesta» (Nuove proteste dell’opposizione. 100 feriti negli scontri con la polizia). «Iulia Timoshenko torna a vestire i panni della Giovanna d’Arco ucraina. Mentre gli altri capi dell’opposizione condannano l’attacco alla polizia da parte di migliaia di manifestanti antigovernativi e gli scontri nel centro di Kiev, che hanno fatto circa 200 feriti e che continuano senza sosta dal primo pomeriggio di ieri, l’ex ‘pasionaria’ della Rivoluzione arancione getta benzina sul fuoco affermando che se fosse libera combatterebbe anche lei. I manifestanti continuano a lanciare molotov e pietre da dietro le barricate messe su alla bell’e meglio e gli agenti rispondono con i lacrimogeni. Ma i dimostranti adesso sparano contro gli agenti anche fuochi d’artificio: colorati, ma di certo non innocui. E hanno anche una nuova arma: una catapulta in legno» (Ucraina, ancora scontri a Kiev. e la Timoshenko dice: “Sarei con voi”). «Alcune fonti nel frattempo hanno confermato, in via riservata, che il cadavere del contestatore ferito a morte sulla stessa via, un giovane non ancora identificato che sarebbe stato originario di Dnipropetrovsk, presentava due lesioni da arma da fuoco, una alla testa e l’altra al torace. Le fonti hanno tenuto a puntualizzare anche che i poliziotti schierati in via Hrushevsky non sono armati» (Ucraina, di nuovo battaglia a Kiev. Scontri tra dimostranti e polizia, 5 morti). «Ma i manifestanti che da due mesi occupano il centro della capitale ucraina per protestare contro l’annullamento del trattato di adesione alla Ue, giurano che ci sono state almeno cinque vittime e oltre 300 feriti. «Tutti colpiti dalla polizia», dicono, mostrando bossoli e proiettili raccattati sull’asfalto e promettendo vendetta contro gli assassini. Il governo nega, ricorda che gli agenti in strada sono armati solo di scudi e manganelli, parla di provocazioni. Ma poco importa. […] Più ambiguo e taciturno, il terzo leader, il fondatore del movimento Svoboda, Oleg Tyanibok. Il suo gruppo è di formazione paramilitare, vicino all’estrema destra, e su posizioni radicali e antisemite. Ha partecipato alla strana alleanza “pro Europa” fornendo la logistica e il temibile servizio d’ordine. Ha raccolto gli applausi di metà della nazione con il blitz che ha distrutto la statua di Lenin davanti ai mercati generali. E adesso dice apertamente di rispondere alla polizia con azioni di guerriglia urbana, che gli altri non condividono né saprebbero gestire» (Kiev è un campo di battaglia. La polizia spara sui manifestanti. Cinque morti e oltre 300 feriti). «Adesso, dopo gli scontri di mercoledì la situazione sembra fuori controllo. Almeno diecimila persone continuano a restare in piazza decise a resistere agli attacchi della polizia. E sono armate, guidate da personaggi non troppo tranquillizzanti, estremisti di estrema destra con tanto di addestramento paramilitare» (“Ucraina esasperata, in mano ai radicali. Yanukovich ritiri subito le leggi liberticide”).
Nemmeno l’offerta di Yanukovich all’opposizione di formare un nuovo governo ferma le violenze. Ormai, anche i leader “moderati” della protesta sembrano in balia della piazza. «Un poliziotto ucciso a colpi d’arma da fuoco alla testa. Un manifestante morto in ospedale in seguito alle ferite riportate negli scontri. Il gruppo civico di protesta Spilna sprava ha occupato il ministero dell’Energia per poi lasciare lo stabile poche ore dopo. E in serata – dopo l’offerta del presidente – centinaia di manifestanti hanno attaccato il palazzo delle esposizioni, edificio usato come base delle forze di sicurezza sulla strada Grushevskogo nel centro di Kiev, lanciando bottiglie molotov. I dimostranti, con i volti coperti e armati di bastoni e barre metalliche, sono raggruppati di fronte ai poliziotti in assetto antisommossa. Tra i due schieramenti si alza il fumo creato da una barricata di pneumatici cui è stato dato fuoco. Alcuni leader dell’opposizione ucraina hanno fatto appello ai dimostranti perché portino con sé le armi che possiedono legalmente, per utilizzarle in eventuale necessità di autodifesa. […] Poi è andato oltre, accusando i manifestanti di aver fatto scorta di armi – nella sede dei sindacati e nel quartier generale dell’amministrazione municipale – e di aver rapito tre agenti di polizia, due dei quali sono stati liberati, ma stando al ministero, hanno segni di tortura sul corpo. Il comando della Resistenza nazionale però “nega categoricamente” il sequestro» (Ucraina, Yanukovich offre il governo all’opposizione, ma ottiene un “no”). «Circa duemila manifestanti ucraini si sono ammassati lungo Casa Ucraina, un edificio vicino piazza Maidan a Kiev occupato dalla polizia. la situazione sta precipitando nella capitale e si teme in tutto il Paese» (Kiev, polizia sotto assedio. Lombardozzi: “Si sentono urla e bombe assordanti”).
A fine gennaio, la situazione degenera ulteriormente ed i leader della protesta invitano ormai apertamente i manifestanti ad armarsi. «La lotta continua dunque, e sarà dura, mentre cresce il bollettino delle vittime e la piazza si prepara a una lunga battaglia corpo a corpo. Qualcuno, sull’onda dell’entusiasmo ha già portato di fronte alla presidenza una rudimentale catapulta fatta in casa dopo averla provata per tutta la notte lungo il centralissimo viale Kreshatyk: lancia fino a cento metri di distanza mattoncini-proiettile già divelti a migliaia dal selciato. E un uomo mite come l’ex ministro della Difesa, Anatolj Gritsenko, ora all’opposizione, chiede a tutti i cittadini di Kiev di «portare le proprie armi in piazza». E assicura: «Anch’io vado in giro solo con la mia pistola». Ma tra gli agenti e le formazioni paramilitari che ormai gestiscono la piazza è guerra aperta. Ieri notte un poliziotto è stato seguito, aggredito e ucciso fin sulla porta del suo dormitorio dall’altra parte della città. Altri tre agenti sono stati rapiti da una folla di giovani in passamontagna. Uno accoltellato e abbandonato in terra, gli altri due picchiati a dovere e rilasciati solo dopo diverse ore di sequestro, forse su intercessione dell’ala più moderata e “politica” della protesta. Le truppe paramilitari legate a gruppi dell’estrema destra, neonazista e xenofoba, sono ormai le vere padrone della piazza. Tra le tendopoli adesso circolano plotoni di giovani con l’elmetto dell’esercito e spranghe di ferro, allineati in fila per due, e comandati da misteriosi istruttori in giubbotto mimetico e occhiali da sole. Si esercitano tra bandiere e bivacchi, agitando le spranghe, simulando complesse manovre a testuggine, al ritmo di urla perentorie: «Alzate quelle braccia, e colpite duro» (L’Ucraina a un passo dalla guerra civile. Gli oppositori rifiutano l’offerta di Yanukovich). «Almeno cinquantamila persone, tutte venute ad approvare, con la loro sola presenza, la svolta guerriera e aggressiva degli ultimi giorni. Mischiandosi agli energumeni in tuta mimetica, ai giovani arrivati dalla provincia che si addestrano al gelo con mazze e tubi di ferro, alle pattuglie dei movimenti di estrema destra ormai sempre più simili a una milizia popolare addestrata e pronta a colpire. Gente dura abituata alle guerre, che ha combattuto in Kossovo a fianco delle truppe dei sanguinari Karadzjc e Mladic, e in Abkhazia con i georgiani contro l’esercito russo. E i cori, ripescati da un antico gergo fascista degli anni Venti, hanno infiammato anche i più pacifici tra i presenti: «Onore e gloria agli eroi, morte ai nostri nemici». In un tripudio di bandiere e gagliardetti simil nazisti e di approssimative riproduzioni del passo dell’oca. Sanno che la linea dura è ormai l’unica da seguire con una piazza così militarizzata. E con la folla calata apposta dai quartieri bene a omaggiare i «ragazzi che fanno il lavoro sporco e pericoloso per conto di tutti noi». E tutti e tre hanno passato in rivista, per la soddisfazione del loro esercito alleato, l’ultima conquista di quella che, a fine novembre, era cominciata come una protesta pacifica: la Casa Ucraina occupata nel cuore della notte dopo un paio d’ore di assalto con bottiglie molotov, sassi, spranghe. Ma la strategia è ormai chiara. I tre, presentabili e comunque legittimati dalla carica, continuano a trattare con il presidente e ad avere contatti formali con l’Unione europea. Ieri il premier polacco Tusk ha parlato a lungo al telefono con almeno due esponenti della trojka. Gli altri, i duri paramilitari, continuano l’espansione territoriale. Un assedio continuo e insistente che lascia il presidente Yanukovich sempre più solo e indeciso tra un’azione di forza, dalle conseguenze comunque tragiche, e la resa totale a una piazza che ormai è pronta a tutto» (Le milizie assediano Yanukovich. Ora la guerriglia esce da Kiev).
Nel frattempo, risulta inutile qualsiasi tentativo di pacificazione proposto da Yanukovich. «Morto poliziotto accoltellato lunedì. Un poliziotto ucraino accoltellato insieme ad altri due colleghi lunedì durante gli scontri a Khersones, nel sud dell’Ucraina. Lo ha riferito il ministro dell’Interno, citato dall’agenzia Itar-Tass. Sono quindi quattro, due manifestanti e due poliziotti, le persone morte dall’inizio delle proteste in Ucraina» (Ucraina: si dimette il premier, via le leggi anti-manifestazioni. Putin: no ingerenze da Ue). «Nel suo torrente nuotano anche gli ultra-nazionalisti, raccontano i reporter, ma l’aggettivo è eufemistico. Anche se minoritarie, due destre estreme sono protagoniste: la formazione Svoboda, nata da un partito neonazista che inneggia a Stepan Bandera (collaborazionista di Hitler nella guerra) e che ancora nel 2004 si definiva social-nazionale, avendo come emblema una specie di svastica; e il “Settore di destra” (Pravi Sektor), che rischia di alterare un movimento in principio liberal-democratico. La russofobia, dunque il razzismo, le impregna. Mark Ferretti del Sunday Times lo scrive sulla Stampa: per tanti, “l’integrazione nell’Unione europea non è la priorità”. Non basterà la revoca, ieri, delle leggi liberticide del 16 gennaio» (L’urlo dell’Ucraina, il silenzio dell’Europa).
Vi sono anche scontri tra gli stessi oppositori che mettono nuovamente in luce la supremazia dei settori più estremi. «È accaduto quando militanti del partito ultra nazionalista di Svoboda hanno tentato di convincere il gruppo radicale Spilna Sprava a liberare il ministero dell’Agricoltura, occupato venerdì scorso. Secondo le agenzie locali, nello scontro che è seguito, con spari e lancio di granate, vi sarebbero tra i tre e i sei feriti. Si registra anche la morte di un agente di polizia di 42 anni, spirato in ospedale a causa di una ferita al petto, dopo essere stato colpito da uno sparo in un parco della città. Alla fine, i radicali di Spilna Sprava hanno lasciato il palazzo, occupato venerdì scorso. Altri cinque edifici governativi restano nelle mani dei dimostranti. Che in piazza Indipendenza, cuore delle protesta a Kiev, hanno istituito la “guardia nazionale” pronti a “sacrificare la vita per il popolo ucraino e per l’Ucraina”. Il giuramento è avvenuto in Casa ucraina, l’ex museo di Lenin occupato sabato scorso dagli insorti. L’agenzia Unian riporta sul suo sito che circa 5mila persone stanno marciando in corteo nel centro di Kiev, dopo aver lasciato piazza Indipendenza, scandendo slogan come “Gloria all’Ucraina” e “Gloria agli eroi”. Il traffico automobilistico è stato interrotto» (Ucraina, scontri tra oppositori di Yanukovich: feriti. In Parlamento approvata l’amnistia). «L’ufficio Lavori Sporchi è al quarto piano, proprio in fondo alle scale. Un ragazzo ossuto con la cresta alla mohicana, giubbotto antiproiettile e anfibi da marine, segna il confine tra la folla colorata e un po’ naif che ancora parla di Europa, e la «gente che fa sul serio». Su un foglietto incollato alla porta c’è scritto a penna “Pravi Sektor”, “Settore di Destra”. Il mohicano ispeziona i documenti, impartisce ordini al walkietalkie, controlla il via vai di altri mohicani in occhiali neri e manganelli alla cintola che si scambiano tra loro sbrigativi saluti militari. Dentro non si va: «Zona riservata, aspettate fuori». Il loro capo, il colonnello Dmitrij Jarosh, sta a poche stanze e una decina di mohicani di distanza. Comunica via Facebook e ha già fatto sapere che si prende tutta la responsabilità della Rivoluzione per portare «avanti una battaglia che i politici, paurosi o inefficienti, non riescono a gestire». “Settore di Destra” è una sigla nuova e molto ambigua. Ne fanno parte, pare, non più di un migliaio di fedelissimi ma la rete di gruppi solidali, affratellati e in qualche modo alleati, è lunghissima. Sigle che fanno paura a chi conosce la storia ucraina. Trizub, (tridente) che venera l’eroe ucraino Stepan Bandera, collaboratore dei nazisti, forse ucciso dai sovietici, e simbolo del nazionalismo ucraino più estremo e violento. Poi ci sono “l’Esercito Patriottico Ucraino”, i neonazi di “Martello Bianco” e soprattutto quelli di Unà-Unso, vere e proprie truppe militari con tanto di basi di addestramento nei Carpazi che hanno già partecipato a molte campagne di guerra vera dal Kosovo (a fianco dei serbi) alla Georgia (contro i russi). E le insegne rossonere di Unà-Unso sono quelle che ormai dominano la piazza. Hanno cominciato con le cucine da campo. Adesso marciano in fila per due pattugliando la grande area del centro di Kiev conquistata dalla protesta. Non parlano, sanno di non essere presentabili ma di avere un ruolo fondamentale. «È come se si vergognassero di noi – dice guardandosi attorno uno dei giovanissimi mohicani di guardia – ma va bene così. Noi abbiamo distrutto la statua di Lenin, abbiamo occupato i palazzi. Noi abbiamo fatto capire a Yanukovich che se non scappa fa la fine di Ceauscesu. Che farebbero senza di noi?». In particolare Tygniabok e Klitchko sono tentati di usare la forza degli estremisti per continuare ad alzare il prezzo, spaventare il presidente, coinvolgere l’Europa. Un patto segreto e pericoloso» (Kiev, fra le anime nere della piazza. “Così la destra conquisterà l’Ucraina”).Alle aperture del presidente Yanukovich, rispondono picche, non si sa a quale titolo, i diplomatici americani che “trascinano” su questa posizione anche i paesi Ue. «Anche il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha avvertito che il presidente ucraino deve fare ben di più se vuole traghettare il proprio Paese fuori dalla gravissima crisi. “Le offerte di Yanukovich non hanno ancora raggiunto un livello sufficiente per quanto riguarda le riforme”, ha dichiarato il capo della diplomazia Usa da Berlino, dove incontrerà tra gli altri il cancelliere Angela Merkel e l’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon e l’inviato speciale congiunto per la Siria della stessa Onu e della Lega Araba, Lakhdar Braimi. Kerry, che domani a Monaco di Baviera vedrà esponenti di primo piano delle forze di opposizione ucraine, ha alluso alla Russia affermando che alle “Potenze esterne” non deve essere permesso di interferire nella crisi, la cui soluzione spetta soltanto al popolo dell’Ucraina» (Ucraina, Yanukovich firma legge su amnistia per i manifestanti). «”Che cosa c’entra questa impennata della violenza in Ucraina con la democrazia?”, dice Lavrov, “e perché importanti leader europei stanno incoraggiando, stanno incitando chi invade i palazzi del governo, chi brucia, devasta, attacca la polizia, lancia slogan nazisti e anti-semiti?”. Pochi minuti e sul palco di Monaco salgono insieme i “gemelli” dell’amministrazione Obama: John Kerry, segretario di Stato, e Chuck Hagel, il ministro della Difesa. Il discorso di Kerry è lungo, appassionato e argomentato. Non parla solo di Ucraina, ma l’Ucraina diventa il simbolo concreto di un messaggio che per l’Europa è centrale: “Noi non ce ne siamo andati e non ce ne andremo dall’Europa e dal mondo! Noi non ci stiamo disimpegnando, basta con questa narrativa del “desengagement” dell’amministrazione Obama» (Ucraina, alla conferenza di Monaco sulla difesa scambio di accuse tra Usa e Russia). «Poi la battuta su Bruxelles: “E per quel che riguarda l’Unione Europea… vada a farsi fottere”» (Diplomatica Usa insulta la Ue: “Si fotta”. E Washington accusa la Russia per l’audio rubato). «La Nuland dice che non vuol vedere al governo il leader dell’opposizione Vitali Klitschko, «non sarebbe una buona idea». Lei invece sarebbe favorevole a un altro esponente dell’opposizione, Arseniy Yatseniuk. Tutti e due sono al centro delle manovre per coinvolgere l’opposizione nel governo guidato dal presidente filo-russo Viktor Yanukovich» (La gaffe della vice di Kerry. “Sull’Ucraina la Ue si fotta”). «L’aria che tira alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato è espressa nel duro editoriale del Wall Street Journal. Che ricostruisce i giri a vuoto della diplomazia europea, mentre il bilancio delle vittime cresce a Kiev: “I leader dell’opposizione ucraina hanno chiesto alla Merkel delle sanzioni contro quei dirigenti del governo Yanukovich che hanno patrimoni personali nell’Unione europea. Berlino non ha accolto la loro richiesta, ha dato un sostegno retorico al movimento di protesta, non ha fornito informazioni su futuri aiuti della Germania o della Ue per controbilanciare i miliardi di Mosca. I paesi dell’Europa orientale membri della Ue premono perché l’Ucraina possa ottenere fondi e una corsia di accesso all’Unione, che non faceva parte del pacchetto rigettato a novembre”» (Obama e l’incubo Putin).
Siamo ormai ad inizio febbraio 2014 e la tensione sale ulteriormente. «L’ex ministro dell’Interno del governo Timoshenko, Iuri Lutsenko, ha esortato i manifestanti antigovernativi ad armarsi “di mazze da baseball e caschi” e unirsi ai gruppi di “autodifesa” di Maidan, le unità che fanno da guardia a piazza Indipendenza e agli edifici occupati dai dimostranti. Le barricate. Agli ingressi delle barricate innalzate a difesa della piazza già a inizio dicembre sono presenti i soliti ambulanti che vendono bandiere ucraine, sciarpe con i colori nazionali o rosse e nere come la bandiera dell’Upa, l’Armata Insurrezionale d’Ucraina che inizialmente appoggiò l’invasore nazista durante la Seconda guerra mondiale, e da qualche settimana anche passamontagna. E proprio Upa si chiama uno dei tanti gruppi paramilitari nazionalisti presenti a Maidan e dintorni, uno dei suoi militanti, sui vent’anni, oltre alla mimetica e a quello che sembra un giubbotto anti-proiettili, ha con sé anche una pistola, e dice di essere pronto a usarla e a “morire combattendo se necessario”» (Ucraina: 60000 manifestanti in piazza Maidan a Kiev). «Alcuni gruppi molto violenti di estrema destra sono saliti sulle barricate. È controverso quale ruolo giochino. Anton Shekhovtsov, ucraino, profondo conoscitore dell’estrema destra europea, che ha assistito alle ultime manifestazioni sostiene che, se è vero che esiste una frangia di teppisti neonazisti che si identifica soprattutto nel gruppo Martello Bianco, gran parte degli attivisti di destra si considerano rivoluzionari nazionalisti in lotta per l’indipendenza dalla Russia» (La polveriera Ucraina e il ruolo degli oligarchi). «Gli agenti delle forze speciali ‘Berkut’ erano tanti e ben equipaggiati, ma hanno dovuto vedersela con migliaia e migliaia di dimostranti, alcuni dei quali armati di spranghe, qualcuno anche di pistole. Ai lacrimogeni i manifestanti hanno risposto con pietre, molotov e fuochi d’artificio. Un copione purtroppo già visto più volte a Kiev nelle ultime settimane. Tra le vittime degli scontri di oggi si contano, dopo il decesso in serata di un agente gravemente ferito, sette poliziotti – alcuni dei quali secondo il ministero dell’Interno sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco – e almeno un militante del partito delle Regioni del presidente Viktor Yanukovich, una cui sede è stata presa d’assalto da gruppi di oppositori. Non meno di sei delle altre sette persone decedute dovrebbero invece essere manifestanti antigovernativi. Stamane, inoltre, un impiegato del partito di Yanukovich è morto quando alcune centinaia di manifestanti hanno fatto irruzione a colpi di molotov nella sede del movimento politico in via Lipska. Secondo il Kyiv Post, tra le persone che hanno scavalcato l’inferriata esterna dell’edificio del partito c’era anche la giornalista e militante dell’opposizione Tetiana Chornovol, aggredita brutalmente nella notte di Natale» (Scontri in Ucraina, in fiamme piazza Maidan: 15 morti. Accuse tra Russia e occidente). «Nuovi scontri. Oggi migliaia di persone sono scese in piazza, molte delle quali armate di bombe Molotov e sassi per difendere il Maidan, mentre gli agenti hanno utilizzato granate stordenti e cannoni ad acqua. Una donna è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco a Khmelnitski, durante l’attacco alla sede locale dei servizi segreti (Sbu). L’edificio è stato poi bruciato. Lo riferiscono fonti europee, ricordando che per la Ue “l’unica soluzione” passa attraverso una riforma costituzionale, un cambio di governo ed elezioni trasparenti e democratiche. Dal Messico, Barack Obama interviene sulla crisi a Kiev, facendo riferimento alla possibilità di varare sanzioni ed affermando di “considerare il governo dell’Ucraina il principale responsabile per garantire che si trattino nel modo appropriato i manifestanti pacifici”. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “scioccato” per l’escalation di violenza e definisce l’uso della violenza da entrambe le parti “inaccettabile”. Esecuzione per un giornalista di Vesti. Nella notte è stato ucciso un giornalista del quotidiano ‘Vesti’. È stato assalito nel centro della capitale ucraina, mentre era in taxi assieme a un collega, Oleksii Limarenko. Un gruppo di uomini a volto coperto non ancora identificati li ha costretti a scendere dal taxi e li ha picchiati. Il giornalista è stato ucciso poi con un colpo d’arma da fuoco» (Ucraina, Ue: riunione straordinaria ministri Esteri. Obama minaccia sanzioni. Governo autorizza uso delle armi). «A questo punto rischia di allargarsi la divergenza tra Usa e Ue sui modi per gestire la crisi ucraina. Mentre gli americani si schierano incondizionatamente al fianco dei dimostranti, condannano Yanukovich, lo diffidano dal mobilitare l’esercito e spingono per il varo di sanzioni dure, gli europei sono ancora alla disperata ricerca di una soluzione condivisa. Anche in Ucraina, a fianco dei dimostranti filo-europei, sono presenti gruppi radicali di estrema destra che cercano di radicalizzare lo scontro. «Dobbiamo scongiurare il rischio concreto di una guerra civile alle porte dell’Unione europea», ha dichiarato ieri il ministro degli esteri Emma Bonino. «Non potranno essere più tollerati abusi nei confronti della popolazione, né provocazioni di frange estremiste e violente. Nonostante i margini negoziali fra governo ed opposizioni appaiano in queste ore ancora più ridotti, non esiste alcuna vera alternativa alla ripresa del dialogo, che l’Europa intende sostenere col massimo impegno» (Missione europea in Ucraina e la UE prepara le sanzioni).
La situazione è talmente fuori controllo che per la prima volta, dall’inizio delle proteste, anche la polizia risponde con l’uso di armi. «Adesso si spara e si muore per le strade Kiev. Almeno diciotto morti, centinaia di feriti, e l’incubo di un bagno di sangue che sembra materializzarsi per la prima volta dopo tre mesi di protesta pro Europa. Colonne di poliziotti armati circondano la Maidan, la piazza più grande della città, difesa da ventimila persone armate di sassi, spranghe e forse anche fucili e pistole. I Berkut, gli odiatissimi agenti antisommossa sono ormai a pochi metri dalle barricate, molti di loro imbracciano mitra e fucili mai apparsi prima fino ad ora, minacciano i manifestanti, giurano vendetta per i colleghi uccisi (ieri almeno sette), sembrano assai poco controllabili dai loro superiori dopo mesi di tensione e dopo una giornata di vera guerra civile come quella di ieri. Una guerra cominciata probabilmente da una provocazione dei gruppi paramilitari di estrema destra di “Pravi Sektor”, settore destro, da sempre l’ala radicale della protesta difficilmente gestibile dai leader più moderati. Hanno cominciato con una gragnuola di bombe molotov contro la polizia sulle barricate che da tre mesi separano l’area della protesta dal palazzo del Parlamento e dalla sede della Presidenza, all’altezza dello stadio della Dynamo. L’intenzione era di sfondare i cordoni di agenti per andare a protestare davanti al Parlamento che da mesi finge di studiare una riforma della Costituzione che annulli la svolta autoritaria voluta da Yanukovich. Ma, per la prima volta dall’inizio della protesta, la polizia ha reagito nel peggiore dei modi, con grande violenza e armi da fuoco. Probabile che l’ala più radicale, che di fatto gestisce tutta la logistica della piazza, abbia colto l’occasione per compiere un ulteriore passo avanti e allargare fino al Parlamento la zona delle proteste. Fomentati dagli estremisti che li affiancano, anche i più moderati europeisti della Maidan sono esasperati e decisi a rispondere a violenza con la violenza. Klitschko prova a ripetere di «non accettare provocazioni», ma poi si raccomanda: «Non cediamo di un passo» (La battaglia Kiev, il giorno del sangue: 18 morti). «Gli scontri. Oggi, nella centrale piazza Indipendenza, un centinaio di uomini armati ha attaccato le barricate della polizia. Gli oppositori hanno conquistato il controllo di quasi tutta la piazza, teatro degli scontri che hanno fatto almeno 28 morti e 287 feriti in una settimana. Gli agenti hanno sparato proiettili di gomma per respingere l’attacco, portato a termine con sassi e bottiglie molotov. La polizia ucraina ha ammesso di aver utilizzato armi da fuoco contro i manifestanti per “legittima difesa”» (Ucraina, è guerra civile: oltre 100 morti. Sanzioni dall’UeUcraina, è guerra civile: oltre 100 morti. Sanzioni dall’Ue). «Proseguono sempre più violenti gli scontri nella capitale ucraina, ormai da giorni teatro di proteste contro il governo del presidente Viktor Yanukovich. Il capo del servizio medico dei manifestanti, citato dalla Cnn, ha detto che le vittime hanno raggiunto il numero di 100. Secondo le cifre fornite dal Ministero della Salute, invece, sarebbero 28 le persone morte negli scontri. I poliziotti di Kiev sono stati autorizzati a usare armi da fuoco per “legittima difesa” dopo che stamani erano stati presi di mira da spari. 67 agenti sarebbero stati rapiti dai rivoltosi» (È guerra nelle strade Kiev, manifestanti cadono sotto i proiettili). «Le ali estreme della protesta sognano un’Ucraina finalmente derussificata, centrata sul “genotipo nazionale” Nella Crimea “regalata” sessant’anni fa dal Cremlino all’Ucraina sovietica, con la flotta russa del Mar Nero alla fonda nel porto di Sebastopoli, si alza invece la voce di chi vuole tornare sotto Mosca. Nel Donbass, epicentro dell’Ucraina orientale russofona e russofila, tendenzialmente schierata con Yanukovich (ma non a qualsiasi prezzo), ci si prepara alla possibilità di separarsi da Kiev. Nelle ultime settimane, buona parte della piazza è passata dalla pacifica protesta contro la corruzione e per l’integrazione all’Unione Europea – peraltro mai offerta da Bruxelles – alla rivolta violenta. A scontrarsi con la polizia provvedono formazioni paramilitari bene addestrate, afferenti agli ultranazionalisti di Svoboda, del Pravy Sektor o di Spilna Sprava, fautori della “Ucraina agli ucraini”, segnati dai miti razziali otto-novecenteschi distillati dai teorici locali dello Stato etnico, profondamente russofobi, polonofobi e antisemiti» (Il fantasma dei Balcani).
Il 20 febbraio sembra che si sia trovato un accordo tra le parti ma è solo il primo passo per la destituzione del presidente Yanukovich che avverrà da lì a pochi giorni. «Accordo firmato tra il presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, e le opposizioni. Stamani il capo dello Stato aveva elencato i punti dell’intesa: il ritorno alla Costituzione del 2004, che limita i poteri presidenziali, e l’avvio di un processo per dar vita a un governo di unità nazionale e convocare nuove elezioni presidenziali probabilmente a dicembre. Parlamento vota riforma, amnistia incondizionata per manifestanti e rilascio Tymoshenko. La Verkhovna Rada (Parlamento) ha approvato con 386 voti a favore (i seggi sono 450) la legge che prevede il ripristino della Costituzione del 2004 e quindi un maggior equilibrio dei poteri fra Parlamento e presidente. Inoltre ha approvato l’amnistia “incondizionata” per tutti i manifestanti. Il Parlamento ucraino ha anche approvato con 310 voti a favore una riforma del codice penale che apre la strada alla fine della detenzione di Yulia Tymoshenko, l’ex premier e leader dell’opposizione, perché derubrica il reato» (Yanukovich: Elezioni anticipate e governo di coalizione). «”Nessuna goccia di sangue versato sarà dimenticata”, ha detto raccogliendo l’ovazione della piazza. L’Ucraina “vede il sole e il cielo”, ma non è finita: “Siete degli eroi, ma dovete rimanere in piazza, fino alla fine”, ha detto la ‘Giovanna D’Arco’ di Kiev, come ama definirsi. Yulia Timoshenko ha poi attaccato direttamente il nemico Viktor Ianukovich, ‘fuggito’ da Kiev e destituito di fatto dal Parlamento. La Rada, che aveva prima ‘ordinato’ la sua liberazione, oggi ha nominato i suoi sodali nei posti chiave del governo e del Paese, dalla presidenza del Parlamento di Kiev, affidato al braccio destro della pasionaria ucraina, Oleksandr Turchynov, che ha assunto anche i poteri di premier ad interim, passando per il ministro dell’Interno, Arsen Avakov. Le elezioni presidenziali sono state indette per il 25 maggio e Yulia Timoshenko ha già annunciato: “Io mi candiderò”. Dopo tre mesi di stallo e di tensione, dunque, in Ucraina la situazione è cambiata radicalmente in poche ore. Con l’accusa di aver violato i diritti umani della popolazione, Yanukovich è stato destituito da presidente della Repubblica ucraina. Da Kharkiv, nell’Ucraina orientale filorussa, dove si sarebbe rifugiato, ha continuato ad attaccare i “banditi” delle opposizioni: “E’ in corso un colpo di Stato simile alla crisi politica che avvenne in Germania con l’ascesa dei nazisti, non intendo dimettermi e ho il sostegno della comunità internazionale”. Un Paese spaccato a metà. Adesso il rischio è una spaccatura a metà del Paese, tra le regioni occidentali nazionaliste e filo-europeiste e le regioni orientali, più vicine alla Russia e alle posizioni del presidente ucraino. La legittimità delle decisioni parlamentari viene messa in dubbio anche da alcuni deputati delle regioni orientali del partito delle Regioni – la formazione politica di Yanukovich – che hanno annunciato l’intenzione di voler prendere il controllo dei loro territori» (Ucraina, il Parlamento rimuove Yanukovich e libera Tymoshenko: “Mi candiderò”).
Finisce qui la prima parte della nostra ricostruzione con una nazione divisa a metà, un presidente ad interim ed un governo provvisorio i cui primi provvedimenti non vanno certo in direzione di una pacificazione interna né di rapporti amichevoli con Mosca ed una destra apertamente nazista che ottiene il riconoscimento per il ruolo chiave avuto nelle piazze. «Yiulia Tymoshenko lo sa bene e per questo smentisce i suoi che avevano proposto di smantellare le barricate. E parla chiaro, annuncia un programma che non prevede compromessi: «Yanukovich e i suoi saranno giudicati per quello che hanno fatto, cercheremo uno per uno i responsabili della morte dei nostri ragazzi e li puniremo come meritano». Poco importa se questo rischia di scatenare ancora di più i più violenti che ieri hanno tentato di linciare un paio di deputati per strada e che adesso stilano liste nere dei nomi più potenti della polizia. «La nostra rivoluzione sarà un esempio per altre repubbliche ex sovietiche. Abbiamo indicato loro la strada verso la libertà». Una sfida diretta a Mosca e ai sogni di Putin che non provoca applausi ma una specie di rabbioso corale grido di guerra. Poi la nomina a ministro dell’Interno di Arsenij Avakov, altro militante storico del Partito, ex sindaco della solita Kharkiv. E i primi provvedimenti di Avakov erano travolgenti: intanto ordinava alla polizia di «passare dalla parte del popolo» ufficializzando una ritirata che era già nelle cose. Poi, per calmare i più estremisti e per assicurarsi una polizia attiva a sicuro favore della piazza, decideva di includere le centurie di “Pravij Sektor” nei ranghi del Ministero. Quello che il Settore destra voleva. I giovani paramilitari che hanno gestito gli attacchi più violenti hanno ottenuto la legittimazione che volevano. Ieri nel negozio di jeans trasformato in quartier generale mostravano, per la prima volta alla luce del sole pistole nuove di zecca, coltelli da sub e manganelli elettrici. I loro capi sfilavano orgogliosi tra la folla sfoggiando berretti afgani che testimoniano le loro antiche esperienze con l’Armata Rossa. Insegne simil naziste, canzoni di guerra e perfino un blindato con tanto di cannoncino portato trionfalmente al centro della piazza. E infine approvava le dimissioni, mai presentate, del Presidente Yanukovich in fuga, mentre la gente irrompeva nella sua residenza privata in riva al fiume. Il tutto in meno di tre ore. Che hanno sconvolto l’Ucraina e forse l’Europa» (L’Ucraina caccia Yanukovich, la Tymoshenko libera in piazza: “Siete gli eroi di questo paese”). «Il presidente provvisorio ha anche lanciato un messaggio a Mosca, dicendo che dovrà rispettare la “scelta europea” dell’Ucraina che lui auspica sia confermata dalle elezioni presidenziali di maggio. Kiev, ha detto Turchynov, intende riprendere il percorso di integrazione con Bruxelles interrotto dal 24 novembre scorso, quando Yanukovich rinunciò al patto di associazione ed accettò gli aiuti (15 miliardi di dollari di cui 3 già consegnati) di Vladimir Putin. Turchynov ha spiegato di essere pronto ad un dialogo con i vertici russi, ma sulla base di relazioni paritarie e di buon vicinato. Poco dopo è stata abrogata la legge sulla lingua approvata appena due anni fa e che aveva fatto diventare il russo lingua ufficiale in metà del Paese. Quasi cinquantenne, Oleksandr Turchynov proviene da Dnipropetrovsk, nell’Ucraina sudorientale, la stessa città della Tymoshenko. Il suo compito sarà quello di reggere l’istituzione fino a martedì, quando dovrà nascere un governo in grado di tenere in piedi e unito il paese fino alle elezioni del 25 maggio, quando dalle urne dovrebbe uscire la svolta legittimata dal voto popolare» (Ucraina, governo d’unità entro martedì. Tymoshenko: “Il premier non sarò io”). «La spaccatura del paese. Adesso il rischio è una spaccatura a metà del Paese, tra le regioni occidentali nazionaliste e filo-europeiste e le regioni orientali, più vicine alla Russia. Il mantenimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina è il più difficile compito che avrà il nuovo governo anche nel breve periodo. Le forze radicali che continuano a presidiare piazza Indipendenza in attesa degli sviluppi politici in Parlamento, hanno posto tra le loro richieste la messa al bando del partito delle Regioni – la formazione di Yanukovich – e del partito Comunista, che hanno i loro serbatoi elettorali a oriente. Quest’ultimo ha fatto sapere oggi che guiderà l’opposizione al nuovo esecutivo» (Ucraina, ordine di arresto per Yanukovich: l’accusa è strage. Medvedev: “Minacciati i nostri interessi”). «Non sarà invece sufficiente al suo vice ministro della Difesa, Dimitri Yarosh, che nella Maidan ha rappresentato, come capo del “settore di destra”, l’estremismo nazionalista. Yarosh era il duro dei duri. Quando Mosca denunciava i “banditi fascisti”, mascherati e col kalashnikov, si riferiva spesso a lui. Anche l’ala intransigente della rivoluzione doveva essere rappresentata nel governo. Putin non gradirà» (Il governo di Kiev, tra duri e moderati).
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