
di: Francesco Maringiò, da CGTN
In un’epoca segnata da profonde divisioni geopolitiche, crisi identitarie e contrapposizioni culturali, si potrebbe pensare che siamo destinati allo scontro. Se non a un conflitto armato, almeno a una guerra culturale e politica. Tutto, nel nostro presente – e in Occidente -, sembra confermarlo. Eppure sarebbe sbagliato convincersi che sia davvero così. Esistono infatti segnali che vanno in direzione opposta e vale la pena di cogliere. Uno di questi segnali – tra i più rilevanti – è l’istituzione da parte delle Nazioni Unite della Giornata Internazionale per il Dialogo tra le Civilizzazioni, proposta un anno fa dalla Cina con il sostegno di oltre 80 Paesi e adottata all’unanimità dall’Assemblea Generale.
Non si tratta di un’iniziativa meramente simbolica, ma una di quelle azioni che aiuta a sedimentare una cultura generale diffusa grazie allo scambio, alla cooperazione ed il rispetto reciproco che consolidano l’idea che le realizzazioni di ogni civiltà non sono proprietà esclusiva di una nazione o di un’epoca, ma parte integrante di un patrimonio collettivo dell’umanità.
Da anni la Cina sta lavorando alla definizione di proposte e concetti (comunità dal destino condiviso per l’umanità, Iniziativa di civilizzazione globale etc.) che qualificano un nuovo umanesimo in grado di abbracciare le differenze del mondo dandone una dimensione unitaria. Questo approccio implica una visione del mondo multipolare e pluriculturale, in cui l’unità non coincide con l’omologazione ed il riconoscimento della diversità rafforza la trama della governance globale. Non si tratta di una semplice postura diplomatica, ma un banco di prova per la costruzione di una convivenza più consapevole e condivisa, grazie al rifiuto di qualsiasi gerarchia culturale e l’adozione di principi largamente condivisi: uguaglianza, dialogo, interscambio.
Nel suo intervento il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha rilanciato il valore strategico di questa iniziativa. Il dialogo tra civiltà, ha affermato, è oggi più che mai un motore essenziale di pace, sviluppo e cooperazione. Ma per essere efficace deve poggiare su tre pilastri: l’uguaglianza tra culture, da intendersi come rispetto dei modelli sociali scelti da ciascun popolo e rifiuto di ogni egemonia; lo scambio tra civiltà, inteso come mutuo apprendimento utile ad affrontare insieme le sfide globali; infine l’innovazione, ovvero la capacità di usare le tecnologie emergenti – come l’AI – per preservare, trasmettere e rinnovare il patrimonio culturale dell’umanità. Su questa base, Wang Yi ha dichiarato che la Cina sta anche considerando di ospitare il Forum Globale dell’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite nel 2028.
In un’altra fase del mondo caratterizzata da profonde trasformazioni e transizioni dell’assetto globale, come quella avviata nel biennio 1989-1991, i paesi occidentali – e segnatamente gli Stati Uniti- sono stati attraversati da due tendenze opposte e convergenti. Da un lato si è affermata una visione del mondo post-guerra fredda dominata dall’idea di un inevitabile ‘conflitto tra civiltà’, capace quindi di riconoscere le differenze e considerarle come causa inevitabile di una lotta per l’esistenza. Dall’altro un universalismo astratto ed avulso dal contesto storico e sociale, in nome del quale l’Occidente ha cercato di assimilare senza mediazioni tutto ciò che appariva diverso, con la pretesa di esportare valori e modelli sociali che considerava universali. Il risultato di questa strategia è sotto gli occhi di tutti: decenni di guerre e conflitti che, invece di pacificare il mondo, lo hanno reso più insicuro e pericoloso, al punto che l’Europa stessa è diventata (prima nei Balcani, oggi in Ucraina) un grande campo di battaglia.
Oggi, a fronte di una nuova ed evidente riconfigurazione degli assetti mondiali, segnati dall’emersione stabile di un mondo multipolare, la tendenza in alcuni circoli occidentali è quella di ripercorrere gli errori del passato. Da un lato, infatti, si assiste ad una militarizzazione delle nostre società (di cui il delirio bellicista in voga in Europa o il dispiegamento di militari per le strade americane sono solo un esempio) e dall’altro alla pretesa di cambiare le regole della governance globale in modo che si configurino come un privilegio dei pochi a danno dei tanti. Non è difficile prevedere l’esito disastroso di queste politiche.
Proprio per queste ragioni la Giornata Internazionale per il Dialogo tra le Civilizzazioni può segnare un punto di svolta diventando un’occasione stabile per promuovere iniziative educative, culturali e politiche che favoriscano il confronto tra società diverse. Può stimolare programmi di scambio, rafforzare reti internazionali tra istituzioni, offrire spazi di dialogo in contesti segnati da tensioni. Soprattutto, riconoscendo il valore delle civilizzazioni può favorire il rispetto delle diverse scelte di sviluppo ed i sistemi sociali nazionali, respingendo la logica dello ‘scontro di civiltà’ o di condotte unilaterali dominanti, sminando quindi il terreno da possibili conflitti e tensioni.
La valorizzazione delle diverse civilizzazioni è l’antidoto migliore per evitare che il passato più cupo – ed il suo carico di errori e dolore – possa tornare.
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