Lo sviluppo del tetto del mondo

di Francesco Maringiò

da https://italian.cri.cn

A poco più di 70 anni dalla firma del trattato dei “17 punti”, la storia del Tibet è profondamente cambiata. Da regione arretata, governata da un sistema castale, la popolazione tibetana è entrata nella modernità ed ha visto una crescita delle proprie condizioni di vita come mai nella sua lunga storia.

Il 23 maggio 1951 la leadership cinese (che ha da poco fondato la Repubblica Popolare e che è impegnata nella difesa dei confini del paese) e le autorità tibetane lamaiste sottoscrivono un Accordo in diciassette punti che prevede – tra le altre cose – l’appartenenza della regione alla Repubblica Popolare, l’assorbimento delle truppe militari nell’EPL e una gestione di consultazione delle autorità locali in merito alle riforme da intraprendere. È l’avvio di una fase nuova della storia della popolazione tibetana e, come rilevava il telegramma spedito a Pechino dal Dalai Lama per ratificare l’accordo, «per consolidare la difesa nazionale, scacciare le influenze imperialiste dal Tibet e salvaguardare l’unificazione del territorio e la sovranità della Madre Patria». È una tappa fondamentale per ribadire la piena sovranità cinese su un territorio che per lungo tempo è stato oggetto delle brame colonialiste britanniche in funzione antirussa e che all’epoca, all’inizio della guerra fredda ed all’indomani della guerra statunitense nella penisola coreana, rappresentava un possibile elemento di pressione al neonato governo della Repubblica popolare ed una pedina in funzione di contenimento cinese da parte del governo statunitense.

Il Tibet dei tempi antichi che giungeva all’appuntamento del 1951 non era certamente il leggendario Shangri-La immaginato nelle pagine di “Orizzonte perduto”, bensì una servitù feudale sottomessa da un regime teocratico che esercitava un potere politico violento, codificato da un sistema rigido e gerarchico ed un oscurantismo assoluto nelle mani di 200 famiglie che assoggettava la stragrande maggioranza dei tibetani. Ancora nel 1953 la maggioranza della popolazione rurale (700 mila persone su un milione e 250 mila) viveva senza accesso all’istruzione ed alle cure mediche, in una condizione che potremmo categorizzare come servitù della gleba e la cui vita era totalmente sottoposta a quella dei loro padroni. Sono dovuti passare alcuni anni perché nel Tibet venisse abolita l’autocrazia teocratica feudale (1959), si potesse avviare una riforma agraria (nel Tibet premoderno il potere religioso era così fortemente intrecciato con quello politico che una riforma agraria finiva inevitabilmente per mettere in discussione il potere temporale religioso) ed i cittadini potessero guadagnare la propria libertà personale.

Al tempo dell’accordo, il Tibet era una regione estremamente povera, la cui economica era basata esclusivamente sull’agricoltura e l’allevamento. Da allora le cose sono profondamente cambiate. Dal 1951 al 2020 il PIL del Tibet è passato da 129 milioni di yuan a 190,274 miliardi (da 18,25 milioni a 27 miliardi di euro), con un aumento di 1.474 volte e un tasso di crescita medio annuo dell’11,15%. Anche durante la pandemia il tasso di crescita si è attestato al livello più alto del Paese. Ma soprattutto a cambiare è stata la struttura economica: dal 1951 al 2020 la percentuale dell’industria primaria sul PIL è scesa dal 97,7% al 7,92%, l’industria secondaria è aumentata al 41,95% mentre quella terziaria è passata dal 2,30% al 50,13%. Merito del progressivo cambiamento sociale della regione tibetana e della politica di Riforma ed Apertura che ha innescato un tasso di crescita che, da allora, è rimasto a due cifre. Soprattutto, come dimostrano i dati, da popolo di allevatori ed agricoltori i tibetani hanno saputo sviluppare commercio, trasporti, finanza e turismo.

Lo sviluppo della rete infrastrutturale e dei sistemi di trasporto rappresenta un caso di studio. Partendo da zero il Tibet ha costruito una rete di trasporto combinato composta da autostrade, ferrovie e rotte aeree: nel 2020 erano 118.800 i kilometri di autostrada tibetana e una rete di 130 rotte aeree per servire 61 città. Prima del 1951 esisteva soltanto una strada che collegava il Palazzo del Potala al Norbulingka, per un totale di 3 kilometri complessivi. La Belt and Road Iniziative ha offerto a questa regione ulteriore opportunità di sviluppo, connettendola al corridoio economico Bangladesh-Cina-India-Myanmar e promuovendo la costruzione di una zona di cooperazione economica Trans-Himalaiana.

Tutto questo ha permesso anche alla popolazione di giovarne in termini di progressivo miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. A partire dal 2013 sono state costruite 314.600 case per la popolazione – interamente finanziate dal governo centrale – ed il Tibet dal 2016 ha investito complessivamente più di 40 miliardi di yuan (5,6 miliardi di euro) in progetti di sviluppo con l’obiettivo di combattere la povertà, la cui incidenza è scesa dal 35,2% del 2012 al 6 % del 2018 fino alla totale eradicazione della povertà assoluta nel 2021.

Dal 1965 al 2020 il reddito pro capite dei residenti urbani è passato da 456 a 41.156 yuan nel 2020 (da 64,5 a oltre 5800 euro), con un tasso di crescita medio annuo dell’8,53%. Il reddito disponibile pro capite dei residenti nelle zone rurali è cresciuto da 108 a 14.598 yuan nel 2020 (da 15 a oltre 2000 euro), con un tasso di crescita medio annuo del 9,33%. Inoltre a partire dal 2019 il governo regionale ha aumentato l’assistenza agli indigenti a 9.600 yuan (1360 euro) ai residenti nelle aree urbane ed a 4.450 yuan (630 euro) a quelli delle aree rurali e per le famiglie non in grado di lavorare, è stato aumentato a 4.940 yuan (700 euro) a persona all’anno il sussidio per garantire i bisogni fondamentali (cibo, vestiario, cure mediche, alloggio).

Lo sviluppo economico è cresciuto ad un ritmo elevato, accompagnato dallo sviluppo ecologico ed alla difesa della biodiversità. L’altopiano del Qinghai-Tibet rappresenta uno straordinario ecosistema il cui cambiamento dell’ambiente ecologico avrebbe ripercussioni sull’intera umanità. Qui non solo sorgono le maestose montagne che fanno di quest’area il “tetto del mondo”, ma soprattutto è la fonte di approvvigionamento di più di 10 fiumi e 1.500 laghi di tutta l’Asia, che servono un numero significativo della popolazione mondiale. Nel corso della sua visita a luglio dell’anno scorso, il presidente cinese Xi ha ribadito che «la protezione dell’ecologia dell’altopiano del Qinghai-Tibet è il più grande contributo alla sopravvivenza e allo sviluppo della nazione cinese».

Ed il Tibet, che rappresenta l’area principale di questo altipiano insiste sulla tutela ambientale: la Regione autonoma ha istituito diversi tipi di stazioni per la protezione ecologica ed investito ingenti risorse. In quest’area, per esempio, sorge la Riserva naturale nazionale di Changtang che, con i suoi 298.000 Km quadrati è la più vasta di tutta la Cina. Il governo regionale ha stanziato 300 milioni di yuan (42 milioni di euro) per formare 73 squadre di gestione e protezione della riserva. Complessivamente, a fine 2021 il Tibet ha investito un totale di 81,4 miliardi di yuan (11,5 miliardi di euro) nella protezione ecologica e ambientale e ha implementato una serie di progetti di protezione e costruzione ecologica.

Nell’Accordo dei Diciassette Punti c’era una clausola che predisponeva un graduale piano di riforme che il governo cinese si impegnava ad istituire nella vita del paese. Le riforme progressivamente introdotte hanno cambiato i cardini della società tibetana, trasformando una massa di subalterni in un popolo padrone del proprio futuro. Uno vero smacco a coloro che avrebbero voluto trasformare quella regione in un avamposto geopolitico contro la Cina ed i cinesi.

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