L’ipocrisia e la retorica al potere

di Giorgio Riolo

Debito ecologico, debito coloniale e malsviluppo, i grandi assenti nei vertici mondiali sul clima

I Leonardo Boff è stato tra i fondatori della Teologia della Liberazione.  Una  volta  dismesso  il  saio  di  francescano  (ci ricordiamo il 1984, giustizieri Wojtyla e Ratzinger?), è  diventato  uno  dei  più  attenti  e  più  efficaci  critici  del  malsviluppo.  La  dimensione  sociale  e  la  dimensione  ambientale sono sempre presenti nella sua critica e nelle sue  proposte  alternative  al  corso  dominante  capitalistico  su  scala  mondiale.  In  un  recente  articolo  ha  parlato  dei  grandi  assenti  alla  Cop26  di  Glasgow,  la  Terra  e  la  Natura. Così, da lui ispirati, usiamo la stessa metafora a proposito di altri grandi assenti.In primo luogo, una questione di metodo. Il positivismo dominante, lo specialismo esasperato, la cultura del frammento, la mancanza di narrazione e di visione della “lunga  durata”,  il  postmoderno,  il  guardarsi  bene  dal  considerare che “nel capitalismo tutto si tiene”, la cancellazione  della  coscienza  storica  e  del  “presente  come  storia”, il neoliberismo insomma, la fanno da padrone. Il risultato è questo scenario desolante dei vertici mondiali, il G20 e la Cop26 di Glasgow come ultimi esempi.Manca la possibilità della considerazione dei problemi mondiali come un tutto organico, come un tutto correlato. A malapena si mettono in relazione i problemi ambientali e climatici con i problemi sociali, con il lavoro e con il nonlavoro. Non si mette in relazione la giustizia climatica con la giustizia sociale, con la questione femminile ecc. E quando lo si fa è spesso solo come concessione retorica.

II Semplicemente,  alla  Cop26  i  protagonisti  sono  stati  i  rappresentanti dei governi e delle istituzioni internazinali. Con le potenti lobby delle multinazionali come convitati di pietra. Sempre attive da Rio 1992 e influenti, anche per i soldi che mettono volta a volta come sponsors. Una netta contraddizione.I  giovani,  di  Fridays  For  Future  (Fff),  di  Extinction  Rebellion e di altri organismi, i rappresentanti dei popoli e dei senza potere del Sud Globale, dei popoli indigeni, dei movimenti ambientalisti e dei movimenti sociali, dle  coalizioni  popolari  sui  problemi  ambientali  e  sociali,  dei  sindacati,  delle  associazioni  della  società  civile  ecc.,  sono stati posti a latere, fuori dal vertice, nelle strade di Glasgow. Solo alcuni rappresentanti di questi organismi sono stati invitati a parlare nel vertice, come ornamento ed espressione di buona volontà da parte dei potenti.Il  fallimento  era  annunciato.  Molte  dichiarazioni  di  principio,  anche  nel  documento  finale,  ma  senza  piani  concreti e impegni vincolanti per conseguire i fini enunciati. Ipocrisia e retorica. Il neoliberismo per definizione non tollera leggi, norme, impegni vincolanti. Anche se i dominanti mondiali non  possono  più  negare  come  facevano  un  tempo.  In  questo, tra l’altro, accompagnati da negazionisti presenti là dove meno te lo saresti aspettato. L’industrialismo, il produttivismo, lo “strutturalismo”, lo scientismo ecc. hanno fatto molti danni a sinistra, partiti e sindacati. Anche in alcuni marxismi.Naturalmente   eurocentrismo   e   occidentalocentrismo in azione alla grande. Gli Usa e i paesi storicamente inquinatori  hanno  compiuto  da  subito  la  diversione  di  massa. Cina, India, Russia ecc. sono stati additati quali responsabili del disastro ambientale e climatico, e quindi del fallimento del vertice. Il fondamentalismo, il cretinismo “democratico” nostrano all’opera: giornalisti e vari esponenti  politici  italiani  di  centrosinistra  arruolati,  infervorati e solerti a mal informare. “La Cina la più grande inquinatrice del pianeta” ecc. ecc. Nessun riferimento al retroterra storico e all’ingiustizia storica accumulata.

Si assisteva a qualche dibattito televisivo e spesso era un giornalista economico o un esponente politico di destra a ricordare che le emissioni si calcolano procapite. Come indicato da organismi seri come lo Ipcc e il Global Footprint  Network  (Gfn).  Così  facendo  la  Cina  sprofonda  al  42mo  posto  nelle  emissioni  di  gas  serra.  Paesi  del Golfo, Usa, Canada, Australia ecc. diventano allora i primi inquinatori.Martina  Comparelli  di  Fff  Italia  sobriamente  ricordava,  in  uno  di  questi  dibattiti,  che  la  gran  parte  delle  produzioni  cinesi  sono  a  uso  e  beneficio  dei  mercati  e  dei consumi occidentali. L’“officina del mondo” attuale, come  l’Inghilterra  lo  era  a  partire  dal  1750  e  per  tutto  l’Ottocento. Si produce e si inquina fuori, nelle periferie, si consuma allegramente nei centri. Cina e India sono in tutti i casi paesi “cattivi”.L’accumulazione  del  capitale  e  l’accumulazione  dei  gas serra sono processi secolari. I cambiamenti climatici in corso hanno una causa “attuale” nei gas serra emessi in  qualche  ciminiera  di  Manchester  dal  1750  in  avanti  o  a  Pittsburgh  o  nella  Ruhr  dall’inizio  del  Novecento.  Quello che si riesce a fare come controtendenza da qui in avanti lo vedremo solo come effetto tra alcuni decenni. Almeno tra mezzo secolo.Quasi  nessuno  ha  fatto  riferimento  al  Gfn,  la  rete  mondiale sulla “impronta ecologica”, e ai numerosi rapporti  che  tale  organismo  emette.  Vero  metro  di  misura  di  ciò  che  succede  nel  pianeta  come  uso  e  abuso  delle  risorse. “Il livello di vita dell’americano medio non è in discussione”, è il mantra Usa da Reagan in avanti. Il fondamentalismo  americano,  democratico  o  repubblicano,  non  fa  differenza,  è  sempre  in  azione.  Allora  se  consumassimo  o  depredassimo  come  uno  statunitense  occorrerebbero 5 pianeti Terra, come un cinese 2,2, come un indiano 0,7. Dati Gfn.

III Alcuni  dati  e  alcuni  riferimenti  storici.  Il  Sud  Globale  giustamente  rivendica  il  debito  coloniale  e  il  debito  ecologico. Il colonialismo ha depredato risorse ed esseri umani. Ha sfruttato e ha sottratto ricchezza a beneficio dei paesi colonizzatori del centro, per il proprio sviluppo. Inibendo così lo sviluppo di queste aree saccheggiate.A proposito di debito coloniale, valenti storici indiani stanno calcolando quanta ricchezza la Gran Bretagna ha sottratto all’India. Dalla East India Company al dominio diretto britannico fino all’indipendenza del 1947. Somma incredibile, enorme, se si applica l’interesse composto in tutto questo tempo trascorso.Il debito ecologico è fortemente connesso. Non solo per quanto compiuto nel Sud Globale da parte delle potenze  colonizzatrici,  ma  anche  per  l’uso  indiscriminato  delle energie fossili (e conseguenti emissioni) per il proprio sviluppo dal 1750 in avanti.Ora si impone ai paesi cosiddetti in via di sviluppo di fermarsi. Cina e India dicono di no. Occorre una transizione verso la fine dell’energia fossile e verso l’energia totalmente rinnovabile. Questa transizione dovrebbe essere pagata dai paesi sviluppati, colonizzatori in primo luogo. Anche il ben misero fondo per il clima promesso a Parigi nel 2015 è stato disatteso. Nessuno ha versato. Adesso si promette di raddoppiare i 100 miliardi di dollari di prima. Ma non si contempla alcuna misura vincolante.Infine occorre ricordare sempre che la differenziazione  e  la  diseguaglianza  non  è  solo  su  scala  mondiale.  È  anche  entro  il  singolo  paese.  Negli  Usa  il  10%  più  ricco emette gas serra come il 50% più povero. E un dato storico  si  impone  e  ci  aiuta  a  comprendere  lo  stato  del  mondo, di allora e di oggi. Esiste una gerarchia mondiale nell’uso  dell’energia,  diretta  e  indiretta,  contenuta  nelle  merci e nei servizi. Nel 1980 un abitante Usa consumava tanta energia quanto 2 tedeschi, 3 svizzeri, 4 italiani, 60 indiani, 160 tanzaniani e 1.100 ruandesi.

IV Alcune  considerazioni  sempre  sulla  necessaria  transizione. Energetica e complessivamente nella riorganizzazione capitalistica.  La  prima  energia  alternativa  è  il  risparmio  energetico.  Non  solo  nella  sfera  degli  stili  di  vita  e  nelle  scelte  individuali.  È  enorme  l’energia  che  si  potrebbe  risparmiare  con  un  cambiamento  radicale  dei  processi  di  produzione, non solo nelle macchine, ma anche e soprattutto nella organizzazione produttiva. Anche in agricoltura e negli allevamenti, con la fine dei nefasti allevamenti intensivi.  Scienza  e  tecnologia  contemporanee  soccorrono. Tutto ciò comporta enormi investimenti, che verrebbero ovviamente ripagati nel lungo periodo. Ma le singole imprese  non  procedono  se  non  sospinte  entro  un  piano  governato dal centro, istituzioni nazionali e internazionali. Allora è interpellato il protagonismo non solo degli ambientalisti, ma di tutti i soggetti sociali, in primo luogo del mondo del lavoro (i sindacati, le lavoratrici e i lavoratori).

V Esiste una prospettiva. Un’esigenza. Occorre agire come soggetto sociale complessivo. Non separare ciò che non è separabile. L’auspicio è che alle mobilitazioni dei lavoratori  partecipino  gli  ambientalisti  (o  loro  delegazioni)  e così che alle mobilitazioni sui cambiamenti climatici e sull’ambiente  partecipino  sindacati  e  lavoratori.  Così  si  è  sperimentato  nei  Forum  Sociali  Mondiali  e  nel  movimento  altermondialista.  Questo  è  risultato  più  agevole  nel  Sud  Globale,  a  misura  delle  gravi  condizioni  in  cui  si trovano quelle aree del mondo. Meno facile nei centri capitalistici. Ma è la sfida con cui le classi subalterne, i movimenti antisistemici e i partiti della sinistra alternativa del centro debbono misurarsi.