
di Claudio Conti
L’Intelligenza Artificiale non è ancora stata ben compresa in tutte le sue implicazioni, ma già si capisce bene chi sia contrario a che diventi un “patrimonio comune” dell’umanità, fornendo possibilità di sviluppo a tutti – o almeno a molti – anziché a pochi miliardari infoiati.
Si è visto nel vertice di Parigi, dove praticamente tutti i paesi principali – più il segretario generale dell’Onu, Guterres – hanno auspicato un “riunione del mondo attorno a una visione condivisa: una visione in cui la tecnologia è al servizio dell’umanità, non il contrario”. Fino a siglare una dichiarazione finale per un’IA “aperta“, “inclusiva” ed “etica“, sottoscritto da 61 Paesi, tra Francia e India, coorganizzatori dell’evento, e la Cina.
Sappiamo fin troppo bene come queste dichiarazioni lascino un po’ il tempo che trovano, e quanto ogni paese – specie di una certa “potenza” – cerchi di mantenere il più possibile sotto il proprio controllo nuove tecnologie molto promettenti e anche pericolose per gli equilibri sociali e internazionali.
Ma dobbiamo prendere atto che 61 paesi siano disponibili a definire una “cornice comune” di regole e intenti, mentre gli Stati Uniti, come al solito e più del solito, fanno corsa a sé. E la patetica Gran Bretagna del fantoccio Starmer segua il padrone yankee parlando a vuoto…
A Parigi c’era il nuovo vicepresidente, quel J.D. Vance che prima della “discesa in campo” di Elon Musk sembrava il capofila della seconda generazione “Maga”. E difficilmente avrebbe potuto essere più contrario a qualsiasi regolazione internazionale, anche se solo “etica” e non vincolante.
Del resto vediamo ogni giorno come i principali boss hi tech con base negli Usa (lo stesso Musk, Altman di OpenAi, Thiel di Palantir, Bezos di Amazon, Bill Gates di Microsoft, i ceo di Google, ecc) siano impegnatissimi a farsi le scarpe a vicenda a suon di centinaia di miliardi di dollari, ma con qualche angoscia per una concorrenza cinese che già ora ha dimostrato – e non solo con DeepSeek – di poter fare almeno altrettanto, se non meglio, con quattro spiccioli e molta più intelligenza umana messa in comune.
Invece di stare al merito del vertice, Vance ha preferito mettere in guardia tutti dal trattare con “regimi che stanno utilizzando l’intelligenza artificiale per aumentare il controllo non solo sui propri cittadini ma anche su quelli di altri Paesi”. Ossia la Cina. Ed anche se nessuno ha fin qui portato una sola prova che – se non altro nei rapporti internazionali – Pechino stia “controllando i cittadini di altri paesi”. Mentre sovrabbondano le prove che i dati dei cittadini europei siano stati convogliati a vagonate verso le piattaforme Usa…
“Collaborare con loro significa incatenare la vostra nazione a un padrone autoritario che cerca di infiltrare, scavare dentro e appropriarsi della vostra infrastruttura informativa“, ha avvertito Vance con toni da “guerra fredda”. “Diventare partner di questi regimi è sempre sbagliato nel lungo termine“. Invece ad essere alleati dell’America la fregatura non manca mai…
Ma non c’è solo la competizione strategica tra grandi potenze, a preoccupare il vice della Casa Bianca. Altrettanto pericolosa, agli occhi di un imperialista iper-liberista, è l’eccesso di regolamentazione di cui ha accusato gli “amici europei“. Perché “troppe norme rischiano di soffocare nella culla una rivoluzione tecnologica” che gli Usa invitano a guardare con “ottimismo” e non con “trepidazione“. Lasciate fare a noi, ossia ai “privati” statunitensi del settore, insomma, e vedrete che successone avrete…
In generale, comunque, il vertice di Parigi ha evidenziato quanto sia grande la differenza di sviluppo tecnologico specifico tra le diverse aree del mondo. Se Usa e Cina, con modelli economici e politici molto diversi, stanno ai vertici dell’AI, e l’India – con le sue eccellenti scuole di matematica, fisica e informatica – appare in grado di recuperare buona parte dello svantaggio in tempi abbastanza ristretti. L’Europa “ordoliberista” e “austera” appare invece il vaso di coccio.
Il vertice di Parigi, voluto soprattutto da Macron, è stato pensato per tentare il rilancio del ruolo dell’Unione Europea a partire dalla base politica su cui dovrebbe poggiare l’Intelligenza Artificiale: diritti e tutela dei cittadini, futuro del lavoro. Ma proprio qui si può misurare sia l’ipocrisia che la distanza dalla realtà. Quella base – diritti dei cittadini e del lavoro – è stata quasi annientata nei 30 anni di politiche derivanti dagli accordi di Maastricht. Difficile edificarci sopra un’”etica” degna di questo nome…
Ma anche sul piano strettamente scientifico, decenni di tagli all’istruzione, all’università e alla ricerca hanno segato le gambe alla possibilità di produrre risultati – anche nell’AI – all’altezza dei “concorrenti”.
Senza investimenti, del resto, non si può progredire. E quindi l’”orgoglio europeo” deve subire lo sberleffo per cui gli unici investimenti rilevanti promessi nell’area europea sono… americani.
Amazon ha annunciato un investimento di 9,5 miliardi di euro per nuovi data center nel Regno Unito. Microsoft ha destinato 4 miliardi di euro a data center e formazione AI in Francia e in Italia. Amazon investirà 15,7 miliardi di euro per ampliare le infrastrutture nella regione spagnola di Aragona.
In ogni caso ci saranno problemi di costi dell’energia, perché i data center ne assorbono quasi quanto le acciaierie. E l’energia elettrica, in Europa, costa quattro volte il prezzo Usa, grazie alla rottura con Mosca e ai gasdotti sabotati dai servizi segreti ucraini e Nato.
Ma il problema centrale resta il controllo della tecnologia. Le multinazionali Usa dell’AI non hanno neanche bisogno di chiedere finanziamenti alle banche, vista la marea di liquidità di cui dispongono. E ai governi europei, compresa la cosiddetta Commissione guidata da von der Leyen, viene a mancare qualsiasi strumento concreto per mettere almeno il naso dentro quei data center.
Le “regole”, in effetti, diventano in questo modo soltanto delle foglie di fico che coprono l’impotenza…
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