di Francesco Fustaneo
Non accennano a placarsi in Libia le tensioni in merito alla Banca centrale anche dopo l’insediamento del nuovo del Governatore, Naji Mohamed Issa Belqasem.
L’accordo sulla nomina alla carica apicale della principale istituzione economica del Paese, giunto con la mediazione della Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), tra i membri dell’Alto Consiglio di Stato a Tripoli (HCS) e della Camera dei Rappresentanti legati al governo legittimo di Bengasi-Tobruk (HoR), ha spianato la strada per l’ascesa ufficiale dell’ex Direttore del Dipartimento di vigilanza monetaria e bancaria.
In concomitanza con la sua nomina veniva annunciato l’immediata riapertura dei principali giacimenti petroliferi, tra cui Sharara, el-Feel ed es-Sider.
E’ da menzionarsi che precedentemente la NOC (National Oil Company ), infatti, aveva deciso di bloccare la produzione (blocco ora revocato, come peraltro certifica l’annuncio dato in questi giorni dalla suddetta “Compagnia” del fatto che la produzione di petrolio in Libia abbia raggiunto quota 1.217 milioni di barili al giorno) in risposta alla stop imposto dal governo di Bengasi che controlla la parte orientale della Libia, alla produzione e all’export di greggio.
La decisione da Bengasi era stata presa come reazione al tentativo del governo di unità nazionale di sostituire l’allora governatore della Banca centrale (che fondamentalmente gestisce le ingenti risorse generate dalla vendita del petrolio). Le dichiarazioni avevano subito provocato un incremento del prezzo del petrolio sulla scena economica internazionale. Facciamo però un passo indietro: l’undici agosto gruppi di persone (tra loro alcune armate) avevano cercato di espellere Seddiq el-Kebir (governatore della Banca centrale libica, in carica dal 2012), diventato inviso agli occhi di Abdul Hamid Dbeibeh (a capo del governo di unità nazionale di Tripoli). Successivamente sarebbe giunta notizia del rapimento del direttore del settore informatico della Bcl, Musab Msallem. Nel vortice di tale tensione, il governatore metteva in congedo tutti i dipendenti della Bcl e abbandonava l’edificio. Da lì a breve, sarebbe stata annunciata dal Consiglio presidenziale, organo di fatto sotto il controllo di Dbeibeh, una commissione per un fantomatico passaggio dei poteri. Scelta ovviamente, contestata dalle autorità di Bengasi che da parte loro denunciavano pubblicamente gli attacchi e i tentativi d’incursione con la forza nei locali della Banca Centrale Libica. Successivamente dopo quasi un mese di negoziati, a fine settembre si approdava alla nomina sopra menzionata di Naji Iss al vertice della Banca centrale.
Proprio oggi (10 ottobre, n.d.r.) il primo vicepresidente della Camera dei rappresentanti,Fawzi Al-Nuwairi, ha invitato proprio il nuovo governatore della Banca centrale e il suo vice, Marai Al-Barasi, a “tenere la Banca centrale lontana dall’influenza di ambasciate”, chiedendo loro di “concentrarsi sull’adempimento dei propri compiti invece di tenere incontri con gli ambasciatori”. La Banca Centrale è un’istituzione sovrana e non politica”. L’ammonimento giunge proprio dopo l’incontro del governatore della Banca Centrale con l’incaricato d’affari dell’ambasciata americana in Libia, Jeremy Brent.
Come riporta la testata libica Alwasat, Al-Nuwairi in sostanza critica l’insistenza dell’ambasciata americana nell’imporre accordi finanziari. Si tratta di “una questione sorprendente e riprovevole, nonché una violazione delle leggi del principio di non interferenza, la sede di tutti gli accordi internazionali, che è la base della sovranità di ogni Stato”, ha affermato. Il primo vicepresidente della Camera dei rappresentanti ribadisce nelle sue dichiarazioni che il bilancio generale dello Stato e le sue disposizioni finanziarie sono una questione puramente sovrana e rientrano nell’ambito riservato della sua autorità. “A meno che non sia soggetto ad accordi esterni dovuti ad aiuti o sia vincolato da restrizioni sui prestiti”.
Ricordiamo come ausilio alla lettura che il quadro politico libico è assai complesso: nel paese si contrappongono da una parte un governo (formalmente definito di unità nazionale), guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, insediato a Tripoli, sostenuto dall’Occidente e riconosciuto dall’Onu (difeso da milizie armate che lucrano sulla pelle dei migranti subsahariani e sul trafugamento del petrolio), che controlla la Tripolitania e poco altro; dall’altro un governo che di fatto espleta la propria autorità sulla maggioranza del territorio libico, espressione del parlamento eletto legittimamente dal popolo, che nelle ultime elezioni avvenute nell’ormai lontano 2014, di fronte all’opposizione militare delle milizie di Tripoli (di fatto finanziate dall’Occidente) non si è mai potuto insediare nella capitale, ma ha scelto sin dall’inizio la città di Tobruk, sulla costa orientale del paese come propria sede.
I tentativi di ingerenza e in generale le interferenze estere legate alle mire sulle risorse del paese da parte del blocco occidentale e paesi loro alleati sono all’ordine del giorno; quella in questione, evidenziata dalle rimostranze sollevate dall’esponente della Camera dei rappresentanti, e’ solo l’ultima in ordine cronologico.
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