Leone XIV e il Cattolicesimo sociale che nega la lotta di classe

speriamo che questo interessante contributo di Giulio Chinappi possa aprire un dibattito sulla nuova figura del Pontefice

di Giulio Chinappi

da https://giuliochinappi.wordpress.com

Con l’elezione di Robert Francis Prevost come Papa Leone XIV, il richiamo a Leone XIII riapre il dibattito sull’enciclica Rerum Novarum e sul Cattolicesimo sociale: apparente giustizia e solidarietà che tuttavia rifiuta il socialismo e ogni cambiamento radicale.

L’elezione di Robert Francis Prevost al soglio di Pietro, con il nome di Leone XIV, è stata accolta come un passo di continuità rispetto all’impegno sociale inaugurato da Francesco, ma, a nostro modo di vedere, va letta anche nella cornice dottrinale precisa che anima il Cattolicesimo sociale fin dalle origini. Quando Leone XIII – al quale appare evidente il riferimento nella scelta del nome del nuovo papa – pubblicò, il 15 maggio 1891, l’enciclica Rerum Novarum, non intendeva certo sposare le tesi marxiste né promuovere un conflitto di classe come motore della Storia: al contrario, la Chiesa negava radicalmente ogni rivoluzione sociale che poggiasse sulla lotta di classe e sull’abolizione della proprietà privata.

In quegli anni, la condizione operaia era drammatica, con salari da fame, condizioni sanitarie allucinanti e sfruttamento minorile diffuso. Tuttavia, Leone XIII rifiutava tanto il laissez-faire liberista quanto il socialismo scientifico di matrice marxista. La sua enciclica propose un’alternativa che i suoi fautori definirebbero “armonizzante”, secondo la quale lo Stato doveva intervenire per garantire ai lavoratori diritti fondamentali, promuovere sindacati cattolici e contratti collettivi, ma senza mettere in discussione l’esistenza di imprenditori e capitalisti. In questo schema, il giusto salario non era frutto della lotta di classe, bensì della collaborazione interclassista, secondo la tipica visione cattolica di una grande famiglia umana.

Quando l’elezione di Prevost ha fatto risuonare in Piazza San Pietro il nome di Leone XIV, alcuni ambienti di sinistra hanno esaltato la valenza “rivoluzionaria” del Cattolicesimo sociale del suo predecessore, dimenticando però che la Rerum Novarum condannava esplicitamente il socialismo e la lotta di classe. Il testo papale metteva infatti in guardia da “chi, spinto da amor di sovvertire la società, non esita a sciogliere legami sacrosanti quali la proprietà” e ricorda che “nessuna civiltà si regge laddove non v’è rispetto del diritto di proprietà”.

Certo, il neo-Papa Leone XIV proviene da una biografia che unisce Nord e Sud del mondo cattolico. Nato a Chicago da padre di origini francesi e italiane e da madre ispano-peruviana, ha maturato la sua esperienza pastorale tra le periferie di Trujillo e Chiclayo, in Perù. Missionario agostiniano per decenni, ha poi diretto il Dicastero per i Vescovi e la Pontificia Commissione per l’America Latina, rivelandosi sensibile alle sofferenze dei più deboli ma sempre all’interno di un’ottica di mediazione pacifica tra le istanze sociali.

Nel suo primo discorso, pronunciato dalla Loggia delle Benedizioni, ha voluto richiamare la pace come presupposto di ogni autentica trasformazione, ma ne possiamo dedurre che la Chiesa non può essere né “rivoluzionaria” né promettere una reale uguaglianza ottenuta tramite la soppressione dei diritti che Leone XIII riteneva “naturali”. Il richiamo al “dominio della natura” non tirannico e alla reciprocità con l’ambiente, di cui Prevost ha parlato in un’intervista dello scorso anno a Vatican News, si inscrive, infatti, nella tradizione dell’enciclica di Francesco Laudato si’, ma senza certo sposare posizioni radicali che individuano nell’uomo, e in particolare nel sistema capitalista, il reale responsabile della crisi ambientale.

Leone XIV si presenta dunque come un interprete contemporaneo del Cattolicesimo sociale, capace di rinnovare la dottrina della sussidiarietà in un contesto globale segnato dalle disuguaglianze e dalla crisi climatica, ma rifiutando una vera critica radicale al neoliberismo, restando dunque pienamente nella tradizione cattolica. Nel complesso, dunque, il nuovo Pontefice potrebbe in gran parte riproporre la stessa linea di Papa Francesco, sostenendo un’economia al servizio della persona, rafforzare le reti di solidarietà e di cooperazione, ma senza mettere realmente in discussione i fondamenti del neoliberismo.

Appare dunque chiaro che l’eredità di Leone XIII, rilanciata dal nome di Leone XIV, non è quella di una Chiesa schierata nel conflitto tra classi lavoratrici e grande borghesia, bensì di una comunità ecclesiale che crede in un dinamismo sociale capace di costruire alleanze interclassiste tra classe operaia e impresa, lavoratori e imprenditori, Stato e società civile.

Da una prospettiva marxista, dunque, l’elezione di Leone XIV appare principalmente come un’operazione di amministrazione sistemica delle contraddizioni sociali, atta più a preservare l’ordine esistente che a sovvertirlo. Se Leone XIII nell’Ottocento aveva posto rimedio alle degenerazioni più estreme del capitalismo industriale con un richiamo paternalistico allo Stato regolatore, oggi Prevost – erede simbolico di quella tradizione – rinnova la promessa di “armonizzazione” tra capitale e lavoro senza però mettere in discussione le fondamenta strutturali della proprietà privata e del profitto. L’appello a un “dominio della natura non tirannico” e a una “relazione di reciprocità” con l’ambiente sembra una pacificazione morale, ma non affronta le logiche di accumulazione che spingono le classi dirigenti a sfruttare risorse naturali e forza lavoro finché sono profittevoli.

L’idea che la giustizia sociale possa realizzarsi attraverso la buona volontà degli imprenditori illuminati e la mediazione istituzionale è tipica di un riformismo borghese che non scuote mai le strutture di potere. È illusorio pensare che il medesimo sistema che produce diseguaglianze crescenti possa essere corretto dall’interno da organismi spirituali o da encicliche pastorali. Il racconto vaticano, inoltre, propone il Cardinale Prevost come “ponte” tra Nord e Sud del mondo, ma ignora sistematicamente la dinamica reale dello sfruttamento globale, delle catene del valore che riversano la ricchezza nelle mani di pochi mentre la maggioranza vive precarietà e povertà.

Il richiamo al dialogo con i migranti e alle “periferie esistenziali” non scalfisce il cuore delle relazioni di classe: l’ordine politico-economico rimane intatto, e la Chiesa, al di là di qualche iniziativa caritatevole, continua a legittimare il sistema capitalista come unica cornice possibile per la convivenza sociale. In questo senso, anche l’attenzione alla crisi climatica di Prevost rischia di tradursi in una green economy fondata su incentivi fiscali e innovazioni tecnologiche, senza mettere in discussione la sete di profitto che alimenta l’estrazione selvaggia e lo sfruttamento intensivo delle risorse.

Infine, il dispiegarsi di gesti accoglienti nei confronti delle comunità più fragili – migranti, poveri rurali, minoranze – serve, dal nostro punto di vista, unicamente a placare il malcontento e a veicolare un’immagine di compassione che non altera il nesso di forza capitalistico. Un’alleanza concreta tra lavoratori, contadini e movimenti ecologisti rimane esclusa dalla riflessione di una leadership ecclesiastica che, pur riconoscendo le ingiustizie, non propone alcuna trasformazione radicale dei rapporti di produzione. Leone XIV, con il suo richiamo alla pace e all’equilibrio, si pone dunque come amministratore delle tensioni sociali piuttosto che come agente di rottura rivoluzionaria, confermando ancora una volta che il Cattolicesimo sociale, al netto delle sue velleità umanitarie, non intende né può sfidare l’egemonia del capitale sulla vita quotidiana delle masse.

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