di Paolo Pioppi
Trent’anni di guerre pretese ‘umanitarie’ o ‘contro il terrorismo’ condotte dopo il crollo dell’URSS dagli USA con varie combinazioni di alleati-vassalli per lo più (ma non solo) della NATO, hanno da tempo assuefatto le opinioni pubbliche alla guerra, soprattutto nelle fasi di apparente stasi, in assenza dei grandi dispiegamenti di forze che hanno caratterizzato il bombardamento della Serbia, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq o l’impresa di Libia.
C’è però un particolare tipo di guerra rispetto al quale non c’è solo assuefazione, ma totale cecità, come se non esistesse o, peggio ancora, come se fosse un antidoto, un’alternativa alla guerra vera e propria. E’ il caso delle cosiddette sanzioni economiche che vengono adottate da Stati Uniti e UE spesso insieme, qualche volta anche con significative divergenze, ma comunque sempre come strumenti unilaterali di guerra economica, particolarmente odiosi quando sono chiaramente finalizzati, al pari degli interventi militari, a rovesciare governi sgraditi, come è il caso tra gli altri della Siria, dell’Iran, del Venezuela, più recentemente della Bielorussia.
E’ una situazione davvero grottesca. Quanto alle motivazioni che si danno, basta pensare, tanto per mantenere un minimo di equilibrio mentale, a quante e quali sanzioni dovrebbero essere comminate contro gli USA per l’invasione dell’Iraq o per il furto in atto del petrolio siriano, tanto per dire1. O basta considerare il caso di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei, arrestata nel dicembre 2018 in Canada su mandato USA e in attesa di estradizione, accusata di frode bancaria e cospirazione per aver intrattenuto rapporti commerciali con l’Iran! Come se le leggi USA dovessero valere per tutto il mondo. E in effetti funziona così per chi si piega o non ha la forza di respingere i ricatti. Incredibilmente poi c’è persino un’area non piccola di sinistra che non si vergogna di sostenere certe sanzioni mostrando di trangugiare senza batter ciglio le motivazioni di difesa dei diritti umani che vengono di volta in volta propinate.
Mentre in Europa, e certamente in Italia, a nostra conoscenza, della guerra delle sanzioni si parla assai poco, o solo quando sono in gioco interessi contrastanti tra l’Europa e gli USA, come sul North Stream 2, dagli Stati Uniti viene da tempo un invito pressante a far luce su questo genere di guerra, particolarmente efficace contro i paesi più deboli, e a darsi da fare per contrastarla.
E’ il caso del movimento “Sanctions Kill” (le sanzioni uccidono)
Il loro sito internet https://sanctionskill.org/ riporta un appello alla mobilitazione, disponibile anche in italiano https://sanctionskill.org/italian-italiano/ , e dà accesso a molte informazioni utili sulle sanzioni, compresa una lista di ben 39 paesi che ne sono oggetto.
Il prossimo 12 settembre il movimento organizza un “webinar”, un seminario via internet, a cui è possibile iscriversi dal sito. “Lungi dal ritirare le misure unilaterali adottate da Trump – scrivono gli organizzatori – Biden le ha ulteriormente estese. La conferenza on line annuncerà anche l’uscita di una relazione su ‘Portata e conseguenze delle sanzioni USA’. Le sanzioni sono una forma di guerra. Sono dirette contro i popoli dei paesi che non si piegano alle imposizioni degli USA, al fine di rendere intollerabile la vita in quei paesi per suscitare opposizione ai rispettivi governi e sostenere così i programmi nordamericani di “regime change”. Nei casi più gravi, come quelli di Cuba, del Venezuela e di altri paesi, le sanzioni bloccano l’accesso a cibo e medicine e al commercio causando sofferenze enormi alle popolazioni”.
Sono previste 4 relazioni, sulle sanzioni che colpiscono l’America Latina (Margaret Flowers), su quelle contro l’Africa (Omowale Clay), sulle sanzioni come strumento dell’imperialismo (Asantewaa Nkrumah-Ture), sulla solidarietà con i paesi sottoposti a sanzioni (Sara Flounders).
Anche in Italia è necessario rompere il muro del silenzio che circonda le sanzioni USA e UE, a cui il governo italiano aderisce in modo quasi automatico e generalmente senza nessuna discussione di merito. Il nostro paese deve smettere di “usare le sanzioni come un’arma in mancanza di altri metodi per promuovere la politica estera”, secondo l’espressione utilizzata di recente a Roma dal ministro degli esteri russo, e deve essere libero di intrattenere rapporti economici di mutuo vantaggio con tutti i paesi.