Le prospettive economiche della Cina nel 2024: sfide, opportunità e nuovo paradigma di sviluppo

di Francesco Maringiò

da https://italian.cri.cn/

La Cina è cresciuta per decenni ad un ritmo di sviluppo incredibile, segnando anno su anno un incremento del Pil a due cifre. La situazione è cambiata quando da un lato l’economia ha raggiunto dimensioni tali da spingere verso un nuovo modello di sviluppo e dall’altro le sollecitazioni sterne (all’epoca la grande crisi economica del 2008) hanno necessitato una “nuova normalità” economica.

Tuttavia viviamo anni caratterizzati da profonde accelerazioni dei processi storici, per cui nel breve volgere di pochi anni nuove sollecitazioni esterne (come la lunga limitazione degli scambi tra la Cina ed il mondo a causa delle chiusure imposte dal Covid e la crescente complessità dell’ambiente esterno, dovuto ai cambiamenti geopolitici in corso) spingono la classe dirigente cinese al ripensamento del modello di sviluppo, affinché sia in grado di generare crescita e benessere.

È stato certamente questo il perno della discussione che ha coinvolto due importanti assisi politiche che si sono tenute in Cina all’inizio del mese, quando si è riunito prima l’Ufficio politico del Comitato centrale del Pcc e poi la Conferenza centrale sul lavoro economico. In questi consessi si sono analizzate le sfide che la Cina ha davanti, cioè: la mancanza di domanda effettiva, la sovraccapacità in alcuni settori commerciali, basse aspettative sociali ed un mutato quadro geopolitico che ha messo al Cina al centro di tentativi di “contenimento” soprattutto da parte degli Stati Uniti e degli alleati più fedeli, nello sforzo di rallentare la crescita tecnologica e scientifica (e quindi in ultima analisi economica) di Pechino.

Non sono gli unici problemi: negli ultimi anni si è alzata la soglia di attenzione nei confronti del mercato immobiliare, delle difficoltà riscontrate da alcune banche commerciali e dall’aumento del debito pubblico in capo ad alcuni enti locali. Tutti problemi che qui in Occidente sono esplosi causando lo scoppio di bolle (immobiliari, del credito, delle banche, etc.) e che invece in Cina sono stati governati al punto da garantire anche per quest’anno un livello di crescita attorno al 5% del Pil. Lo sviluppo ha segnato quota 5,2% nei primi tre trimestri dell’anno e, a fine anno, dovrebbe stare saldamente sopra la soglia del 4,8% che è il livello di crescita minima per garantire il raggiungimento nel 2035 del raddoppio del Pil del 2020, come previsto e programmato. Diversi indicatori economici prevedono che il Pil nel 2024 raggiungerà nuovamente il traguardo del 5% e che, confrontato con una previsione di crescita dell’Italia dello 0,9%, dell’1,3% dell’Ue e dell’1,4 del Pil americano, confermano il paese asiatico come una locomotiva essenziale della crescita economica globale.

Nel corso della riunione del Politburo dell’8 dicembre scorso si è chiarito il metodo di lavoro scelto dalla dirigenza cinese: «il prossimo anno – leggiamo nel documento di sintesi finale – dovremo aderire al principio di cercare il progresso mantenendo la stabilità, promuovere la stabilità attraverso il progresso e dare priorità allo sviluppo prima di affrontare i problemi». L’esigenza è quindi quella di promuovere la crescita ma, in un contesto così fortemente caratterizzato dall’emergere di fattori endogeni ed esogeni, il punto centrale diventa “quale crescita”. Nel corso della Conferenza centrale sul lavoro economico si è quindi parlato dell’esigenza di creare un nuovo paradigma di sviluppo, capace di promuovere uno sviluppo di “alta qualità” ed approfondire le riforme e l’apertura. Anche in virtù di questo obbiettivo è stato lanciato il progetto “invest in China”, con l’obbiettivo di attirare investimenti stranieri, anche grazie ad un rinnovato ambiente imprenditoriale capace di abbattere le barriere che rendono difficoltoso agli stranieri andare in Cina per affari, studio e turismo. La stessa decisione di concedere l’esenzione dal visto ad alcuni paesi (tra i quali il nostro) per una permanenza in Cina di 15 giorni rientra in questa strategia.

Oltre a questo, le decisioni prese riguardano l’autosufficienza in campo scientifico e tecnologico. Questa scelta non nasce soltanto da una logica difensiva rispetto ai tentativi messi in campo da alcuni paesi di rallentare lo sviluppo tecnologico cinese, ma anche dalla risolutezza a creare nuovi modelli e stimoli, per forgiare una nuova industrializzazione.  Quello di “stabilire il nuovo prima di cancellare il vecchio” è proprio uno dei principi espressi nei documenti della Conferenza centrale sul lavoro economico degli ultimi due anni.

Per far fronte ad una crescita importante in un contesto ricco di sfide, sono necessarie riforme del sistema fiscale e tributario, anche per migliorare la sinergia tra i dati a livello macro economico e la percezione a livello micro. Infine, tra i punti chiave del lavoro economico del 2024 ci sono investimenti sul settore agricolo e lo sviluppo integrato tra aree rurali ed urbane e l’attenzione all’economia verde nel più ampio contesto della costruzione della civiltà ecologica, che è qualcosa di più della semplice riduzione delle emissioni di carbonio, ma abbraccia una dimensione olistica che investe il più complesso e fondamentale rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

Altro tema centrale è quello relativo a migliorare efficacemente i mezzi di sussistenza delle persone, anche migliorandone la qualità della vita. Su questo aspetto sono testimone di una tendenza importante: nel corso di una recente visita a Suzhou ho potuto constatare come i residenti abbiano registrato in media un aumento salariale del 4,5% all’anno, una tendenza che nell’eurozona invece raggiunge valori negativi, con una media europea di retribuzioni orarie reali calate del 5% (in Italia tocchiamo quota -7,3%).

Quelli dell’economia cinese sono dati importanti non sono per la Cina ma anche per il resto del mondo. Secondo un report dell’Ufficio Nazionale di Statistica, il contributo cinese alla crescita globale è stato del 30% dal 2013 al 2021 (il trend dovrebbe confermarsi anche per l’anno in corso). Un rafforzamento dell’economia cinese, quindi è nell’interesse di tutti. Lo sanno bene i tedeschi che, secondo, un report del Keil Institute avranno un calo del Pil dello 0,5% nel medio-lungo termine per pagare la scelta politica del cosiddetto “de-risking”. Il che, unito allo sforzo economico della guerra ucraina e le sanzioni alla Russia ed il sabotaggio del Nord Stream che riforniva la prima manifattura europea di energia a basso costo, fa dell’industria tedesca l’osservato speciale d’Europa per i rischi sistemici che la sua crisi porterà con sé.

La Cina, per conto suo, sta guidando una trasformazione tecnologica e produttiva molto importante ed è leader indiscusso in quei settori industriali che permetteranno all’Ue di attuare la sua agenda di transizione ecologica. Un’occasione in più per guardare alla Cina come un alleato, come lo è stato negli anni di crescita e sviluppo che abbiamo alle spalle.

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