LE PECULIARITÀ DEL CASO GABONESE

di Massimiliano Gazzola, collettivo Spread it

Nella Francia equatoriale il Gabon ha da sempre rappresentato un paese fondamentale per l’Eliseo.

La presa coloniale di Parigi si è strutturata storicamente nel governo e nelle ingerenze in due  parti che costituiscono la cosiddetta France afrique.

Nelle cerchie che si prendono cura del governo delle ex colonie, dove si parla serenamente di “France utile” e “France inutile”, il Gabon rientra nel primo gruppo.

Un paese che ha una tradizione di stabilità governativa di marchio francese di grande portata, affondando le sue radici nel contesto storico della lotta anticolonialista novecentesca.

A Libreville, capitale dello stato centrafricano, governa il clan Bongo dallo stesso anno nel quale Israele occupa i territori Palestinesi.

Mezzo secolo di governo coloniale, gestito da un clan che regna grazie all’intermediazione esclusiva delle risorse energetiche e minerarie del paese, estratte avidamente dalle società energetiche occidentali, francesi in testa.

L’importanza di queste figure, per le politiche di potenza occidentali è cruciale, sia lato energetico e minerario, visto che il Gabon è ricco di petrolio, legname, manganese, oro e diamanti, sia militare, in questo caso per confermare la presenza nelle fonti geografiche di estrazione, in grado così da proteggere l’accaparramento delle risorse e le possibilità di poterne influenzare l’andamento dei prezzi.

Cinquant’anni dove però, nonostante le numerose attenzioni occidentali, non si può dire di certo che si sia mosso qualcosa di realmente significativo sotto il punto di vista del progresso materiale della popolazione.

D’altronde il rapporto che intercorre tra la Francia e il Gabon, qualora ci soffermassimo a dare uno sguardo alle operazioni industriali che legano i due paesi, ci fanno notare come sia indispensabile per l’imperialismo occidentale in generale e quello francese in questo specifico caso mantenere salde prerogative nel paese, soprattutto per quanto riguarda operazioni estrattive mirate principalmente all’estrazione del manganese, fondamentale per il mercato relativo alla lavorazione dell’acciaio e delle batterie industriali impiegate nell’edilizia, nell’uso domestico e per l’industria automobilistica, nonché relativo alla lavorazione tecnologica dei materiali come per quanto riguarda la produzione di acciaio al carbonio.

In questo frangente troviamo come aziende privata leader nel paese centro africano, la Eramet, che attraverso lo sfruttamento delle miniere di manganese di Moanda, le più grandi al mondo, controlla tutta quella specifica catena del valore, servendosi in loco di collegamenti ferroviari esclusivamente dedicati alla movimentazione di quelle merci, come tipico dei processi di infrastrutturazione coloniale, che collegano il Gabon orientale a quello occidentale.

Per quanto riguarda gli idrocarburi e tutte le lavorazioni inerenti, in Gabon la società leader, che de facto ha una posizione molto preminente  in questo ambito produttivo nel paese africano è la TotalEnergies, presente in Gabon ormai da novant’anni e referente principale dell’estrazione di materiale fossile dai giacimenti sui poli di Anguille/Île Mandji e Torpile/Baudroie Mérou.

Esiste anche un altro operatore francese, particolarmente presente in Gabon, e che può vantare una lunga storia relativa all’estrazione degli idrocarburi nell’Africa occidentale e cioè la Maurel and Prom, che appena prima del golpe del 29-30 agosto, aveva acquisito ulteriori quote di sfruttamento nei giacimento gabonesi, trattando direttamente con la Carlyle, società statunitense leader nel settore, per l’acquisizione della Assala Energy per 730 milioni di dollari.

Società che proprio in quel periodo stava perfezionando anche l’acquisizione in Tanzania  della società britannica di produzione di gas naturale Wentworth Resources per 61,7 milioni di sterline.

Per quanto riguarda le operazioni offshore molto attiva è la società BW energies, che grazie allo sfruttamento dei giacimenti di Dussafu, attraverso anche l’esplorazione e la trivellazione di altri siti, si è garantita una buona fetta di questo compartimento interno gabonese.

LA SITUAZIONE ATTUALE 

Eppure il Gabon, essendo ricco di materie prime ed avendo una popolazione relativamente contenuta, avrebbe avuto tutte le opportunità di svilupparsi, portando progressivamente la sua popolazione a raggiungere livello di sostentamento e di vita media in grado di migliorare la condizione di vita dei gabonesi.

Ma i risultati attuali indicano una longevità media che si aggira attorno ai 53 anni, con salari medi spaventosamente bassi ed utili relativi all’estrazione minerarie, principale voce della produzione del paese centrafricano, in uscita verso l’Europa e gli Stati Uniti che poi distribuiscono le briciole al clan Bongo per il servizio svolto.

Poco o nulla rimane ad una popolazione che pure cerca di farsi rappresentare da un fronte politico d’opposizione estremamente variegato, che raccoglie pezzi della società tribalizzata del Gabon ed ex collaboratori dell’entourage Bongo ( che in Africa significa essere parenti, in una buona percentuale dei casi).

Questa è stata la forma  ancora molto contraddittoria che il popolo gabonese, non così compatto per quanto riguarda determinate linee di opposizione, si è dato dopo i disordini del 2016, dove già era uscita questa rabbia nei confronti della dinastia Bongo, che come detto guida il paese per conto terzi da 56 anni.

Elezioni quindi importanti quelle del 26 Agosto, dato che questo contesto interno è esacerbato dalla contingenza internazionale e regionale che più a nord vede un altro paese importante strategicamente per Parigi, il Niger, rivoltarsi senza esitazione alla presenza francese, andando a colpire immediatamente gli interessi occidentali e chiarendo così, tra azioni diplomatiche e manifestazioni di strada, la parte che si è scelta in questa nuova fase della politica internazionale.

Come prevedibile le elezioni si sono svolte subito quindi in un clima teso e pieno di sospetti.

Sospetti che si sono materializzati alla notizia dei risultati, arrivati in una tornata elettorale con la copertura mediatica già ampiamente compromessa dato il blocco deciso dal governo, che proclamava la conferma di Ali Bongo e la sconfitta dell’opposizione.

Questo risultato ha da subito alzato un polverone trasversale nella vita politica del paese fino alla notizia che ha svegliato l’occidente, la mattina del 30 Agosto, quando cioè lo stato maggiore dell’esercito gabonese, in diretta televisiva, dichiara di aver occupato i luoghi del potere di Libreville, di avere in custodia Ali Bongo, e di voler mantenere il rispetto delle prerogative costituzionali.

La reazione della piazza è immediatamente chiara.

La gente del Gabon appoggia questa azione che tende a delegittimare il risultato delle ultime elezioni dando una spallata ad Ali Bongo per disarcionarlo dal governo del paese.

Nei dicasteri della politica internazionale le risposte all’azione evidenziano una certa cautela nella valutazione del caso e comunque una generale apertura rispetto i possibili futuri sviluppi.

Se l’unione europea condanna il colpo di stato, gli stati uniti si dicono preoccupati ma aprono ad un’interpretazione che concede uno spiraglio ai sentimenti di risentimento verso una gestione del potere clanistica :

“Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per l’evoluzione degli eventi in Gabon. Rimaniamo fermamente contrari ai sequestri militari o ai trasferimenti di potere incostituzionali. Esortiamo i responsabili a rilasciare e garantire la sicurezza dei membri del governo e delle loro famiglie e a preservare il governo civile. Inoltre, invitiamo tutti gli attori a mostrare moderazione e rispetto per i diritti umani e ad affrontare pacificamente le loro preoccupazioni attraverso il dialogo dopo l’annuncio dei risultati elettorali. Notiamo inoltre con preoccupazione la mancanza di trasparenza e le segnalazioni di irregolarità legate alle elezioni. Gli Stati Uniti stanno dalla parte del popolo del Gabon.”

(Matthew Miller, portavoce del dipartimento delle ambasciate statunitensi, 30 Agosto 2023).

Nel mentre il Cremlino e Pechino si dicevano preoccupati per la situazione, affermando la necessità di dirimere in maniera non violenta la questione elettorale ed esortando verso il rispetto delle garanzie in merito alla sicurezza personale del presidente e del suo entourage.

Commenti internazionali ad un golpe militare  avvenuto un mese dopo il rivolgimento nigerino, che, come dicevamo prima, sembravano voler seguire ciò che stava accadendo più che dare intimidazioni perentorie, cosa confermata anche dalle stesse uscite francesi, che oltre all’ovvia condanna dell’azione dei militari, non si  sono spinti in avvertimenti ed ultimatum, come invece era successo quando erano stati i militari di Niamey a decidere per una via diversa che non fosse quella tradizionalmente condotta  dall’Eliseo.

Il generale Nguema, nominato per acclamazione come leader di questo organo di transizione formato dai militari gabonesi qualche giorno dopo il golpe, dichiara l’incolumità dell’ex presidente Ali Bongo e l’intenzione del Gabon di rispettare gli accordi internazionali stipulati.

Per quanto riguarda i rapporti con l’opposizione, questa non viene dichiarata vincitrice delle ultime elezioni, ma si cerca una soluzione che garantisca una normalizzazione e comunque una istituzionalizzazione delle spaccature nella vita politica gabonese, distribuendo ruoli per la decisione e la strutturazione del nuovo corso tra le varie anime e componenti della scena politica, sia dall’opposizione, sia tra personaggi che per storia politica o per ruoli hanno rivestito posizioni anche importanti nel sistema clanistico dei Bongo.*

D’altronde lo stesso generale Nguema sarebbe un cugino dell’ex presidente, essendo egli il capo delle guardie governative, ed immischiato nella compravendita di beni immobili negli Stati Uniti, facenti  parte dei movimenti finanziari del clan Bongo, come i servizi di sicurezza statunitensi hanno avuto modo di precisare in un’indagine del 2019.

Questa particolare situazione evidenzia delle peculiarità del caso gabonese rispetto alle esperienze del Sahel, che ci raccontano due cose importanti dell’attuale neo colonialismo imperialista africano.

Da una parte che, almeno in certe parti dell’Africa, la presenza occidentale è ancora in grado di organizzarsi e di avere possibilità di tenuta differenti rispetto ad altre zone dove il sentimento anti-coloniale ha prodotto già risultati importanti.

La postura statunitense, che capisce in questo caso che non si possono più nascondere le malefatte di una gestione del potere utile ma obsoleta, apre diplomaticamente  alle richieste di cambiamento popolari.

Il rapporto che Washington ha intrattenuto con Bongo, uomo di fiducia di Obama nella regione durante la sua presidenza non è un problema per far guardare altre soluzioni da parte della casa bianca.

Dall’altra, che questo sentimento anticoloniale è un problema sempre più scottante per le oligarchie occidentali e per le borghesie compradore del posto che devono ormai accettare sempre di più la volontà dei popoli di un  deciso cambiamento che scuota dalle fondamenta un mondo di fare politica sostanzialmente fermo da più di mezzo secolo*1.

Questo quadro sarebbe comunque incompleto se non lo mettessimo in relazione alla situazione internazionale, andando a mettere particolare attenzione al periodo che ci divide dal 24 febbraio 2022.

In questo lasso di tempo il Gabon ha avuto un atteggiamento di progressivo avvicinamento alle posizioni che, riguardo le questioni principali di  politica internazionale, contraddistinguono più l’altro mondo, che non quello a cui il paese centro africano è storicamente legato.

Dopo un anno infatti che il Gabon aveva pedissequamente seguito le posizioni euroatlantiche riguardo la questione ucraina, Libreville si astiene sul “piano di pace” presentato dagli occidentali nel febbraio di quest’anno.

Questo accadeva sei mesi prima del rivolgimento militare della fine di Agosto.

Arrivato questo, nella votazione più importante che il nuovo corso gabonese ha dovuto affrontare dopo poco meno di due mesi dall’insediamento, il Gabon figura tra le nazioni che hanno votato favorevolmente alla proposta avanzata dal Cremlino per un cessate il fuoco in Palestina al consiglio di sicurezza delle nazioni unite.

Su questo atteggiamento sembrano avere un peso incisivo quelle che sono le relazioni commerciali che il Gabon ha iniziato ad intrattenere con Pechino, che attualmente figura come partner principale di Libreville.

La Cina rappresenta la destinazione del 33 % delle esportazioni commerciali gabonesi  e da  9 anni costituisce il primo partner commerciale del Gabon.

Secondo l’International Trade Center Pechino si è dimostrata una compratrice consolidata dell’economia gabonese anche in compartimenti legati all’agricoltura ecc.

Dal 2009 al 2020 la Cina ha aumentato i propri acquisti di prodotti dal Gabon ad un tasso annuo del 44%, diventando così l’acquirente di una quota dei prodotti gabonesi stimata attorno al 63%.

Pur rimanendo alta la quota dei prodotti gabonesi relativi agli idrocarburi, le attuali politiche commerciali di Pechino sembrano dare una prospettiva più profonda allo sviluppo del paese.

In definitiva in Gabon sembra che questa sorta di 48 africano, che punta a ridefinire quanto meno i rapporti tra le popolazioni e i governanti per come gli abbiamo conosciuti negli ultimi decenni, abbia scosso le fondamenta di un potere clanistico e cinquantennale, ponendo nuove condizioni per la vita politica del paese.

E tra fronti geopolitici contrapposti,potrebbe essere una soluzione, per i membri del nuovo corso politico gabonese, concedere richieste alla popolazione e mantenere un atteggiamento equidistante in materia di politica estera almeno per il breve termine, facendo attenzione alla situazione regionale e continentale, comunque attraversata sempre più da sentimenti anti occidentali e anti imperialisti.

*Questo il caso di Raymond Ndong Sima primo ministro del governo Bongo dal 2012 al 2014, passato poi all’opposizione nella corsa alle presidenziali nel 2016 e nel 2023.

Economista, dopo aver perseguito una politica di appeasement con gli occidentali negli anni in carica come primo ministro, dove si progettava un implementazione riguardo le operazioni di estrazione e relativo export, si allontana dal governo denunciando l’atteggiamento autocratico delle autorità di Libreville.

*1 interessante notare come, oltre al sentimento anticoloniale attuale che attraversa trasversalmente paesi africani facenti parte di zone geografiche differenti come possono essere il Sahel e l’africa equatoriale, questo sentore popolare africano ha avuto una grande spinta dopo l’intervento della NATO in Libia per destituire con la forza Gheddafi, sentito da queste popolazioni tutte come una figura positiva e fondamentale per l’emancipazione del continente africano.

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