di Maria Morigi
In un articolo, critico nei confronti della “passione” dei francesi per la piazza, il settimanale tedesco Die Zeit offre un’analisi dalla quale si evince la difficoltà dell’abitante di Berlino a capire cosa succeda a Parigi: “Centinaia di migliaia di persone – scrive Die Zeit- si radunano per le strade, cantano, si congelano e trascorrono ore insieme, anche se potrebbero facilmente sfogare la loro rabbia con un post su Twitter”. (Detto tra noi, vedo anche difficoltà cognitive per la Germania!).
Per i francesi “la rue est la rue” (tradotto con “la piazza è la piazza”) e in nessun altro paese d’ Europa le manifestazioni hanno svolto un ruolo politico tanto importante, fin dal Medioevo, prima e dopo la fine dell’Ancien Régime, negli anni Trenta e Settanta dell’Ottocento. Con la repressione di Chicago del 1886 lo sciopero diventò “sciopero generale insurrezionale” festeggiando la data simbolica del 1 maggio.
Sulla scia della rivoluzione russa del 1917, gli scioperi si moltiplicarono e le donne parteciparono per la prima volta attivamente. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio le grandi mobilitazioni del ‘900. Nel 1936 dopo la vittoria del Fronte popolare, grazie ad una massiccio sostegno di piazza, furono siglati gli accordi di Matignon dal socialista Léon Blum e dalle Confederazioni generali della produzione (Cgpf) e del lavoro (Cgt). Il 5 giugno 1936 Léon Blum comunicò alla radio il programma del Fronte Popolare: “Tra i progetti di immediata presentazione che chiederò alle due Camere di votare ci sono: settimana di 40 ore; contratti collettivi; vacanza pagata. Vale a dire, le principali riforme richieste dalla classe operaia. Deciso ad agire con rapidità per i lavoratori della terra come per gli operai delle fabbriche.[…] Il governo chiede ai lavoratori di fare affidamento sulla legge per quelle richieste che devono essere risolte per legge… Chiede ai datori di lavoro di esaminare queste richieste in un ampio spirito di equità”. Nel frattempo l’Europa si avviava verso la tragedia della guerra, dell’intolleranza razziale e la Francia verso l’occupazione nazista.
I grandi scioperi postbellici del 1947 furono repressi con violenza. Ma nel 1949 la Cgt lanciò uno sciopero generale, seguito da un altro nel 1953, contro il progetto di riforma delle pensioni dei dipendenti pubblici. Un movimento epocale paralizzò la Francia e il governo ritirò la proposta.
Anche la protesta degli studenti del maggio del 1968 si trasformò in uno sciopero generale cui aderì l’intero mondo operaio. Quasi dieci milioni di persone incrociarono le braccia: sistema economico congelato, bloccato ogni comparto, dalle scuole alle fabbriche. Assemblee e dibattiti contro capitalismo , paternalismo, autoritarismo, consumismo … Il governo e il patronato dovettero cedere: furono ottenuti aumento del 35 % del salario minimo, riduzione dell’orario di lavoro settimanale, sezioni sindacali d’impresa e delegato sindacale in ogni azienda con più di 50 dipendenti. Negli anni Ottanta e Novanta, proprio grazie agli scioperi che avevano assunto la forma di “referendum spontanei”, furono bloccati numerosi progetti governativi.
Nel novembre del 1995, sotto presidenza Chirac, il primo ministro Alain Juppé lanciò un programma di riforma delle pensioni e riforma di protezione sociale. L’adesione agli scioperi raggiunse l’85 %, paralizzò per quasi un mese l’economia nazionale. Il 12 dicembre più di due milioni in piazza. E Juppé rinunciò alla riforma pensionistica.
Al secondo governo Valls, nel 2016, ci furono proteste imponenti contro la precarizzazione del lavoro provocata dalla “ loi Travail”, proposta di riforma avanzata dalla ministra Myriam El Khomri che rifletteva l’adattamento supino alle “regole” di contenimento della spesa pretese dalla UE. Il governo tenne duro e decise di utilizzare l’articolo 49 della Costituzione, che consente di adottare una legge senza il voto parlamentare a meno che i deputati non decidano per una mozione di censura, facendo così cadere l’esecutivo. Valls e El Khomri evitarono il voto, poiché alcuni parlamentari socialisti della maggioranza, i “frondisti”, avevano voltato le spalle al progetto di riforma. Comunque l’8 agosto la legge passò e c’è chi oggi non la giudica proprio negativa ma frutto di compromessi nel complesso sopportabili.
Oggi, nonostante sia difficile che il governo rinunci all’innalzamento dell’età pensionabile, la Francia è di nuovo in piazza per un progetto di riforma delle pensioni. Ma sembra che sia ormai sfumata “una via d’uscita democratica all’impasse”, come richiesto dall’opposizione di sinistra. Tuttavia c’è un elemento nuovo di sostanza: mentre in passato gli scioperi erano momenti di conquista sociale, oggi sono quasi sempre “difensivi”. Anche in Francia, benché la mobilitazione sia agguerrita, c’è “riflusso”, una forma di rassegnazione di fronte al panorama globale, e i lavoratori sembrano ormai convinti che il massimo da ottenere è tentare di preservare quello che si ha. Dunque passi indietro rispetto a decenni fa e movimenti sociali in declino: purtroppo, nell’involuzione che stiamo vivendo, sembra si rispolveri il “modello Margaret Thatcher”, che, nemica del Welfare State, per fare le sue discutibili riforme riuscì ad imporsi – in un braccio di ferro durato più di un anno (1984-85) – contro i ripetuti scioperi dei minatori britannici.
A magra consolazione, nelle piazze francesi di questi giorni si vedono tanti striscioni contro l’invio di armi in Ucraina e, comunque andrà, la popolazione francese ha confermato la propria propensione alla forte mobilitazione sociale. Un segno che rappresenta forse il passato, ma che non è percepibile in altri Paesi perché i social (e la censura) fanno da serbatoio di sfogo del dissenso… col vantaggio che si può rimanere a casa davanti allo schermo.
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