di Francesco Maringiò
La visita del capo dell’Eliseo è cruciale perché rafforza coloro che lavorano per il dialogo, contro le spinte belliciste ed ultra atlantiste. Per questa ragione, la sua visita è importante sia per la Francia che per gli equilibri europei.
In questi giorni in Cina c’erano, contemporaneamente, il presidente della Commissione europea, il presidente francese ed i ministri degli esteri di Iran ed Arabia Saudita. Un quadro che da solo parla dei profondi cambiamenti intervenuti nel mondo e della centralità crescente della Cina non solo sul piano economico, ma anche su quello squisitamente politico e diplomatico.
Concentriamoci per un attimo sul quadrante europeo e l’esito della visita di Ursula von der Leyen e Macron in Cina, partendo in primo luogo dal ruolo giocato dal presidente della Commissione europea. Prima della partenza per Pechino, la Von del Leyen ha tenuto un discorso al European Policy Centre di Bruxelles che plasticamente riproduce la sintesi possibile di un’articolata discussione all’interno delle classi dirigenti dell’Occidente. Da un lato la rappresentante europea ha fissato una serie di temi che pongono, dal suo punto di vista, elementi di criticità nel rapporto tra Cina ed UE, mentre dall’altro lato ha voluto sminare il terreno del confronto, precisando che è nell’interesse europeo ragionare in termini di de-risk, piuttosto che di de-coupling. Non è una contraddizione in termini, ma la sintesi di una dialettica molto forte in Occidente tra un partito informale degli oltranzisti che spingono in direzione di una nuova guerra fredda e di un confronto ideologico e diplomatico da un lato, ed un partito informale del dialogo che lavora per definire una via pacifica di gestione strategica della competizione globale dall’altro. E Macron è ascrivibile proprio a questo secondo raggruppamento, il che rende il viaggio particolarmente significativo.
Chiamando con sé la von der Leyen, il capo dell’Eliseo si pone come un rappresentante degli interessi collettivi dell’intera Ue nel rapporto con Pechino, ma certo non mancano specifici interessi bilaterali. Come ha ricordato Lu Shaye, ambasciatore cinese a Parigi, la Francia è stato il primo grande paese occidentale a stabilire relazioni diplomatiche, un partenariato strategico globale ed un dialogo strategico con la Cina. Del resto Macron in Cina è volato accompagnato dal ministro delle Finanze Bruno Le Maire e dal ministro degli Esteri Catherine Colonna, insieme ai dirigenti di circa 50 aziende proprio per rafforzare i rapporti economici e commerciali tra i due paesi. E sono i numeri a darci le dimensioni dell’importante rapporto bilaterale. Già dal 2019 la Cina è diventato il più grande investitore estero in Francia e, secondo i dati dell’Istituto di ricerca industriale Huajing, il valore totale delle merci importate ed esportate tra Cina e Francia nel 2022 è stato di 81,33 mld di dollari. A febbraio 2023, le importazioni cinesi dalla Francia sono aumentate di 731 ml di dollari: l’import francese di beni dalla Cina è stato di 3,25 mld (erano 2,52 mld), mentre l’export ha raggiunto quota 2,67 mld di dollari. Ma per comprendere la strategicità dal rapporto, bisogna volgere lo sguardo alla cooperazione nei settori industriali: il colosso cinese China’s State Grid Corporation ha una partecipazione del 49,9% nell’operatore della rete elettrica francese Réseau de Transport d’Electricité, la China General Nuclear Power Corp ha acquisito una quota del 33,5% della centrale nucleare inglese in costruzione dalla francese EDF in Somerset ed aziende francesi sono impegnate in progetti di energia rinnovabile in Cina. Altri settori strategici, dove la cooperazione franco-cinese è molto forte, sono quelli dell’aerospazio e dell’industria automobilistica. Nel primo settore, oltre al ruolo preminente di Airbus (che proprio durante la visita di Macron ha annunciato una seconda linea di assemblaggio nella sua fabbrica in Cina ed ha incassato una commessa di 160 velivoli), troviamo anche la francese Safran, che produce equipaggiamenti di difesa, per sviluppare motori aeronautici con aziende cinesi. Per quanto riguarda il settore automotive, ai già esistenti legami societari (sia PSA Group che Renault hanno soci cinesi) si aggiungono progetti di cooperazione per la produzione di veicoli elettrici in Cina.
Nel corso dell’incontro trilaterale tra Macron, von der Leyen ed il presidente cinese Xi, quest’ultimo ha esortato l’Europa a mantenere la sua autonomia strategica ricordando che le relazioni sino-europee non possono essere influenzate da attori esterni. Con questo aspetto tocchiamo con mano un punto centrale lungo tutto il dibattito: la postura strategica dell’Europa e della stessa Francia, che all’epoca della fase di “non allineamento” di Charles de Gaulle seppe essere “potenza equilibratrice”, come rilevato recentemente da Song Luzheng, commentatore cinese della politica francese e ricercatore della Fudan University.
In Europa occidentale la visita dei due leader europei è stata letta come una opportunità per discutere di una soluzione del conflitto ucraino. La von der Leyen ha riportato alla stampa che il presidente cinese Xi avrebbe ribadito la sua disponibilità a parlare con Zelenskiy, quando “le condizioni e il momento sono giusti”. È un dettaglio importante. Lungi dal cercare opportunità di visibilità mediatica, le azioni della diplomazia cinese mostrano un incedere semplice: si prende l’iniziativa quando le condizioni lo permettono e quando l’azione diplomatica può fare la differenza. Vale per la telefonata al presidente ucraino, vale per i 12 punti sulla soluzione politica della crisi ucraina. Se questa iniziativa è stata presa ora è perché la Cina ritiene possibile (e si sente pronta ad impegnarsi per) raggiungere l’obbiettivo. Per questa ragione, in una Europa fiaccata economicamente e costretta politicamente a pagare un enorme prezzo diplomatico ed economico per mantenere sulla Cina la postura che gli Stati Uniti le impongono senza alcuna compensazione, è chiaro a diversi leader europei che è arrivato il tempo di promuovere una autonomia strategica. Pena la marginalità politica e la crisi economica dell’intero continente.
A modo loro, Germania, Francia e Spagna hanno lanciato un segnale chiaro, con la visita di Scholz, Macron e Sanchez. E l’Italia? Urge al più presto recuperare un gap di iniziativa e, soprattutto, serve contribuire a rafforzare la linea del dialogo. Prima che il partito dei falchi ribalti la situazione e ci trascini tutti in guerra.
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