La “Transizione ecologica” nuovo cosmetico del capitalismo per mascherare la sua crisi economica e quella ecologica che ha determinato

di Giuseppe Amata

La fase storica che stiamo vivendo è caratterizzata da un lato dalla crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico e dall’altro dal rafforzamento dei paesi socialisti (in primo luogo della RPC) e di altri sulla base della propria indipendenza e delle relazioni internazionali fondate sui cinque principi della coesistenza pacifica elaborati nella Conferenza di Bandung del 1955. Per l’azione propulsiva di questi Paesi si va delineando una comunità umana dal destino condiviso per affrontare i grandi temi dell’umanità, come la pace, la lotta al riscaldamento globale, la cooperazione economica e la condivisione della rivoluzione scientifica e tecnica. 

La crisi attuale che interessa il modo di produzione capitalistico (fondato non solo sullo sfruttamento dell’uomo ma anche sulla distruzione delle risorse naturali e degli eco-sistemi, anche in seguito ai bombardamenti bellici) non è solo crisi finanziaria ed economica per l’accaparramento di risorse e mercati, ma sta diventando sempre di più crisi ecologica per risolvere la quale occorre avviare la trasformazione del modo di produzione che si attuerà in un lungo periodo storico.

Perché l’ultima crisi di sistema, cioè quella attuale, che interessa il modo di produzione capitalistico non è stata ancora risolta e difficilmente lo sarà? Semplice la risposta: perché alla crisi finanziaria ed economica si è sovrapposta la crisi ecologica (sempre crescente dalle origini del capitalismo e ora diventata in forma esasperata e già rilevata nel suo formarsi sia da Marx nella stesura del Capitale sia da Engels in particolare negli scritti AntiDuring e Dialettica della natura), nonché quella sanitaria per la pandemia dovuta al Covid 19. 

Per la risoluzione di questa crisi non sono bastati, come la pratica dell’ultimo quindicennio attesta, gli interventi finora approntati. Né basteranno i cosiddetti interventi di tipo strutturale se non saranno inseriti in un programma di reale riconversione ecologica e sociale in antitesi con il modo di produzione capitalistico. Gli attuali interventi, come ad esempio quelli previsti dal PNNR o da altri programmi analoghi negli altri Paesi dell’Unione Europea, apparentemente fondati sulla “transizione ecologica”, avverranno utilizzando nuove tecniche produttive e un maggior impiego delle cosiddette energie alternative nei processi economici, ma sempre con lo stesso fine: la massimizzazione del profitto e dei valori di scambio a scapito di quelli sociali. Ne discende che la “transizione ecologica” nei maggiori Paesi capitalistici è orientata sia ad accentuare la concentrazione capitalistica (perché le nuove tecnologie “verdi” sono in mano a multinazionali e grandi imprese) e ad espellere le medie e piccole imprese oltre alla distruzione totale dell’artigianato) sia a rafforzare il potere mondiale di questi Paesi su quelli in via di sviluppo che utilizzano tecnologie arretrate e materie prime energetiche di tipo fossile.

La crisi ecologica si può risolvere analizzando scientificamente il funzionamento del pianeta Terra che è un sistema chiuso, in quanto scambia solo energia con l’esterno vale a dire il sistema solare; mentre gli ecosistemi terrestri, lacustri e marini che, invece, sono sistemi aperti scambiano con l’esterno (altri ecosistemi limitrofi) energia e materia. La vita degli ecosistemi funziona secondo la legge dei trasferimenti energetici decrescenti e l’anello di partenza della cosiddetta catena alimentare è rappresentato dalla radiazione solare catturata dagli organismi autotrofi che producono la bio-massa che si trasferisce da un livello trofico all’altro in forma decrescente. Questo significa che non bisogna intaccare le grandi foreste, salvaguardare l’estensione delle coltivazioni agricole e delle praterie naturali, nonché negli ecosistemi marini le mangrovie e lo zoo-plancton. Il modo di produzione capitalistico si è sviluppato distruggendo le foreste per utilizzare il legname come materia prima e come fonte energetica per la massimizzazione fino al parossismo dei valori di scambio (come esempio di facile comprensione si può citare la produzione del mobilio usa e getta e il suo ricambio continuo nel tempo secondo i nuovi design, anziché la produzione di valori d’uso durevoli nel tempo). Ma è solo un esempio fra tanti che si possono fare. Questo processo è iniziato alle origini del capitalismo nelle foreste inglesi e nei paesi coloniali e in quest’ultimi al posto delle foreste sono state coltivate piantagioni di caffé, di cacao, di frutta esotica da parte dei neonati monopoli e poi delle multinazionali senza badare alla funzione delle foreste per l’emissione di ossigeno e l’assorbimento di anidride carbonica e delle precipitazioni, sconvolgendo così sul Pianeta i cicli naturali dell’ossigeno, dell’anidride carbonica, dell’acqua ed altri. Le grandi foreste dei cinque Continenti sono state ridimensionate mentre nell’atmosfera è stata immessa una quantità crescente in forma esponenziale di anidride carbonica e solforosa (CO2 e SO2) determinando l’effetto serra che produce il riscaldamento globale. Ma, essendo il pianeta Terra un sistema chiuso, per la dialettica della natura questo riscaldamento non provoca l’allungamento costante dei periodi di caldo, provoca da un lato lo scioglimento dei ghiacciai e dall’altro sconvolgimenti climatici che portano dal caldo a bruschi abbassamenti di temperatura, a piogge intense che inondano vasti territori anche con l’esondazione di fiumi e laghi oppure di rimando a lunghi periodi di siccità che determinano l’aumento della desertificazione, la distruzione di molte coltivazioni agricole già storicamente acclimatate e di molte specie animali. Riconversione ecologica quindi dovrebbe significare innanzitutto il miglioramento del patrimonio forestale, la sistemazione degli ecosistemi terrestri, fluviali e marini, l’espansione delle praterie e delle coltivazioni agricole e un giusto rapporto tra spazio urbano e spazio rurale, rapporto non rispettato anzi stravolto con la speculazione edilizia nei centri urbani, in Italia a partire dagli anni Sessanta e con la diffusione a partire dagli anni Ottanta degli ipermercati o centri commerciali che dir si voglia nelle aree extra-urbane. Questo fenomeno ha portato, in  Italia, alla riduzione del trenta per cento circa della superficie agraria utilizzata negli ultimi sessant’anni e non si è mai intervenuto da parte del governo centrale e delle regioni a bloccare il processo, anche se a volte in qualche documento il fenomeno è stato riconosciuto. E la FAO lo ha messo in evidenza, ma la maggior parte dei Paesi ha fatto orecchio da mercante. Anzi, alcuni, come il Brasile di Bolsonaro sono arroganti e perseverano nella deforestazione per dare terra ai fazendeiros ed espellere le comunità indigeni dai luoghi natii. E’ per questi motivi, in sostanza, che parliamo di crisi ecologica planetaria, creata dal modo di produzione capitalistico, per cui o si trasforma questo modo di produzione oppure esso porterà il Pianeta alla distruzione di molte specie e al ridimensionamento di quella umana. Non bastano, quindi, le ricette dei cosiddetti movimenti verdi o quello molto emotivo dei giovani che seguono le parole di Greta Thunberg, la quale osserva solo alcuni aspetti superficiali delle tematiche ambientali. 

Un’altra legge scientifica da capire è rappresentata dal fatto che ogni processo di trasformazione, sia ad opera della natura, sia ad opera delle attività economiche, determina disordine, cioè inquinamento. Ma le trasformazioni della natura, ad esempio le eruzioni vulcaniche o le alluvioni, se nel breve periodo determinano danni nel lungo periodo realizzano un nuovo ordine, perché i territori vulcanici risultano dopo alcune centinaia di anni molto fertili per l’agricoltura; d’altro canto, le eccessive precipitazioni è vero che determinano nei territori argillosi frane e smottamenti ma permettono a lungo andare la formazione dei fiumi e dei laghi e negli altri territori permeabili determinano l’arricchimento delle falde idriche, indispensabili per gli insediamenti umani e per ogni attività economica. 

Le trasformazioni delle attività economiche, invece, non sempre producono ordine, ad esempio migliorando i livelli di sviluppo dell’umanità con la soddisfazione dei bisogni sociali. Spesso  determinano un disordine irreversibile, quando il risultato della produzione sociale non favorisce la crescita collettiva ma soltanto l’arricchimento privato, come è stato infatti con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, nel quale alla crescita parziale delle forze produttive (e solo fino a un dato livello) ha corrisposto dapprima la distruzione delle risorse naturali e dopo anche quella di gran parte delle forze produttive, per cui come dice Marx la crescita delle forze produttive entra in conflitto con i rapporti di produzione. Da questa legge scientifica ne discende che se per realizzare un nuovo ordine sociale, attraverso la trasformazione economica, è vero che si determina disordine, ma il nuovo ordine realizzato ha elevato il livello della civilizzazione umana soddisfacendo i bisogni sociali storicamente determinati. In parole esemplificative un sistema di trasporto collettivo delle persone (o quello delle merci necessarie allo sviluppo economico-sociale) determina sempre inquinamento (quello navale e ferroviario di meno rispetto a quello aereo e su gomma), ma in ultima analisi serve lo sviluppo sociale. Al contrario l’esasperato trasporto privato su gomma e a maggior ragione quello sui mari per yacht piccoli e grandi per far scorazzare da un porto all’altro un pugno di ricchi che vivono nell’ozio e scaricano incontrollatamente residui dei carburanti e acque di lavaggio delle stive e delle persone in mare. L’inquinamento, quindi, non consiste solo nei rifiuti in mare, bensì nei lavori di costruzione dei porti turistici (che lo Stato in gran parte ha sostenuto con un contributo maggioritario nelle opere realizzate) e dei mezzi di trasporto privati, in quanto ogni opera di trasformazione si realizza attraverso l’impiego di lavoro vivo e lavoro morto e siccome il lavoro è un valore, un lavoro che determina un elevato inquinamento diventa in ultima analisi un disvalore. 

Occorre dire anche, che si notano nei Paesi in transizione verso una formazione sociale socialista alcune contraddizioni riconosciute dai gruppi dirigenti in riferimento all’inquinamento. La Cina, ad esempio, ha pagato un alto prezzo all’inquinamento del suo territorio per la necessaria modernizzazione e raggiungere presto il livello economico sociale che adesso conosciamo, in modo da non subire il ricatto imperialista. Ma per onestà intellettuale, cosa che non hanno tutti i sinologi alla Federico Rampini che parlano in televisione e portati in questo momento a “fermare Pechino per salvare l’Occidente”, la Cina è il Paese che maggiormente nell’ultimo decennio ha modificato il suo modello di sviluppo, avviando già con il XIII Piano quinquennale e soprattutto con il XIV un grande programma di riconversione ecologica, aumentando la forestazione e gli spazi agricoli, sistemando il deflusso delle acque, incrementando i trasporti pubblici (ferrovie extra-urbane e metropolitane), programmando per i prossimi decenni una netta riduzione delle emissioni di  CO2 e SO2, attraverso le fonti energetiche alternative, e un riequilibrio tra spazio urbano e spazio rurale. 

Per risolvere la crisi ecologica del Pianeta, invece, negli attuali Paesi capitalistici bisogna operare affinché innanzitutto avvenga un processo di trasformazione politico ed economico (fondato su una vera riconversione ecologica) verso un modo di produzione di transizione al socialismo, dando la priorità, attraverso la maggior presenza del capitale pubblico rispetto a quello privato, alla produzione di beni di natura sociale, cioè che servono al soddisfacimento dei bisogni sociali tramite l’utilizzazione collettiva, diminuendo la produzione dei valori di scambio a ciò che è strettamente necessario per la fase storica in cui viviamo e annullando nello stesso tempo la produzione delle merci altamente inquinanti e  che sono state prodotte e sono state imposte al consumo di massa perché determinano profitto. Come dice Marx il capitale non ha prodotto e produce solo l’oggetto (cioè la merce) per il soggetto ma anche ha creato e crea continuamente il soggetto (i consumatori) per un nuovo oggetto, cioè una nuova merce, ossia un valore di scambio per realizzare un maggior profitto. Quindi, le merci non sono state prodotte e non saranno prodotte principalmente per soddisfare bisogni sociali storicamente determinati, ma sulla base dei nuovi materiali e delle nuove tecnologie per realizzare maggiori profitti. Questo è il senso della “transizione ecologica” affrontato nel PNRR italiano e in quello degli altri Paesi dell’Unione Europea. 

D’altra parte il tema dell’inquinamento termico, ambientale e territoriale che produce il riscaldamento globale, se è vero che si risolverà con l’accordo della comunità internazionale (in tal senso l’internazionalismo oggi significa non soltanto l’unità tra gli odierni Paesi socialisti e i proletari e i popoli oppressi, ma anche una visione e una pratica comune dei popoli per risolvere i problemi dell’umanità), non sono le Conferenze di facciata tra leader di Paesi diversi, come il G20 svoltosi di recente a Roma, a risolverlo. Perché in detta Conferenza si è messo l’accento esclusivamente sulla riduzione delle fonti energetiche a carbone fino al loro annullamento a metà secolo, essendo questa la sola volontà dei Paesi capitalistici in quanto adesso sono in possesso di altre fonti energetiche alternative per impedire o condizionare con la supremazia tecnologica la crescita dei Paesi in via di sviluppo. E’ vero che la fonte energetica carbonifera emette con il suo impiego industriale una grande quantità di CO2 e SO2, ma anche le centrali ad olio combustibile (derivato dal petrolio) sono molto inquinanti e i rifiuti direttamente o indirettamente (utilizzo dei prodotti petroliferi come carburante per i mezzi di trasporto) vanno a finire negli ecosistemi terrestri e marini. Il problema principale è, come detto in precedenza, il modo di produzione, cosa produrre per chi produrre, giacché anche se una fonte energetica alternativa o verde (che dir si voglia), cioè che inquina meno, se utilizzata per produrre beni non socialmente utili col tempo diventerà altamente inquinante come il carbone, in quanto la quantità si trasforma in qualità.