
di Vincenzo Brandi
La situazione di tensione in Palestina ed il progressivo restringimento di tutti i diritti del popolo palestinese – cioè dei discendenti di coloro che hanno abitato quella terra per secoli – si è attualmente aggravato dopo la nomina in Israele di un governo di estrema destra guidato dal fascistoide Netanyahu. Per arroccarsi al governo, e per sottrarsi anche al processo per le accuse di corruzione che continuano ad addensarsi sul suo capo, Netanyahu si è alleato con i più oltranzisti partiti della destra israeliana che sposano il fanatismo religioso con un atteggiamento sempre più violento e tracotante verso la popolazione autoctona palestinese. Tra i capi dei partiti di destra si distinguono ex membri del gruppo Kach, un gruppo che in passato giurò che avrebbe assassinato il primo ministro socialdemocratico Isaac Rabin per le sue pur limitate aperture verso i Palestinesi e che aveva mostrato una propensione al dialogo. Ed infatti Rabin fu ucciso in un attentato da un membro dello stesso gruppo, che adesso è di fatto al potere.
Purtroppo, però, la vittoria della destra non è un evento casuale, ma è un effetto dello spostamento progressivo verso posizioni sempre più oltranziste della società israeliana, che vengono purtroppo da lontano. Tra i primi Sionisti immigrati in Palestina vi erano correnti che auspicavano una collaborazione paritaria tra Arabi ed Ebrei e circolavano idee socialiste. Ricordo un bellissimo racconto del primo scrittore ebreo che ha scritto nella nuova lingua ebraica, Milanski. Egli – pur se combattente volontario nelle milizie ebraiche dell’Haganah – non aveva peli sulla lingua nel descrivere le violenze perpetrate sulle popolazioni locali già nel 1948 per cacciarle dalle proprie sedi e ne descriveva la rabbia (“La rabbia del vento” edito da Einaudi). Oggi invece ormai non si parla più nemmeno di trattative (pur avviate dopo il 1982 tra Palestinesi ed Israeliani, se pur infruttuosamente), ma si parla di pura e semplice cacciata dei Palestinesi ed annessione di tutti i territori abitati ancora dai Palestinesi, pur se sotto occupazione militare (o sotto stretto assedio come nel caso di Gaza). La continua costruzione di nuove colonie ebraiche illegali in territori occupati ancora da Palestinesi, la deportazione di intere comunità e famiglie cacciate dalle proprie case (come a Gerusalemme Est o nella valle del Giordano), il taglio degli oliveti che danno da vivere ai Palestinesi, l’intensificarsi delle azioni militari come l’irruzione recente a Jenin che ha causato una strage, sono azioni che vengono date per necessarie e scontate. L’autoritarismo del nuovo governo arriva addirittura a minacciare la destituzione degli stessi giudici della Corte Suprema israeliana che hanno mantenuto qualche barlume di legalità e buon senso.
Questa escalation di illegalità e violenza provoca a sua volta reazioni disperate e violente come l’attacco terroristico presso una sinagoga a Gerusalemme e l’azione isolata di un tredicenne che spara ai passanti ebrei per vendicare un suo coetaneo falciato dal fuoco dei soldati durante una manifestazione. L’esplodere del fanatismo religioso ebraico favorisce specularmente l’azione di Hamas (braccio palestinese della Fratellanza Musulmana) e della Jihad Islamica che possono ergersi a difensori del popolo oppresso, a danno dei movimenti laici e progressisti (peraltro spesso incerti). Oggi, di fronte a questa offensiva finale degli estremisti israeliani, i Palestinesi appaino deboli, isolati anche dai paesi arabi che li sostengono solo a chiacchiere, e guidati da una dirigenza incerta, spesso scavalcata dalla rabbia popolare. La mia esperienza della Palestina e dei campi profughi del Libano, la mia frequentazione con amici palestinesi, mi spinge però a dire che il popolo palestinese è tenace e non si arrende anche nelle situazioni più difficili. Alla fine i diritti fondamentali di questo popolo fiero ed intelligente dovranno essere riconosciuti, con o senza stato palestinese, con o senza uno stato unitario arabo-ebraico. I governi israeliani di destra si scontreranno sempre con una resistenza implacabile.
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