La società tradizionale afghana: Islam e Talebani

di Maria Morigi

La capitolazione di Kabul ha avuto un impatto assai forte sull’opinione pubblica allarmata per la sorte di migliaia di cittadini afghani che avevano confidato e collaborato con le forze di occupazione Nato. Vediamo anche che il disastro finale dell’intervento occidentale è stato ampiamente inquadrato e analizzato nelle sue motivazioni da più parti (in Marx21 l’ottimo articolo del direttore Marco Pondrelli). Aggiungo che non occorre essere analisti strategici per valutare i pessimi risultati geopolitici e umani della ventennale guerra afghana, la cui fine era realisticamente prevedibile almeno 10 anni fa. Tuttavia neppure in questo momento si affrontano i veri problemi dell’Afghanistan generati dagli appetiti occidentali, né tantomeno i reali aspetti della sua società, gli abissi sociologici e tecnologici che separano borghesia cittadina e popolazione rurale, o i risultati (in termini di tutela dei diritti) della presenza sovietica.

Quello che dispiace è che tutta l’attenzione si continui a concentrare nell’identificazione dei “nemici” della civiltà occidentale e delle “colpe” di mancata previsione dei Presidenti americani, senza di fatto riuscire a mettere a fuoco la vera vittima del sistema, cioè la popolazione afghana. Infatti gli elementi critici sono sfruttati dai media, ancora una volta, per alimentare insofferenza, intolleranza e odio per culture diverse.

Offro quindi ai lettori un breve spaccato della società afghana profondamente  ‘credente’ e una altrettanto breve presentazione di chi siano questi Talebani,  al fine di uscire dalla vulgata che li narra come ‘forza oscura’ senza comprendere  – piaccia o no ai puristi dei diritti umani – che essi godono in Afghanistan di un ampio sostegno popolare. E sono certa che gli afghani non verranno affatto salvati dalla buona volontà dei corridoi umanitari, ma dovranno prepararsi ad affrontare il futuro con le loro risorse.

Prime riforme laiche

Dagli anni Venti con la Monarchia di Abdullah Khan Paghman, l’Afghanistan si sottrae ad una secolare ingerenza britannica (i britannici peraltro non avevano mai sentito l’esigenza di intervenire sui codici tribali o di limitare l’adesione all’Islam, né di costruire un sistema ‘laico’, ma si erano occupati con successo di saccheggiare il Patrimonio e controllare la politica estera afghana in chiave anti-russa). 

La Monarchia afghana chiese e ottenne una ‘protezione’ sovietica per un programma di riforme che costituì una delle svolte politiche più progressiste di tutta l’Asia: nel 1921 venne proclamata la prima Costituzione Afghana in cui era garantita eguaglianza di diritti a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, venne varata la scolarizzazione obbligatoria fino alla quinta elementare per maschi e femmine; venne introdotto il divieto di matrimonio tra un uomo anziano e una giovanissima, la necessità di consenso formale della promessa sposa e l’istituzione di un tribunale cui le donne che subivano torti, abusi e ingiustizie potessero rivolgersi per ottenere giustizia. Tali riforme laiche tuttavia andarono a vantaggio delle poche città principali e non riuscirono ad incidere nelle società tribali legate a pratiche consuetudinarie di amministrazione e giustizia.

Inoltre c’è da considerare che nella società afghana ben poca incidenza hanno i partiti politici, poiché l’afghano del popolo o del ceto medio preferisce votare per il partito o il gruppo che assicura di proteggerlo in una situazione occasionale specifica, e certamente non vota per una ideologia sociale che si allontani dai dettati dell’Islam. 

Islam e Codice Pashtunwali 

E ora vediamo lo “zoccolo duro” della società afghana. La popolazione pratica al 99% l’Islam che rappresenta il sistema simbolico culturalmente unificante. L’orgoglio identitario, la fedeltà tribale, il profondo senso dell’onore personale e familiare, lo stesso vivere in società multi-tribali e multi-etniche sono sostenuti dall’appartenenza islamica, che compensa le divisioni e fornisce regole di comportamento condiviso. L’Islam pervade la società afgana e struttura le interazioni dei membri della comunità. L’osservanza all’Islam scandisce il ritmo di vita giornaliero e stagionale, condiziona l’ obbedienza ad un sistema di valori (onestà, frugalità, generosità, virtuosità, pietà, correttezza, sincerità, tolleranza e rispetto per gli altri) che non coincide con quello delle illuminate società occidentali. A sostenere l’onore della famiglia sono soprattutto gli anziani i quali controllano che il comportamento di figli e nipoti sia osservante delle prescrizioni islamiche.

Al centro di ogni villaggio o città c’è il Masjid (moschea) luogo di preghiera della congregazione per le preghiere comunitarie, obbligatorie per gli uomini e non per le donne. I masjid servono anche a funzioni sociali: riparo per gli ospiti, luoghi di incontro e socializzazione, confronto e dialogo, istruzione scolastica, matrimoni e celebrazione di festività. Quasi tutti gli afgani maschi da giovani studiano in una scuola di moschea (madrasa, scuola o istituzione formativa); per molti questa è l’unica educazione formale di comportamento sociale in grado di guidare e regolare relazioni pubbliche e familiari. 

Circa l’85% della popolazione pratica l’Islam sunnita, ovvero l’Islam turco più ortodosso di Scuola Hanafita, cioè l’insegnamento giuridico e teologico più antico tra le quattro scuole (madhahib) del Sunnismo, fondato verso la fine dell’ottavo secolo a Kufa in Iraq. La scuola hanafita codificò le norme dei rapporti con gli abitanti non musulmani delle terre conquistate, prediligendo il ragionamento deduttivo del dottore della legge islamica e pronunciandosi su casi non contemplati dal Corano. Considerata come liberale e tollerante, la scuola hanafita prevede punizioni corporali più blande rispetto ad altre scuole sunnite e pratica tolleranza verso i costumi religiosi pre-islamici. I giuristi hanafiti ebbero a cuore gli interessi della gente e furono riconosciuti come capi spirituali che rendevano comprensibile l’Islam.

Inoltre l’Islam si è organizzato in strutture complesse (congregazioni/confraternite) aderenti al misticismo Sufi, alcune delle quali si sono evolute in grandi ordini religiosi, che si estendono su paesi e continenti. La Qadiriyya è la confraternita mistica del mondo islamico più antica e tuttora maggiormente diffusa in Afghanistan tra i Pashtun orientali e molti gruppi nomadi. La Naqshbandiyya che garantisce fedeltà alla tradizione ortodossa sunnita[1] ora attecchisce a Kabul e nei dintorni di Mazar-i Sharif; la Cheshtiyya ha messo radici nella zona di Chesht-i Sharif (valle del fiume Harirud). Herat conta la più grande varietà di rami Sufi, collegati a tombe locali di santi uomini. Altri gruppi sufi sono nel nord, specie a Kunduz. 

Una percentuale variabile dal 7 al 15% della popolazione, per lo più di etnia Hazara, aderisce all’Islam sciita. Sono sciiti i Tagiki e Qizilbash. Studenti sciiti hanno formato il nucleo del movimento comunista afgano tra il 1960 e 1970 e, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, gruppi ribelli sciiti Hazara divennero attivi (sostenuti dall’Iran) nelle attività antisovietiche dei Mujaheddin. Un numero modesto di afghani sciiti segue l’ismailismo. Ismailiti[2] si trovano nella zona orientale di Hazarajat, nell’area di Baghlan a nord dell’Hindukush, tra i montanari tagiki del Badakhshan e tra i Wakhi nel Corridoio di Wakhan.

Oltre alle forme storiche della fede musulmana – sunniti, sciiti e confraternite – e accanto ai tipi di aggregazione più recenti a scopo politico (ma sempre con una filiazione religiosa – come accade nell’ambiente turco ottomano -), il culto dei santuari, le reliquie e la predicazione dei santi Sufi rivestono grande importanza. Aspetti questi che caratterizzano la vita popolare tradizionale, benché non siano  incoraggiati dall’ interpretazione delle prescrizioni coraniche. Il paesaggio dell’Afghanistan è disseminato di santuari che onorano i santi; molti villaggi e città sono cresciuti attorno a santuari che racchiudono la tomba di un eroe caduto (Shahid), di un insegnante religioso, di un poeta sufi, oppure conservano sacre reliquie. Le fiere nei santuari attirano migliaia di pellegrini, le visite ai santuari possono durare più giorni e le donne sono attive nei luoghi di preghiera.

Infine parliamo del Codice Pashtunwali, pilastro irrinunciabile della tradizione afghana, in particolare dell’etnia Pashtun. Dal carattere laico, il Pashtunwali precede la diffusione dell’Islam in Afghanistan, cosicché si è sentita la necessità di giustificarlo e dimostrarne l’antichità delle radici attraverso la tradizione di racconti esemplari e leggende che insistono sulla non contraddittorietà tra legge islamica e legge consuetudinaria. Dai precetti coranici deriva la straordinaria ospitalità afghana per cui una famiglia addirittura si indebita pur di provvedere alle necessità di un ospite. Fondamenti del Pashtunwali sono, oltre all’ospitalità, la vendetta, l’obbligo di sottomissione al vincitore, il perdono (se richiesto dall’avversario), l’indipendenza e la giustizia. Inoltre l’onore e l’orgoglio di un Pashtun sono legati per consuetudine indiscussa al comportamento delle donne della famiglia, dalle quali il capo famiglia fa dipendere il proprio buon nome. La trasgressione di una donna è pagata con il disonore dell’intera famiglia. Per un Pashtun, il disonore è peggio della morte.

I Talebani

Veniamo ora ai tanto vituperati Talebani, cercando di mettere a fuoco la loro formazione e come sono cambiati in questo ventennio. Anche perché già da tempo, essendo interlocutori dei governi Karzai e Ghani e dei vari partiti in gara elettorale, è con loro che trattano le formazioni politiche interne.

Tālebān è plurale di ṭāleb, studenti/studente. Non sono combattenti ma studenti coranici, “ricercatori della conoscenza”, studenti o studiosi della madrasa che prepara gli esperti della legge islamica e preserva l’integrità dell’interpretazione del Sacro Corano. I Talebani sono sunniti e appartengono, nonostante le apparenze e la fama, alla tradizione meno fondamentalista dell’Islam. 

La loro storia ha inizio verso la metà del 1700 nella penisola araba, come gruppo che aspirava alla modernizzazione dell’Islam; la loro formazione è da attribuire alla Scuola Deobandi (Dar al-Ulum) fondata al declino politico dell’impero Moghul, nel 1867 in India nella città di Deoband, in Uttar Pradesh, da studiosi provenienti dal Delhi College, centro di formazione religiosa in cui operavano ulema riformisti e autorità britanniche. Tra le scuole coraniche più importanti al mondo, seconda solo all’università al-Azhar del Cairo, oggi accoglie fino a 1500 studenti e dispone di una ricchissima biblioteca. 

L’obiettivo perseguito dai Deobandi era la preservazione degli allievi da ogni contaminazione ‘esterna’ all’Islam, determinando un atteggiamento descritto come “apartheid volontario”, per cui l’allievo riesce a mantenere un profilo culturale e religioso a prescindere dalle pressioni del mondo esterno. Lo strumento è un metodo didattico fondato  sull’ interpretazione letterale e l’apprendimento mnemonico del Corano e della Legge coranica ortodossa, sulla emissione di molte fatwa (responso giuridico) che stabiliscono le norme di comportamento e la pratica di ascesi mistica sufi. L’osservanza di tali principi si traduce in una forte ostilità nei confronti del mondo sciita, avversione nei confronti del mondo dominato dai kafir (dissimulatori o infedeli), negazione di ogni gerarchia all’interno della comunità.

Tali caratteristiche hanno indotto a vedere il movimento Deobandi come una versione indo-centrasiatica del wahhabismo saudita[3]. Tuttavia sono anche molte le differenze poiché, dal punto di vista dottrinale, la Scuola Deobandi è strettamente legata al sufismo (considerato dai wahhabiti quasi una eresia) e ne mantiene i tratti caratteristici (tra i compiti dei maestri deobandi c’è proprio l’iniziazione degli allievi alle varie confraternite sufi). Per quanto attiene la sfera giuridica, i Deobandi fanno riferimento alla scuola Hanafita, più aperta e ‘liberale’, mentre i wahabiti fanno riferimento alla scuola Hanbalita, più rigida e conservatrice. Come movimento di studenti islamici a vocazione politica, furono presenti nella regione afghano-pakistana fin dal primo impegno di lotta alla dominazione britannica. Successivamente, nel contesto della lotta antisovietica e della rivoluzione iraniana del 1979, i Talebani di formazione deobandi furono impegnati nella mobilitazione nazionalista e religiosa. 

Infatti, in concomitanza con la guerra di liberazione dall’invasore sovietico e per contrastare il caos successivo al ritiro dei russi, le autorità del Pakistan raccolsero nelle madrase pakistane alunni di etnia pashtun per avviarli a sostenere una funzione politica, li armarono, li organizzarono e li addestrarono con il  sostegno Usa e i finanziamenti della Cia (che aveva finanziato e stava ancora sostenendo i Mujaheddin). Questa strumentalizzazione da parte del governo pakistano e dei Paesi del Golfo, preoccupati di contrastare la minaccia dello sciismo iraniano, ha portato all’inevitabile ‘wahhabizzazione’ dei Talebani Deobandi. Inoltre il Pakistan aveva tutto l’interesse a sostenerli per questioni commerciali, tanto che Islamabad forniva loro ogni tipo di armi e fu proprio il governo pakistano di Benazir Bhutto il primo a riconoscere il loro nuovo potere.

Nel periodo che seguì la fine dell’invasione sovietica, in maggioranza i Talebani erano mullah della madrasa di Kandahar. L’appoggio politico di cui godettero fu reso possibile dall’appartenenza all’etnia Pashtun e dalla loro adesione al Codice Pashtunwali, mentre i leader mujaheddin erano in gran parte tagiki e uzbeki. Il movimento talebano si affermò dunque come forza religiosa, facendo leva sul sentire popolare e rispondendo al bisogno di stabilità e sicurezza della gente.

Per chi ha letto rapporti seri e davvero indipendenti di analisi della situazione afghana, sa che le descrizioni di atrocità e soprusi non sempre hanno coinvolto i Talebani (come insistentemente pubblicizzato sui media), ma anzi – più spesso – i responsabili erano i vari feroci signori della guerra e i Mujaheddin, che sono stati anche i primi artefici delle distruzioni al Museo di Kabul e nella Valle di Bamiyan. Da molti rapporti e libri informati si impara anche che i Talebani imposero una legge di divieto a produzione e consumo di oppio (produzione facilitata invece dai chimici della CIA), tutelarono dighe e acquedotti e spesso salvarono i contadini afghani delle zone dell’Helmand e di Farah da vendette, ritorsioni e minacce di gruppi armati al servizio di chi sedeva nel Parlamento democratico sostenuto dalla Nato. 

Ora i Talebani, che hanno leader capaci di mediare e istruiti, sono ormai divisi in rami indipendenti alcuni dei quali ancora perseguono forme di vecchia intransigenza (ad esempio la potente rete Haqqani di militanti islamisti che operano nella cosiddetta ‘Grande Paktia’ – province di Paktia, Paktika, Khost, Logar e Wardak – con quartier generale in Pakistan, responsabili di alcuni degli attacchi più sanguinosi compiuti in Afghanistan contro le truppe straniere e il governo locale). Oggi bisogna riconoscere che non solo i Talebani hanno raggiunto una capacità diplomatica di notevole livello, ma prendono anche le distanze da altre  pericolose formazioni quali Al Qaeda e SI-Khorasan, anzi promettono di tenerle alla larga dagli interessi nazionali afghani di sviluppo e infrastrutture, impresa che non è riuscita né all’esercito governativo afghano né alle forze di occupazione Nato.

Mi fermo qui perché se no mi faccio prendere la mano e qualcuno può pensare che intendo santificare i Talebani… In ogni caso sono sicura che, se i Talebani venissero esclusi, l’Afghanistan avrà un governo formato solamente da corrotti e opportunisti… checché vi dicano Salvini (che va a trovare l’ambasciatore-fantasma), i giornali, gli inviati che inviano da ‘fuori campo’ e i sensibili sostenitori dei diritti umani e delle donne afghane che neppure più si dolgono per i recenti casi di femminicidio nel nostro Paese.

Note:

  1. La Naqshbandiyya (ramo Khalidi dell’ordine Sufi Naqshbandi)  riformata all’inizio del 19° secolo, ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione dell’Islam nel mondo, attraverso l’Impero Ottomano, fino in Afghanistan e Xinijang.
  2.  Gli ismailiti (o settimani) sono la seconda delle correnti dell’Islam sciita dopo i duodecimani. I membri sono chiamati settimani in quanto riconoscono legittima la successione del settimo imam Ismā ʿīl ibn Ja’far (che nel 765 fondò la setta) e non la successione dal fratello minore Mūsā al-Kāẓim la cui legittimità è invece sostenuta dagli altri sciiti.
  3. Diffuso nel 19° secolo da mercanti fra le varie popolazioni sunnite dell’Oriente, il wahabismo vide la conversione di scuole coraniche pashtun e indiane, tra cui, la scuola deobandi, finalizzata a contrastare il crescente nazionalismo indù. Il fenomeno del wahabismo trae origine dal pensiero di Ibn Taymiyah giurista e teologo siriano (XIII sec) e da Mohammed Ibn Abel Wahab (1703-1792) considerato il vero fondatore. Dogma di riferimento è l’unicità di Dio (tawhid), per cui la guerra contro ogni deviazione dalla retta via è caratterizzata anche da aspetti iconoclasti. Questo approccio radicale all’Islam ha assunto connotazioni diverse: irredentismo, nazionalismo, lotta al consumismo e lassismo dei costumi occidentali, terrorismo fondamentalista. Se storicamente ha contrastato cultura e costumi occidentali, si è rivolto recentemente contro altri movimenti sunniti che non applicano con rigore i precetti islamici.