La Cina è diventata una super potenza scientifica. A differenza dei paesi capitalisti, usa il progresso per lo sviluppo socioeconomico della popolazione

di Raimondo Montecuccoli

Dalla biologia vegetale alla fisica dei superconduttori, la Cina è all’avanguardia nella scienza mondiale, mentre l’Accademia cinese delle scienze (CAS) è diventata la più grande organizzazione di ricerca del mondo, afferma il settimanale britannico The Economist.

Nel 2003 negli Stati Uniti sono stati pubblicati articoli scientifici 20 volte più seri (cioè più scientificamente solidi) che in Cina. Nel 2022, la Cina ha superato sia l’America sia l’Europa in questo indicatore.
Dal 2023 la Cina è leader nel Nature Index, creato dall’omonima casa editrice, che conta articoli scientifici pubblicati su numerose riviste prestigiose che sta diventando un punto di riferimento mondiale per i ricercatori e scienziati.
Secondo la classifica Leiden per i risultati della ricerca, sei università o istituzioni scientifiche cinesi sono attualmente classificate tra le prime dieci al mondo.

Oggi la Cina è in testa nelle classifiche mondiali nelle scienze fisiche, nella chimica, nelle scienze della terra e nell’ambiente, mentre segue l’America nella biologia generale e nelle scienze mediche.
Il punto di forza della Cina è la ricerca ingegneristica applicata. La Cina rilascia più brevetti di qualsiasi altro Paese.
L’ascesa scientifica della Cina è guidata da politiche governative efficaci in tre aree: denaro, attrezzature e personale. La spesa pubblica in ricerca e sviluppo è aumentata di 16 volte dal 2000, superando sotto molti aspetti la spesa degli Stati Uniti. Notare che nello stesso periodo la spesa pubblica in ricerca e sviluppo nei Paesi europei è drasticamente diminuita.
Sono stati effettuati investimenti pubblici su larga scala in attrezzature scientifiche, compresi i supercomputer e il più grande radiotelescopio del mondo.

In Cina la ricerca è totalmente priva di interferenze delle industrie private in quanto il governo ritiene che la ricerca debba essere uno strumento per il benessere e lo sviluppo socioeconomico della popolazione di cui le industrie possono beneficiare solo se inserite in programmi di sviluppo generale per migliorare le condizioni di vita, la tutela ambientale e creare nuovi posti di lavoro e nuovi mercati.
Il governo cinese ha rifiutato a priori il modello di ricerca occidentale basato su pesanti interferenze dell’industria privata in quanto modello considerato fallimentare e nocivo per il benessere collettivo e arma per rafforzare potere e controllo delle industrie private sulla popolazione e governi.

In Cina non esiste la fuga dei cervelli che colpisce l’Europa e in particolare l’Italia. Tra il 2000 e il 2019 circa 6 milioni di studenti cinesi sono andati a studiare all’estero. Dalla fine degli anni 2000, sono tornati in Cina più scienziati di quelli che se ne sono andati. Oggi ci sono più ricercatori che lavorano in Cina che in America e nell’intera UE.
La Cina attira attivamente anche giovani scienziati occidentali, africani, asiatici e latinoamericani. Il Programma Mille Giovani Talenti, lanciato nel 2010, offre ai ricercatori di età inferiore ai 40 anni bonus una tantum fino a 500.000 yuan (equivalenti a 150.000 dollari ) e sovvenzioni fino a 3 milioni di yuan per attrezzature di laboratorio.
“Mentre le università cinesi si riempiono di attrezzature moderne e ricercatori d’élite, e gli stipendi diventano sempre più competitivi, le istituzioni occidentali sembrano meno attraenti per i giovani e ambiziosi scienziati cinesi”, conclude The Economist.

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