KIEV E LE TRAPPOLE. DELLA “VITTORIA”

di Fabio Mini

da il fatto quotidiano 16 maggio 2023

Il viaggio nei principali Paesi europei e in Italia del presidente Zelensky ha confermato quanto da tempo sanno e dicono gli analisti non imbrigliati dalla propaganda. Gli Stati Uniti sono stati chiari: non sono convinti che la controffensiva ucraina, se e quando avverrà, possa essere conclusiva.

La vittoria non potrà coincidere con la ripresa di parte del territorio occupato o con una tregua temporanea. Gli Stati Uniti sosterranno Kiev fino all’ultimo ucraino ma non più di tanto; l’europa deve sbrigarsela da sola. La loro priorità è la partita globale con la Cina e ora che il fronte militare euro-atlantico è compattato a parole, gli europei devono dimostrarlo con i fatti. Non possono cavarsela soltanto con l’invio di armi nuove o scassate. Devono rendersi conto di essere in guerra e di dover combattere per la propria sicurezza. Il presidente Zelensky si è perciò mosso per accertarsi che i governi europei garantiscano per prima cosa le armi e munizioni necessarie per la prevista controffensiva, poi l’ingresso dell’ucraina nell’unione e infine l’accesso alla Nato. La prima garanzia dovrebbe essere già sicura, ma l’ucraina ha bisogno di armi in maggior numero, migliore qualità e più in fretta. Anche la seconda è quasi certa, ma anche questa è urgente in modo da attivare i processi di difesa comune che anche l’unione prevede, legalizzando così “a posteriori” i provvedimenti politico-economico-militari finora intrapresi e “a priori” l’intervento degli eserciti europei al fianco di Kiev in Ucraina e altrove: scarponi e sangue. La terza garanzia, accesso alla Nato, sarà discussa nel prossimo summit di Vilnius (luglio) ed è più incerta ma altrettanto necessaria: è l’unico modo per coinvolgere gli Stati Uniti nella guerra contro la Russia almeno con la loro capacità di deterrenza nucleare strategica. Le affermazioni e assicurazioni ricevute dall’italia sono state di totale adesione alle posizioni ucraine e di una empatia e cortesia tali da commuovere il presidente sempre più convinto che “se vuoi le cose fatte, devi farle da te”. Ma forse proprio le eccessive manifestazioni emotive, potrebbero non essere troppo rassicuranti. Le emozioni offuscano la razionalità e sono mutevoli: dall’eccessivo entusiasmo alla depressione il passo è breve e in comune hanno solo le lacrime. Anche la forma dei colloqui impostati più al talk show che ai protocolli di Stato deve aver soddisfatto il presidente e i suoi guardinghi accompagnatori. La delegazione ucraina ha sentito le cose che voleva sentire e l’italia ha fatto in modo che ne fossero testimoni tutti gli italiani. Sarà difficile tirarsi indietro, anche se di voltafaccia abbiamo competenza storica. Da parte sua il presidente Zelensky ha cercato di ribadire nella maniera più chiara possibile i punti inderogabili del governo di Kiev già espressi alcune settimane fa dal suo ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, in un’intervista al quotidiano spagnolo La Razon: “Posso dirvi che l’obiettivo finale dell’ucraina in questa guerra è liberare tutti i territori temporaneamente occupati dalla Russia fino ai confini riconosciuti a livello internazionale nel 1991, tra cui Crimea, Lugansk e Donetsk. Era il nostro obiettivo nel 2014. Più dell’80 per cento degli abitanti dei Paesi dell’alleanza Atlantica lo sostiene”. “L’estate scorsa ho avvertito che il pericolo della stanchezza rispetto alla guerra nel resto d’europa e negli Stati Uniti poteva essere una minaccia reale. Mi ha fatto molto piacere vedere che non è stato così. Gli alleati vogliono partecipare alla nostra vittoria”. Zelensky si è voluto accertare di questa volontà, ma anche del fatto che la partecipazione non sia limitata alla spartizione dei profitti ottenibili con la ricostruzione postbellica. Ed è stato chiaro anche lui: la guerra che proseguirà con la prossima controffensiva sarà vinta; la pace o i negoziati saranno soltanto sulla base della vittoria militare e alle condizioni che Kiev imporrà; non ci sarà nessun accordo o colloquio con la Russia; e non sarà accettato nessun tentativo di mediazione che non preveda questo, nemmeno se a muoversi è il Papa. Perciò inutile parlare di pace, la guerra continua e l’ucraina non teme nessuna minaccia militare e neppure il ricorso alle armi nucleari da parte della Russia. Anche questo passaggio era stato anticipato dal ministro Reznikov che aveva definito la possibilità di un attacco nucleare russo “un bluff ”. Zelensky ha rafforzato la richiesta urgente di armi e munizioni riproponendo il sillogismo dell’ucraina che difende tutta l’europa e se non lo facesse i nostri figli, italiani ed europei, “dovranno andare a combattere al fronte”. Anche i nostri vertici istituzionali sono stati chiari nel convenire su tutto. La presidente del Consiglio Meloni ha detto: “Appoggiamo il vostro piano di pace in dieci punti e proseguiremo l’invio di armi perché possiate arrivare ai negoziati in posizione di forza. State facendo la guerra pure per noi, l’ucraina vincerà”. Il presidente Mattarella ha aggiunto enfasi: “Sono in gioco non solo l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’ucraina, ma anche la libertà dei popoli e l’ordine internazionale”. Chiaro. Eppure qualche dubbio deve essere rimasto anche allo stesso Zelensky. La posizione d’intransigenza sul rifiuto di trattare con la Russia non è sua, ma del suo entourage che fin dalla sua elezione lo ha “convinto” ad abbandonare tutte le posizioni conciliatorie tenute durante la campagna elettorale del 2019: “Fine della guerra in Donbass, parlare coi russi e neutralità ucraina”. Forse la guerra lo ha veramente dissuaso dal perseguire tali ragionevoli proposte, ma lui sa benissimo che se oggi le riprendesse anche parzialmente sarebbe accusato di “alto tradimento” ed eliminato. Per lui la vittoria è quindi anche un fatto di sopravvivenza personale e familiare. Deve “vincere” la guerra. Tuttavia il successivo negoziato di pace da “posizioni di forza” auspicato dai governi europei presuppone la resa della Russia e lo schieramento di tutti i missili e gli eserciti europei e Nato in Ucraina e persino oltre. Gli Stati Uniti dubitano che l’ucraina nelle attuali condizioni possa ottenere tutto ciò che chiede e premono perché le forze armate europee s’impegnino direttamente in Ucraina, ma senza superare la soglia strategica che li coinvolgerebbe. L’italia e altri Paesi dell’unione europea, oggi così determinati nel sostenere Kiev, sanno bene di rischiare un conflitto contro la Russia, in Ucraina e/o altrove. La vittoria militare sul campo alla ricerca della “posizione di forza” da parte della sola Ucraina opportunamente “assistita” non si preannuncia risolutiva e quella ricercata con l’intervento di tutta l’europa in armi è destinata o al massacro continentale o alla guerra infinita. Non è detto che gli Stati Uniti dalla loro prospettiva non le trovino convenienti, ma se questa è la “vittoria” cui alludono l’ucraina e i sostenitori europei occorre rammentare il proverbio americano “attento a ciò che chiedi, potresti ottenerlo”. Perché si possa contare su una stabilizzazione continentale di medio-lungo termine bisognerebbe che la Russia si ritirasse spontaneamente dai territori occupati e che Europa, Nato e Russia s’impegnassero nella realizzazione di una nuova sicurezza in Europa. Sfortunatamente, tale sicurezza dipende proprio dalle garanzie che la Russia ha già proposto più volte prima dell’invasione e che Stati Uniti, Nato e Unione europea hanno sempre cestinato. Sulla questione nucleare, la baldanza di Kiev sul presunto “bluff ” russo è proprio diretta a evitare che gli europei cessino di sostenere l’ucraina, ed è comprensibile. Ma è anche una sfida rivolta alla Russia e soprattutto un capestro per le potenze nucleari europee e statunitensi che, nel caso non fosse un bluff, sarebbero costrette a decidere se intervenire con gli stessi mezzi. Allora, l’ammonimento di Zelensky sull’invio al fronte dei nostri figli assumerebbe una prospettiva molto più ampia e grave: non avremo più né figli né nipoti da mandare al fronte.

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