
di: Francesco Galofaro e Marco Pondrelli
Dedichiamo la sentiment analysis di oggi alla disastrosa ritirata americana da Kabul, che non può non ricordare l’abbandono altrettanto precipitoso di Saigon. Tutti i tentativi ideologici di giustificare vent’anni di occupazione con la lotta al terrorismo non possono nascondere il sostanziale fallimento della così detta esportazione della democrazia. Il regime collaborazionista instaurato dalla NATO a in Afghanistan non sarebbe certo svanito come una bolla di sapone se avesse avuto il sostegno della popolazione. Anche il governo italiano avrà il suo bel daffare nello spiegare ai contribuenti a cosa siano servite decenni di spese militari, per tacer dei morti.
I numeri
Oggi inauguriamo un nuovo algoritmo basato su una libreria open source. E’ un po’ meno analitico del precedente ma presenta due vantaggi: è specializzato sulla lingua italiana ed è in grado di cogliere, con precisione apprezzabile, la tonalità emotiva dei messaggi analizzati. Lo abbiamo applicato ai quattrocento messaggi più influenti raccolti su twitter la settimana scorsa sul tema dell’Afghanistan.

In figura 1 vediamo la polarizzazione del dibattito. Il risultato si commenta da sé: l’85% dei messaggi esprime un atteggiamento negativo riguardo alla questione (si veda anche il worldcloud corrispondente in fig. 4).

Per entrare nel dettaglio delle emozioni espresse (fig. 2), prevalgono rabbia (48.8%, worldcloud fig. 5) e tristezza (29,5%, worldcloud fig. 6). Solo un 15% dei messaggi esprime gioia (world cloud in fig. 7), e corrispondono grossomodo ai messaggi con un atteggiamento positivo in figura 1 – si veda anche il worldcloud corrispondente (fig. 3). Una piccola parte dei messaggi esprime paura (6,8%, worldcloud fig. 8)). Il bilancio politico è chiaro: è una catastrofe, non solo dal punto di vista dei paladini dei diritti e di chi è impegnato per la pace, ma anche da quello dei crociati e dei fanatici dello scontro delle civilizzazioni.


La rabbia
Entriamo nel merito di alcuni tweet selezionati, per capire a cosa corrispondono le emozioni suscitate da vent’anni di propaganda imperialista. Tra i VIP, Giuseppe Conte se la prende con i politici italiani che tentano di strumentalizzare il disastro umanitario in Afghanistan. Esprime la sua rabbia anche Roberto Saviano, secondo il quale i Talebani sono un’organizzazione criminale dedita allo spaccio dell’eroina (sulla stessa lunghezza anche Adolfo Urso). Rispondono altri, tra cui Sgarbi, ricordando che l’uso di droghe è vietato dalla legge islamica, oppure facendo notare che, prima dell’invasione USA, quegli stessi talebani avevano ridotto a zero le piantagioni di papavero. Linkiesta giudica immorale la scelta di Biden e dà del cretino a chi non la pensa così; per Berlusconi immorale è invece la rassegnazione dell’occidente. Le organizzazioni cattoliche sperano che l’Europa non giri le spalle e accolga i profughi. Salvini tenta un’imbarazzante distinzione tra profughi da accogliere e terroristi da cacciare. Per quanto riguarda i non-vip, alcuni moltiplicano l’atrocità delle storie in circolazione su quel che starebbe accadendo al Kabul. Altri sottolineano che gli americani non erano in Afghanistan per difendere i diritti delle donne, ma per violentarle, come dimostra l’affetto dimostrato loro dalla popolazione occupata. La maggioranza di questi tweet, tuttavia, ha tutto un altro bersaglio polemico. Alla gogna sono i politici italiani, a partire da Mario Draghi, che sembrano più preoccupati più del rispetto dei diritti in Afghanistan che dei problemi dei cittadini italiani; molti si chiedono a cosa sia servita la missione Italiana e i 54 morti, oltre a denunciare l’ideologicità degli argomenti sulla difesa dei diritti umani e delle donne, che improvvisamente non contano più nulla.

La paura
Ecco le paure di twitter: i ‘battaglioni speciali di assalto talebani’, il ritorno dell’Isis, la sorte delle donne, che al momento sarebbero ‘barricate in casa per paura dei talebani’, quella dei dei bambini e degli esuli. I tweet che esprimono paura sono spesso piuttosto generici e mancano di riferimenti a circostanze precise. Il contagio della paura sfrutta proprio il fatto che essa per definizione non ha per oggetto fatti già verificatisi, ma ciò che potrebbe accadere: non si teme per il passato, ma per il futuro. Chi esprime paure non deve provare nulla. Questo fa della paura un’arma propagandistica assolutamente formidabile.

La gioia
Un piccolo numero di tweet associa la gioia a una polarità negativa. Questo è interessante, perché i tweet in oggetto sono in realtà sarcastici. Invitano a volare in Afghanistan facendo il verso alle pubblicità delle compagnie aeree, attribuiscono il premio Ponzio Pilato a Biden, dichiarano di aver avvistato Di Maio in spiaggia o sostengono che i grandi giorni dell’Afghanistan non sono finiti. Detto questo, esprime gioia in senso proprio Mario Draghi, definisce eroi i 54 soldati italiani morti in Afghanistan, come se ciò bastasse a dare un senso alla loro vicenda. C’è chi, come Giorgia Meloni e Michela Murgia, applaude al coraggio delle donne di Kabul, e chi applaude a quelle che applaudono al coraggio delle donne di Kabul. Come in un film di Hollywood, suscitano gioia la determinazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’eroicità della missione di soccorso USA, le dichiarazioni di Draghi sulla necessità della collaborazione mondiale, le lettere dei caduti italiani ai familiari.

La tristezza
Suscitano tristezza: le madri dei caduti italiani morti, le rassicurazioni dei Talebani alle donne, la scoperta del fatto che Biden non è migliore di Trump e forse è addirittura peggiore, il paragone tra i femminicidi italiani e la situazione delle donne in Afghanistan. Fa tristezza il fatto che alcuni politici fingano di far qualcosa: l’Unione europea e le sue belle parole, Adolfo Urso che riunisce il Copasir per discutere sulle nuove minacce legate alla droga e al terrorismo. Per fortuna degli afghani, Giuseppe Conte e Matteo Renzi rassicurano tutti facendo sapere di essere rientrati in ufficio. Fa tristezza anche Jens Stoltemberg, per il quale il collasso afghano non era prevedibile.
Alcuni si rammaricano temendo che i profughi in arrivo siano tutti uomini, altri perché le donne che protestano hanno di fronte a sé Talebani col mitra al braccio. C’è chi prega per i cristiani perseguitati invocando la madonna di Batnaya (che però sta in Iraq) e c’è chi rimpiange il recentemente scomparso Gino Strada. E’ triste anche Lapo Elkann, che di informa di essere stato in Afghanistan e di auspicare un’Italia in grado di accogliere i profughi.

Giornalisti
Pochi notano che il temuto bagno di sangue in realtà per ora non si è verificato e nessuno si interroga sui possibili motivi. Tra loro Nico Piro, che da Kabul il 17 assicura che la situazione è del tutto normale. I suoi tweet si concentrano sul Pakistan che ora avrà due fronti aperti con Afghanistan e India, e sull’apertura di credito nei confronti dei Talebani da parte di Cina, Russia, Iran, Uzbekistan, Tagikistan, che auspicano la stabilizzazione della regione. Tra gli account ufficiali dei giornali spicca il Foglio, ultimo baluardo dell’ideologia assediata dalla realtà, denuncia l’isolazionismo americano e gli stati occidentali per lo spazio libero lasciato agli Stati canaglia. Mentre alcuni tweet di organizzazioni umanitarie definiscono ‘profughi’, ‘rifugiati’ o con altri eufemismi gli Afghani diretti in Italia, altri tweet giornalistici li descrivono più correttamente come collaboratori. Non si tratta, per essere chiari, di pacifisti difensori dei diritti umani torturati dai talebani, ma di personalità che in questi anni hanno aiutato attivamente le forze di occupazione del proprio Paese guadagnando posizioni di potere che li hanno resi invisi alla popolazione, della quale ora temono giustamente la reazione.
Breve considerazione finale
Quello che va in scena nello psicodramma collettivo di Twitter è la crisi dell’ideologia di fronte alla dura lezione della realtà. La maggior parte degli italiani, anche di sinistra, deve aver creduto alla favola della missione in Afghanistan, della popolazione che ci vuol bene e ci ringrazia per averli occupati; la favola che ci vedeva garanti di un popolo inerme, delle donne e dei bambini, di fronte alla prevaricazione di una banda armata di violenti. Incredibile, ma questo cliché intramontabile della propaganda coloniale continua sempre a funzionare: siamo lì per portare aiuti, sviluppo, civiltà a un branco di selvaggi affamati, a vestirli e a insegnare loro le buone maniere. Gli Inglesi, che dagli afghani sono stati battuti già nel 1919, si facevano scudo degli stessi argomenti. La realtà è molto diversa: in questa favola, noi siamo i cattivi. L’Afghanistan è un esempio paradigmatico della politica americana negli scenari contesi con altre superpotenze mondiali o potenze regionali. In fondo Biden è stato sincero: agli americani non interessa costruire uno Stato funzionante nei territori occupati, l’unico vero obiettivo è che questi non vengano ‘stabilizzati’ dai propri avversari e non entrino a far parte della ‘sfera di influenza’ russa, cinese, iraniana, eccetera. Gli americani, che in passato pretendevano di esportare la democrazia con le bombe, prosperano nella guerra civile e nella contesa perpetua. Questo deve essere chiaro a chi ha realmente a cuore la pace: non la si ottiene né con le rivoluzioni arancioni finanziate all’estero, né radendo al suolo un Paese con le missioni di pace e di polizia e impedendo l’autodeterminazione dei popoli, occupandoli nei secoli dei secoli.