
di Maria Morigi
Nello Stato Jammu e Kashmir le pianure sono abitate prevalentemente da indù, mentre la valle di Srinagar è abitata prevalentemente da musulmani. E un detto locale kashmiro afferma: “Dove inizia il racconto? Se fa ridere è una ribellione. Se fa piangere è una ribellione. Se diciamo qualcosa, sarà considerata una ribellione… Noi siamo una nazione pacifica“.
Ora la cronaca del 22 aprile 2025 ci dice che in Jammu e Kashmir, conteso tra India e Pakistan e controllato dall’India, almeno 28 persone sono rimaste uccise in un attacco ad un resort presso la “prateria di Baisaran”, a pochi chilometri dalla località turistica di Pahalgam. Il Fronte della resistenza (Trf), affiliato alla formazione armata indipendentista Lashkar-e-Taiba, ha rivendicato l’attentato. E l’evento sta avendo una pesante ripercussione nei rapporti tra India e Pakistan, dopo che le elezioni (18/09 -1/10/ 2024) hanno visto la vittoria della coalizione di opposizione All Parties Hurriyat Conference (APHC) movimento formato nel 1993 da 26 organizzazioni politiche, sociali e religiose, che ha ottenuto 49 seggi su 90 e formerà il governo localei. I militanti ribelli del Kashmir – sostenuti da gran parte dei kashmiri musulmani – combattono contro il governo di Nuova Delhi con l’obiettivo di fare del Kashmir uno Stato indipendente, oppure di unire il territorio allo Stato pakistanoii.
La questione risale a quando Il “piano di partizione” dell’ Indian Independence Act previde che lo Stato principesco del Kashmir (1846-1947) potesse scegliere se aderire all’India o al Pakistan. Il sovrano Hari Singh non scelse e così il territorio fu annesso all’India e riconosciuto come Stato ad “autonomia speciale”, unico ad avere un’ Assemblea Costituente e una Costituzione separata da quella di Nuova Delhi (il governo centrale indiano poteva legiferare solamente su difesa, esteri, comunicazioni). Seguirono continui scontri fino agli Accordi di Simla nel 1972 che stabilirono il ritiro dei rispettivi eserciti e tracciarono, con intervento ONU, la linea di controllo militare di cessate il fuoco, fraintesa spesso come “linea di confine”, oggi percorsa da una barriera elettrificata. Una vera indipendenza si sarebbe potuta raggiungere tramite un referendum che, non voluto da entrambe le parti, è sempre stato procrastinato.
I contrasti – mai stati realmente smessi – si sono riaccesi dopo il 2019 insieme all’attività e alle richieste di gruppi resistenti e all’attività di gruppi militanti qualificati “terroristi” che hanno provocato una serie di uccisioni di indù lavoratori immigrati dagli Stati indiani. Ma ciò che ha portato alle proteste di massa è stata la cancellazione unilaterale (agosto 2019) dalla Costituzione indiana dell’articolo 370 che garantiva l’autonomia dello Jammu e Kashmir. L’abolizione per decreto dell’art. 370 fu definita illegale, incostituzionale e unilaterale dal Pakistan. Il mese dopo Il premier Narendra Modi ha presentato un disegno di legge (Jammu and Kashmir Reorganization Act) per cui il Jammu e Kashmir era retrocesso a “territorio dell’Unione” amministrato direttamente da Nuova Delhi (stessa sorte ha avuto il Ladah). La decisione definitiva è passata alla Corte suprema che il 10 dicembre 2023 ha confermato la revoca dell’articolo 370 e la fine dell’autonomia dello Jammu e Kashmir.
La revoca dell’autonomia del Kashmir è stato (ma è ancora) uno dei cavalli di battaglia a sostegno della Hindutvaiii o Induità dei nazionalisti indù del BJP e ha praticamente aperto la strada ad una colonizzazione indù il cui modello somiglia a quello di Israele in Cisgiordania. L’ideologia politica razziale del premier Modi si conferma come una china pericolosa per l’India che sta abbandonando il “non allineamento”, mantenuto con fermezza dal Partito del Congresso fino all’elezione di Modi, per assumere il ruolo di fiancheggiatore degli interessi USA nell’Oceano indiano e portare il sistema-India verso Israele quale naturale alleato.
Alcune informazioni sul gruppo fondamentalista pakistano Lashkar-e-Taiba (LT) sostenitore del Fronte della Resistenza kashmira ci fanno capire come il fenomeno terrorismo non piova inaspettato dal cielo e sia, purtroppo e sempre, la naturale risposta a politiche e strategie di stampo colonialistico e imperialistico che opprimono e calpestano le legittime esigenze di minoranze etniche e religiose.
Il gruppo Lashkar-e-Tayyiba (LT)iv ha avuto notorietà per l’attentato terroristico all’Hotel Taj Mahal a Mumbai, nel novembre 2008. Il nome significa “Esercito dei Giusti” o “Esercito dei Puri”, ed è l’ala militante di un’organizzazione religiosa sunnita wahhabita costituita nel 1989. Guidato dal pakistano H. M. Saeed, è uno dei gruppi più consistenti e meglio addestrati tra quelli che rifiutano concessioni all’India relativamente ai territori contesi col Pakistan. I quadri LT provengono da madrase pakistane, oppure sono veterani delle guerre afghane e contano diverse migliaia di membri nella regione dell’Azad Kashmir, nelle aree meridionali dello Jammu- Kashmir e nel distretto kashmiro di Doda, tutti territori rivendicati dall’India. Senza essere collegata ad uno specifico partito politico, la formazione ha condotto una serie di aggressioni contro truppe indiane, obiettivi civili hindu e sikh a partire dal 1993. L’attacco del 2008 a Mumbai non è stato che l’apice di una lunga serie iniziata con l’attacco suicida (13 dicembre 2001) contro il Parlamento indiano a Nuova Delhi e, sempre nel 2001, l’attacco all’aeroporto e stazione di polizia a Srinagar, e vari attacchi contro le forze di sicurezza del confine indiano. Nel 2006 il gruppo fu implicato in attacchi contro civili, tra cui quello dell’11 luglio a Delhi quando diverse bombe colpirono treni pendolari durante l’ora di punta.
Gli Stati Uniti già nell’ottobre 2001 avevano aggiunto LT all’elenco OFAC (Office of Foreign Asset Control) tra le organizzazioni terroriste in possesso di beni che possono essere congelati o controllati nella giurisdizione statunitense. Il governo del Pakistan, per compiacere gli Stati Uniti e per evitare una guerra con l’India, bandì il gruppo nel 2002 e arrestò il leader Saeed, che però, grazie all’interessamento dei Servizi segreti pakistani, venne rilasciato pochi mesi dopo e fondò l’Onlus di copertura Jamaat ud-Dawa (JUD).
Come risulta evidente, il gruppo fondamentalista non solo risorge in appoggio alla resistenza kashmira, ma rappresenta ancora una minaccia consistente per la sua capacità di reclutare militanti in paesi di tutto il mondo. Quindi sono state del tutto inutili le pressioni da parte di India e NATO perché il Pakistan reprimesse con decisione terrorismo e istanze di autonomia e indipendenza della regione del Kashmir.
Nel complesso la questione Kashmir rischia dunque di divenire un fattore di instabilità all’interno dell’alleanza BRICS cui il Pakistan aspira di diventare membro … e certamente il Pakistan non potrà arrivare all’obiettivo di essere accolto dai BRICS senza il “permesso” del conservatore hindu Narendra Modi.

Note:
i Al BJP, partito nazionalista e induista di Narendra Modi sono andati solo 29 seggi.
ii In Centro Studi Eurasia e Mediterraneo, ne riferisce Stefano Vernole in vari articoli tra cui cito: “Kashmir senza pace: un focus sul Diritto internazionale” del 7 Febbraio 2025; “Celebrazione del Kashmir Black Day presso il Consolato generale del Pakistan a Milano” del 29 Ottobre 2024; “Kashmir, il peso geostrategico di una regione contesa” del 31 Ottobre 2023
iii Pilastri dell’Hindutva sono: nazione, razza e cultura indù comuni ed esclusione dell’Islam, benché in India i musulmani siano il 14% della popolazione totale e nella regione Kashmir ben 13 milioni.
iv Maria Morigi “Islam tra colonizzazioni e imperialismi” (Anteo ed. 2025) pag 167
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