di Maria Morigi
In Israele il settore edilizio è il più pericoloso e anche un business in mano alle mafie. Vi sono impiegati lavoratori palestinesi (per il 57,4%) e immigrati che, all’interno della Linea Verde e negli insediamenti illegali di coloni, fanno il cosiddetto “lavoro sporco”, cioè attività ad alta intensità di manodopera quali l’installazione della struttura di un edificio, l’intonacatura, le impalcature ecc.
L’associazione no-profit per i diritti dei lavoratori Kav LaOved ha denunciato che nel primo semestre del 2023 almeno 40 persone sono morte in incidenti sul lavoro, con un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Israele ha bisogno di importare forza lavoro, altrimenti il “lavoro sporco” non lo fa nessuno. A maggio 2023, il ministro degli Esteri israeliano e l’omologo indiano hanno firmato un accordo sulla mobilità e sulla migrazione (Migration Mobility Partnership Agreement) per la concessione di visti e permessi a decine di migliaia di cittadini indiani destinati ai cantieri edili o ai ruoli di collaboratori domestici e badanti. Parliamo di 42mila lavoratori, di cui 34mila sarebbero destinati all’edilizia e 8mila all’assistenza. Già prima di maggio funzionari israeliani avevano visitato i centri di formazione indiani e descritto con piena soddisfazione i lavoratori locali come diligenti, esperti e fluenti in inglese. Anche meglio dei cinesi che erano stati impiegati nell’edilizia in seguito agli accordi bilaterali tra Pechino e Tel Aviv del 2017. Migliaia di cinesi si erano così ritrovati a lavorare in Israele in “condizioni di lavoro precarie” di sfruttamento, come denunciato da fonti accreditate ONU.
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele sta cercando di rimpiazzare i lavoratori palestinesi i cui permessi sono stati sospesi. Alla fine di dicembre il ministero delle Finanze israeliano ha stimato che la perdita di questa forza lavoro costerà al sistema economico fino a 830 milioni di dollari al mese, per cui si chiede al governo indiano conservatore di Narendra Modi l’invio immediato di lavoratori e una cooperazione che va ben al di là di quella tradizionale in materia di Difesa e antiterrorismo.
Ma ecco che in India si scatena l’opinione pubblica: la cooperazione viene letta come un sostegno da parte del governo indiano al genocidio in corso a Gaza, come un attacco ai diritti dei lavoratori, come una pressione violenta e discriminatoria nei confronti dei musulmani (che sono la maggioranza dei migranti).
Da dicembre si vanno moltiplicando le proteste perché vari Stati federali indiani a guida conservatrice BJP, come l’Uttar Pradesh, hanno emanato bandi per l’assunzione di lavoratori edili da inviare in Israele. L’Haryana Kaushal Rojgar Nigam (HKRN), Agenzia statale per l’occupazione, denuncia che si tratta di “un bieco stratagemma per sfruttare i lavoratori edili indiani più poveri da mandare in Israele, offrendo buone paghe al prezzo di morte, fame e perdita di entrate per i compagni di lavoro palestinesi“, inoltre l’invio di lavoratori “in sostanza, accresce il sostegno agli attacchi genocidi contro la Palestina”. Il HKRN chiede al governo indiano di sostenere un cessate il fuoco immediato e la creazione di uno Stato palestinese indipendente, piuttosto che intavolare trattative per l’invio di lavoratori in Israele.
Dieci principali sindacati indiani rilasciano una dichiarazione denunciando la manovra come “disastrosa” e “immorale”: “Tale passo equivale ad una complicità dell’India con la guerra genocida in corso da parte di Israele contro i palestinesi”. Le proteste coinvolgono la Confederazione sindacale degli edili (CWFI) che denuncia l’accordo come una “bieca manovra” che, offrendo condizioni salariali migliori di quelle esistenti in India, cerca di attrarre i lavoratori indiani utilizzandoli contro i loro compagni di classe palestinesi espulsi da Israele, rimasti senza fonte di reddito e ricacciati sotto i bombardamenti. Inoltre i salari dei migranti indiani sarebbero depositati presso l’azienda e trattenuti (per essere investiti) fino al termine del contratto che potrebbe durare da uno a cinque anni . “I lavoratori edili in India sono uniti alla classe operaia e al popolo palestinese, che sta affrontando attacchi genocidi da parte di Israele con il pieno sostegno degli Stati Uniti e di altri paesi imperialisti”, afferma CWFI.
Per le proteste contro il razzismo antimusulmano del partito di governo, vediamo che nella regione a maggioranza musulmana del Kashmir sono vietate le manifestazioni a sostegno della Palestina. Il leader locale della resistenza anti-indiana, Mirwaiz Umar Farooq, denuncia di essere agli arresti domiciliari ogni venerdì (giorno sacro nell’Islam) dall’inizio della guerra a Gaza. Inoltre non è consentita la preghiera del venerdì nella moschea di Srinagar, capoluogo del Kashmir. Tutto molto coerente con le dichiarazioni di funzionari indiani del partito BJP, i quali avevano elogiato le politiche israeliane in Cisgiordania come modello da riprodurre anche nella regione himalayana contesa con il Pakistan.
A completare le visione delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, leggo un’ultima notizia su l’Avvenire “In Israele risiedono ora circa 17mila lavoratori indiani che operano soprattutto nel settore infermieristico. -E’ solo l’inizio, l’obiettivo è molto più ampio – dice un funzionario del governo indiano…”
Fonti:
I lavoratori edili indiani rifiutano l’accordo sull’esportazione di manodopera verso Israele e riaffermano la solidarietà con la Palestina (11 Gennaio 2024) https://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o56512:m2; https://pungolorosso.com/2024/01/09/i-lavoratori-edili-indiani-
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