di Maria Morigi
Nel mentre che i nostri media si intrattengono ad argomentare finemente sull’oltraggio ai diritti umani e sulla mancanza di democrazia in Cina o in Russia, in questo torrido agosto in tutta l’India sono state chiuse le scuole, sospeso Internet, congelato il traffico ferroviario e tutto il trasporto pubblico.
Si protesta contro Agnipath, il programma lanciato dal governo per l’ammissione volontaria dei giovani nell’esercito. I manifestanti chiedono il ritiro della piattaforma che prevede una corsia preferenziale per l’assunzione nell’esercito dei giovani che avranno concluso gli anni di formazione. Leader del partito del Congresso hanno manifestato solidarietà con gli aspiranti soldati che si sentono scavalcati dai “volontari” di Agnipath. Le proteste sono iniziate negli stati dell’Uttar Pradesh e del Bihar, dove migliaia di giovani hanno preso d’assalto stazioni, dato alle fiamme treni, e si sono scontrati con la Polizia (ANSA).
A Nuova Delhi, alla fine del 2021, gli agricoltori indiani – milioni di lavoratori che quando si muovono sono una forza non arginabile – avevano accettato di porre fine all’assedio di 15 mesi che aveva messo a dura prova il governo Modi. Gli agricoltori chiedevano una legge che garantisse il prezzo minimo di acquisto dei loro raccolti e una politica volta a proteggerli dalle fluttuazioni del mercato. Lo scorso novembre il governo aveva accolto molte delle richieste, comprese le assicurazioni e i prezzi garantiti per tutti i prodotti non solo per riso e grano; era stata accolta anche la richiesta principale, cioè il ritiro delle riforme governative volte a garantire il controllo delle grandi aziende multinazionali sull’agricoltura. Modi infatti, per frenare la protesta, promise che avrebbe annullato le tre leggi sull’agricoltura che avevano lo scopo di deregolamentare i mercati dei prodotti agricoli, ma che secondo gli agricoltori avrebbero consentito alle grandi aziende di sfruttarli.
Nel corso della protesta segnaliamo che, per limitare la capacità organizzativa del movimento degli agricoltori, il governo ha sospeso internet e i servizi telefonici nei luoghi delle proteste, oltre a minacciare i giornalisti che attraverso twitter diffondevano notizie in tempo reale sulla situazione. Inoltre la BJP IT Cell (disinformatori e odiatori online, che sostengono il governo attaccando gli oppositori) ha delegittimato il movimento degli agricoltori come espressione degli interessi di ricchi intermediari (musulmani travestiti da Sikh) invece che degli agricoltori (poveri) o del terrorismo secessionista Sikh.
Ad oggi però ancora poco si è ottenuto per porre fine alla questione, infatti sembra che Il governo abbia solo deciso di istituire un comitato di coltivatori e funzionari governativi per trovare il modo di garantire i prezzi minimi di sostegno per tutti i prodotti agricoli (MSP vengono chiamati i tassi garantiti). Appena il mese scorso il governo federale ha istituito il comitato e invitato i rappresentanti delle organizzazioni di agricoltori a partecipare.
E così il 1 agosto 2022 oltre 200 organizzazioni affiliate al Sanyukta Rojgar Andolan Samiti (Joint Employment Movement Committee, SRAS) si sono riunite per organizzare una nuova protesta a Nuova Delhi dal 16 al 22 agosto presso l’osservatorio Jantar Mantar, luogo tradizionale di ritrovo di manifestanti. La richiesta al Parlamento è di approvare la proposta politica nazionale per l’occupazione creata dalla Fondazione Desh Ki Baat. A metà agosto dilaga di nuovo la protesta: migliaia di contadini (5000 secondo fonti ufficiali) si riuniscono a New Delhi per protestare contro le promesse non mantenute dal governo. Gli agricoltori chiedono che il governo finalmente garantisca -davvero e non solo a parole- un prezzo minimo di sostegno (MSP)per tutti i prodotti e cancelli i debiti pregressi. Gli organizzatori hanno affermato che oltre 10.000 agricoltori di gruppi nazionali e regionali sono arrivati nella capitale per esortare il governo a mantenere le promesse dell’anno scorso e adempiere finalmente alle legittime richieste degli agricoltori.
Tutti questi recenti esempi di pubblico dissenso dimostrano la debolezza del premier quantomeno in politica interna, e, benché le proteste riguardino riforme specifiche, offrono la possibilità di inquadrare più a fondo il modus operandi del governo Modi caratterizzato da un approccio autoritario, accentratore e decisionista che annulla il confronto con l’opposizione e le parti sociali.
Una delle questioni centrali è che le leggi promulgate da Modi per la regolazione del mercato agricolo propongono una soluzione universale a problemi che invece richiederebbero numerosi interventi specifici. Inoltre sono un chiaro segno della volontà di centralizzazione e soppressione di autonomie ed esigenze locali che sta caratterizzando anche il secondo mandato governativo di Modi. L’approccio one-size-fits-all , cioè “una taglia unica” ha scontentato sia categorie interessate alla riforma, sia quelle forze politiche che percepiscono l’azione del governo come un attacco al federalismo, uno ‘svuotamento’ dei processi democratici e una riduzione degli spazi di critica e opposizione. Le leggi, infatti, vengono criticate perché approvate in modo poco trasparente e discusse senza interpellare – anzi estromettendo- i rappresentanti degli agricoltori che rappresentano circa il 60% della forza lavoro del Paese. Ma non solo: hanno coinvolto anche gruppi sociali in allarme per la politica economica del governo accusata di essere allineata agli interessi del big-business, i grandi gruppi industriali vicini al governo Modi, ovvero poche grandi industrie sostenute dallo Stato. In questo senso, alcuni osservatori hanno notato come la politica economica dei governi Modi abbia accelerato questa tendenza, promuovendo un “conglomerate capitalism” (Harish Damodaran).
Infine il confronto tra parlamento e governo e tra centro e stati sembra non avere alcuna rilevanza per Modi, che prosegue imperterrito nella centralizzazione del potere decisionale e insiste in azioni unilaterali. E’ così che l’opposizione si manifesta in modo dirompente dal basso, mancando al momento la possibilità di sostenere una vera riforma fondata sul coordinamento federalistico e sul coinvolgimento delle parti sociali. Un orizzonte, questo, evidentemente non compatibile con l’agenda politico-economica del governo indiano.
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