
di Giulio Chinappi
da https://giuliochinappi.wordpress.com
Nonostante l’inasprimento del blocco economico e le pressioni imperialiste degli Stati Uniti, oltre mezzo milione di cubani ha partecipato alla Marcia del popolo combattente a L’Avana. L’evento ha riaffermato il sostegno alla Rivoluzione e alla sovranità socialista.
Lo scorso 20 dicembre ha avuto luogo a L’Avana la Marcia del popolo combattente, un evento che ha visto la partecipazione di oltre mezzo milione di persone. Con in testa il leader rivoluzionario e generale dell’esercito Raúl Castro Ruz e il presidente Miguel Díaz-Canel, questa manifestazione ha ridabito che, nonostante le grandi difficoltà economiche e l’inasprirsi del bloqueo illegale imposto dal governo degli Stati Uniti, il popolo cubano resta al fianco del proprio governo e sostiene la scelta socialista, respingendo ogni forma di ingerenza imperialista.
Tra le immancabili immagini di Ernesto “Che” Guevara e di Fidel Castro, centianaia di migliaia di cubani di tutte le età hanno attraversato le strade della capitale per rendere questa importante testimonianza e respingere gli assalti imperialisti provenienti da Washington, che non sono cessati nel corso dell’amministrazione democratica di Joe Biden e proseguiranno anche nel corso di quella repubblicana di Donald Trump.
“Lontano dal mantenere la promessa elettorale relativa alle relazioni con Cuba, il presidente Joe Biden, nei suoi quattro anni di mandato, ha continuato a mantenere in vigore e applicare quasi la totalità delle misure di coercizione economica draconiane imposte dal governo di Trump, approvandone anche altre, come la recente legislazione che legalizza il furto sfacciato del marchio Havana Club nel mercato statunitense“, si legge in un editoriale pubblicato sulla testata cubana Granma, organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba.
Nonostante l’alternarsi di numerose amministrazioni e la leggera apertura messa in pratica da Barack Obama nel corso del suo mandato, che ha permesso la normalizzazione delle relazioni diplomatiche bilaterali, gli Stati Uniti continuano a perseguire lo stesso obiettivo da 60 anni, ovvero l’attuazione del progetto imperialista delineato nel famoso memorandum del vice assistente del segretario di Stato, Lester Mallory, secondo il quale l’unico modo per affrontare la Rivoluzione Cubana era “attraverso il disincanto e l’insoddisfazione derivanti dal disagio economico e dalle difficoltà materiali“.
Il documento redatto da Mallory riassume perfettamente gli ultimi sei decenni di politica anticubana da parte degli Stati Uniti, affermando che “bisogna utilizzare rapidamente tutti i mezzi possibili per indebolire la vita economica di Cuba […] una linea d’azione che, con la massima abilità e discrezione possibili, ottenga i maggiori progressi nel privare Cuba di denaro e forniture, per ridurre le sue risorse finanziarie e i salari reali, provocare fame, disperazione e il rovesciamento del governo“. Tuttavia, nonostante gli innegabili sforzi compiuti dalle forze imperialiste per provocare un regime change a Cuba, il governo guidato dal Partito Comunista resta saldamente al suo posto.
In occasione della Marcia del popolo combattente, Díaz-Canel ha affermato nel suo discorso che questa marcia rappresenta una dimostrazione di come il popolo cubano lotti per la propria sovranità e i propri principi, nonostante gli ostacoli imposti dal blocco alla vita sociale ed economica del paese, in un mondo sempre più interconnesso: “Cuba, il suo popolo e il suo governo lottano per aprirsi una strada. L’intento degli Stati Uniti di ferire la dignità di questo popolo è stato vanificato da questa marcia combattente per difendere l’onore della nostra patria“.
Ricordiamo che il blocco economico e commerciale imposto dagli Stati Uniti contro Cuba ha subito numerose condanne da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che da oltre tre decenni vota a grande maggioranza una risoluzione per chiedere la fine del bloqueo, risoluzione puntualmente ignorata da Washington. “Nessun Paese, nemmeno con economie molto più prospere e robuste di quella cubana, potrebbe affrontare un’aggressione così spietata, asimmetrica e prolungata senza un costo considerevole per il livello di vita della sua popolazione, la sua stabilità e la giustizia sociale“, si legge nel rapporto presentato quest’anno da Cuba all’ONU.
Secondo i dati ufficiali pubblicati dal governo dell’isola caraibica, il blocco economico colpisce il popolo cubano con un costo superiore a 421 milioni di dollari al mese, oltre 13,8 milioni di dollari al giorno, e 575.683 dollari di danni per ogni ora della sua applicazione.
“Ai danni economici, finanziari e commerciali già ingenti provocati da questa aberrante politica, si aggiungono le misure restrittive derivanti dalla decisione di includere Cuba, in modo fraudolento, nella famigerata lista arbitraria e illegittima dei paesi che suppostamente sponsorizzano il terrorismo. Questa mossa, cinica e perversa, è stata compiuta dall’amministrazione Trump pochi giorni prima di lasciare la Casa Bianca“, si legge ancora nell’editoriale di Granma, precedentemente citato.
L’inclusione di Cuba nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo – una lista che risulta priva di qualsiasi valore giuridico – rappresenta una vera e propria aberrazione, dal momento che Cuba è stata e continua ad essere una delle principali vittime di terrorismo, prevalentemente orchestrato dai gruppi mafiosi anticubani con sede in Florida e sostenuti dal governo statunitense: “Etichettare Cuba come Stato che presumibilmente sponsorizza il terrorismo è quanto meno falso e immorale, indipendentemente dalla fonte dell’accusa, ma lo è doppiamente quando proviene dagli Stati Uniti, dove, attualmente, gruppi paramilitari si addestrano apertamente per organizzare, promuovere e finanziare azioni terroristiche contro le strutture sociali ed economiche di Cuba“, ha affermato Miguel Díaz-Canel.
Inoltre, Cuba ha sempre dimostrato il proprio impegno per la lotta contro il terrorismo e per la pace, svolgendo, ad esempio, il ruolo di mediatore chiave nei negoziati di pace tra il governo colombiano e le milizie armate dell’ELN (Ejército de Liberación Nacional) e delle FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo).
Le conseguenze della designazione di Cuba come Stato sponsor del terrorismo non solo solo simboliche. Secondo il quotidiano Granma, “l’inclusione di Cuba nella lista dei Paesi che supportano il terrorismo non solo ostacola le transazioni internazionali, crea difficoltà alle esportazioni e impone restrizioni finanziarie, ma intralcia anche l’assistenza umanitaria e penalizza i cittadini di paesi che visitano Cuba, compresi i cittadini cubani stessi. Interferisce inoltre con le transazioni bancarie di privati e nuovi attori economici non statali, impedisce la contrattazione di servizi online e limita gli scambi accademici e scientifici“.
Mancano oramai pochi giorni alla fine del mandato presidenziale di Joe Biden. In questi quattro anni, Biden non ha mantenuto nessuna delle sue promesse circa il miglioramento delle relazioni con Cuba, mantenendo L’Avana nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo e inasprendo ulteriormente le sanzioni nei confronti dell’isola. Come affermato dal presidente Díaz-Canel nel discorso del 20 dicembre, “all’amministrazione statunitense attuale, che oggi ha esattamente un mese di mandato rimanente alla Casa Bianca, non si può attribuire alcun merito nel prendere le distanze dalla linea di blocco rafforzato e soffocamento economico verso Cuba, ereditata dall’amministrazione repubblicana“. Gli resta oramai poco tempo a disposizione per fare un gesto in questo senso, rimuovendo Cuba dall’infame lista.
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