Il Nicaragua e l’isteria imperiale

da https://www.altrenotizie.org/

Con l’approssimarsi delle elezioni per la presidenza in Nicaragua del 7 novembre la campagna di demonizzazione del governo (pardon, del regime) nicaraguense si intensifica. Ne è testimonianza in Italia la doppia pagina pubblicata l’11 ottobre dal Fatto Quotidiano, basata interamente sul presupposto non dichiarato ma palese che il paese non si debba difendere dai tentativi nordamericani di eliminare un governo non allineato ai loro voleri, nonostante il ricordo ben vivo della guerra scatenata dagli USA negli anni ’80 del secolo sorso per disfarsi del Fronte sandinista, nonchè dell’assai più recente tentativo golpista del 2018. Su questo riportiamo un intervento di Fabrizio Casari scritto il 22 agosto ma ancora ancora attuale.

Il Parlamento europeo protesta per i recenti provvedimenti assunti dalla magistratura nicaraguense, che solo applica le leggi vigenti. Niente di nuovo: pur omogenee a quelle di molti paesi, soprattutto europei, ogni volta che il Nicaragua emette una legge la UE ritiene di dare autorizzazioni che non le spettano, giudizi che non gli competono e sanzioni illegittime e parole ipocrite a coprire i fatti..

I fatti dicono che gli USA attaccano il Nicaragua con l’aiuto della UE e di alcuni narco-stati latinoamericani. L’attacco si fonda su ragioni ideologiche e politiche, non su inesistenti violazioni ai diritti umani. La pressione statunitense ed europea viene esercitata con l’intenzione di aprire una crisi politico-istituzionale e questo a Managua viene preso tremendamente sul serio.

L’Unione Europea si è aggregata con entusiasmo al piano di “eliminazione del comunismo in America Latina” promosso da Donald Trump e proseguito con Biden. Una guerra ideologica condotta sul piano politico, economico e diplomatico per stringere i paesi socialisti latinoamericani in una morsa feroce. Non è un caso che il Parlamento Europeo ha riconosciuto il colpo di stato in Bolivia, mentre condanna e sanziona Cuba, Nicaragua e Venezuela.

Per il Nicaragua il progetto USA prevede l’abbattimento del governo sandinista e la cattura di Daniel Ortega, quindi l’insediamento di un governo liberale sul modello già conosciuto negli anni ’90. E’ un progetto in piedi dal 2017, non sono perciò le leggi di questi ultimi mesi il motivo di tanta aggressività contro Managua.

Insomma, il colpo di stato venne sconfitto nel 2018, ma il golpismo é ancora vivo e vegeto grazie all’alimento politico e finanziario che riceve dall’estero. Il che è l’aspetto grave della questione, mentre quello paradossale è che mentre si agisce un piano di regime-change violento, si chiede a chi lo subisce di non reagire, pena essere tacciato di dittatura. Insomma: chi attacca la democrazia accusa di essere una dittatura chi la democrazia la difende.

Democrazia vs golpismo

Da anni USA ed UE hanno deciso di sostenere sfacciatamente, senza diplomazia o salvaguardia delle apparenze, il rovesciamento del governo votato dai nicaraguensi. Vista l’impossibilità di sconfiggere il sandinismo nelle urne e nelle piazze, si è deciso di logorarlo attraverso un piano di destabilizzazione, finanziato dalla USAID ed elaborato nel 2019, in conseguenza del fallimento della opzione golpista del 2018.  Il piano, con la sigla RAIN, è articolato su vari fronti: ostilità politica e diplomatica, terrorismo, creazione di una nuova Contra, finanziamento alle opposizioni e ai media che si dicono “indipendenti” ma che sono proprietà de facto dagli Stati Uniti. A supporto esterno arrivano sanzioni, pressioni diplomatiche e leggi speciali con pretese extraterritoriali.

Dopo il voto del 7 Novembre, quando ogni ultima speranza di contenere elettoralmente il FSLN sarà seppellita, le quinte colonne interne generanno caos e terrore attraverso atti di terrorismo, guerriglia urbana e attacchi militari nelle montagne a Nord del Paese.

La fase successiva del piano è rivolta al sostegno internazionale al golpe, senza il quale sarebbe immediatamente schiacciato. Alcuni personaggi della destra, presentati come “moderati”, benedetti dalla Conferenza Episcopale e dall’impresa privata, si autonominerebbero “governo in esilio”. Questi verrebbe immediatamente riconosciuto da USA, OEA e UE come avvenne con Guaidò in Venezuela e chiederebbe subito l’aiuto internazionale che arriverebbe sotto forma di “aiuto umanitario”, ovvero con una coalizione militare voluta da Washington, benedetta dalla OEA e appoggiata da Bruxelles.

Questo, in grandi linee, il progetto golpista. Ma pensare che la controintelligenza del Nicaragua dorma è grave errore, almeno quanto quello di credere che i diversi protagonisti arrestati e interrogati stiano zitti.

L’errore di questa parte del progetto destabilizzatore è aver ritenuto che, pur in presenza di provocazioni interne ed internazionali, il Nicaragua avrebbe scelto un profilo basso, evitando lo scontro in ragione di una valutazione di opportunità politico-elettorale. Si è creduto che il FSLN avrebbe accettato una campagna elettorale sfacciatamente diretta dall’estero per ragioni di convenienza politica, di tattica elettorale.

Non conoscono il Nicaragua, non capiscono il sandinismo e non decifrano il Comandante Ortega. Managua non soffre di nessuna sindrome di Stoccolma e non è incline all’abbassare lo sguardo di fronte all’arroganza dei potenti o presunti tali. Il Nicaragua non è iscritto al club degli ingenui ed impotenti e reagisce con la forza e la ragione ai piani eversivi, se necessario in assoluta indifferenza nei confronti delle critiche internazionali. Pronta a spiegare le sue ragioni, non a piegare il Diritto.

Questo non per una superbia politica immotivata, o una presuntuosa autosufficienza o una tendenza all’isolamento politico: semplicemente, reagisce al disegno eversivo che punta al disconoscimento del processo elettorale come premessa alla delegittimazione della sua architettura politica ed istituzionale.

Il governo non si farà dettare l’agenda politica dall’estero. Ritiene che la forza del suo progetto stia nella modernizzazione impetuosa del Paese, nella riconoscenza del suo popolo che ha visto cambiare il suo destino in pochi anni e nella memoria del flagello liberista degli anni ’90. Votano i nicaraguensi in Nicaragua ed è con loro l’interlocuzione politica, non con USA, OSA e UE.

Se gli Usa, dei quali pure si conosce l’influenza ma ai quali non si permette l’ingerenza, volessero aprire un confronto positivo con il Nicaragua, avrebbero tempi e modi per farlo. Se invece continuare a organizzare e finanziare la sedizione golpista, allora faticheranno sempre più a trovare mercenari locali disposti al sacrificio.

Questa è la lezione di questi mesi: il Nicaragua non si inginocchia. L’ingerenza e la destabilizzazione comporteranno l’inevitabile reazione per garantire stabilità e istituzionalizzazione. Il Paese si difenderà e saranno tempi duri per i collaborazionisti.

Chi ha paura di Daniel Ortega?

40 anni dopo Reagan gli USA hanno di nuovo sferrato una offensiva diplomatica in America Latina ed Europa composta da richieste e minacce il cui senso è: lasciateci agire, anzi aiutateci, contro il Nicaragua. Spiace scoprire come l’ossessione USA sul Nicaragua trovi echi stonati in qualche esponente progressista, appartenente alla presunta sinistra light, quella dedita all’alternanza e non all’alternativa. Emblematico che il Nicaragua, che a confronto di Messico, Brasile ed Argentina vanta numeri eccezionali quanto a giustizia sociale e sicurezza, sia divenuta il problema del continente. Il tentativo USA é quello di trovare progressisti disposti a sommarsi ai golpisti per isolare Managua.

L’argentino Fernandez non stupisce particolarmente, non si pretende da modesti funzionari di trasformarsi in statisti. Ma scambiare denaro per principi non è mai conveniente e negoziare prestiti con il FMI sulle spalle della propria decenza non comporterà nulla di buono. Il voltafaccia alla solidarietà latinoamericana per compiacere gli USA troverà giorni di amari pentimenti, perché stabilisce un precedente a cui fare riferimento. Peraltro, l’essere stata colpevole di grave ingerenza militare negli anni ’80 contro il Nicaragua (come nel 2020 in Bolivia), suggerirebbe alla Casa Rosada di misurare parole ed atti: l’Argentina che si fa paladina dei diritti umani rasenta la comicità involontaria. Oltre 120 argentini sono in carcere per le proteste di piazza contro il governo Macrì. Fernandez liberasse loro prima di chiedere a Ortega di liberare i golpisti nicaraguensi.

Quanto a AMLO, figura rispettabile, sappia che non sarà accompagnando l’ossessione statunitense contro Managua che si fermerà la destabilizzazione e l’ingerenza USA a Sud del Texas. Solo una scarsa capacità di lettura può far credere che la fame dell’impero si esaurisca col boccone nicaraguense: la pietanza vera è la riconquista del continente. Dichiarare l’orgoglio delle popolazioni indigene e associarsi ai conquistadores è paradossale, come denunciare il golpismo contro il proprio paese ed accettarlo in Nicaragua. Il Nicaragua, lo si deve ammettere, risulta di difficile comprensione per i messicani. I narcos sono pochi e ridotti all’impotenza, non sono l’anti-stato e non controllano il Paese. Le donne non scompaiono per ingrossare la tratta degli esseri umani, la polizia non fa parte della manovalanza narcos e la fame non accompagna il 60% della popolazione. Ma accusare Ortega di poca democrazia mentre si sostiene il Venezuela e si inneggia a Cuba, che hanno agito sulla stessa linea (e ne sono stretti alleati), è pura schizofrenia politica. Si dovrebbe evitare di compiere scelte di politica estera con lo sguardo fissato sul rancore della politica interna. La differenza tra presidenti e leader sta qui: nel saper guardare lontano e non perdere mai di vista testo e contesto. Rompere un vincolo storico mai interrotto nemmeno dai governi peggiori del Messico è un gravissimo errore e colpire la solidarietà continentale mentre ci si propone come leader del continente non ha logica.

Del resto, ancor meno ne ha rivendicare una democrazia come quella brasiliana, che realizza colpi di stato parlamentari, porta gli innocenti in carcere e i militari al governo. Suggerire abbandoni del potere mentre ci si candida per la sesta volta appare sgraziato. Sembra rivedere la scena di quella versione uruguayana di Cincinnato, uomo di sinistra ma amato dalla destra di tutto il mondo, che chiedeva a Maduro, a Raul e a Daniel di ritirarsi, e criticava la coppia presidenziale nicaraguense con lui era presidente e sua moglie presidente del Senato. Facile prevedere che chi pensa di incipriarsi il naso per risultare più carino agli occhi del proprio boia resterà deluso e se oggi vaneggia di democrazia formale scoprirà presto e sulla propria pelle quanto sia difficile trasformarla in sostanziale.

Sebbene solidarietà vorrebbe che le critiche fossero riservate e gli elogi pubblicizzati, non ci si deve stupire troppo. In parte le differenze di vedute sono comprensibili, indubbiamente la storia di ognuno segna i suoi convincimenti. In fondo le elezioni conquistano il governo, le rivoluzioni prendono il potere. Le prime soccombono dinanzi alla forza, le seconde usano la forza per difendersi. La differenza è enorme, è vero. Per questo tutti – nemici, falsi amici e indifferenti – dovrebbero chiedersi: davvero si può pensare di espungere con la forza il FSLN dal Nicaragua? Quanto spreco di denaro ed energie, quanto odio. Quanta potenza dispiegata per risultare comunque impotenti. Sandino cammina sicuro per il Nicaragua, l’affanno è solo dei suoi nemici.