Il Mali caccia la Francia. Via l’ambasciatore Meyer

un interessante articolo sui cambiamenti che stanno avvenendo in Africa, pur criticando la Russia il testo mostra che il ruolo imperialista francese è in crisi

di Luana De Micco

da il fatto quotidiano 2 febbraio 2020

BAMAKO I militari golpisti accusano l’eliseo di ingerenza, ma nel frattempo flirtano con i mercenari russi di Wagner

Bamako ha dato 72 ore di tempo all’ambasciatore di Francia, Joël Meyer, per lasciare il Paese. In Mali il diplomatico è diventato persona non grata da quando il ministro degli Esteri francese, Jean-yves Le Drian, il 27 gennaio, ha accusato il governo golpista “illegittimo” di Assim Goïta di “prendere misure irresponsabili”. Parole giudicate “ostili e scandalose”. Le Drian si riferiva al fatto che Bamako, in un comunicato del 25, aveva intimato alla Danimarca di ritirare i suoi soldati presenti in Mali nell’ambito della task force europea “Takuba”, che lotta nella regione contro i jihadisti, perché il loro dispiegamento non sarebbe stato autorizzato dall’esecutivo. Il 27, il portavoce del governo maliano, il colonnello Abdoulaye Maïga, aveva poi accusato la ministra francese della Difesa, Florence Parly, di “ingerenza negli affari interni” del Mali e, ricordando un celebre verso di Alfred de Vigny – “solo il silenzio è grande, tutto il resto è debolezza” –, l’aveva pregata in sostanza di tenere la bocca chiusa. Lunedì Parigi ha “preso atto” e richiamato il suo ambasciatore.

È l’ultimo episodio che segna una nuova escalation nella crisi diplomatica tra Parigi e Bamako, iniziata con il doppio golpe guidato dal colonnello Assimi Goïta, che nel 2020 aveva portato al rovesciamento del presidente Keïta e nel 2021 alla destituzione del presidente ad interim Bah N’daw. Crisi che ora coinvolge anche i 14 paesi europei che dal marzo 2020 sono impegnati in Mali al fianco della Francia nella lotta contro i jihadisti, compresa l’italia. L’ex potenza coloniale è presente militarmente dal 2013 nel Sahel, regione tra Mali, Niger e Burkina Faso, con la missione “Barkhane”, un contingente di più di cinquemila uomini, impegnati contro i terroristi di al Qaeda nel Maghreb Islamico. Una missione sempre più impopolare in Francia, che non solo non ha permesso di stabilizzare politicamente il Mali, ma ha anche causato la morte di 53 soldati francesi, l’ultimo il 22 gennaio, ucciso in un attacco a Gao. A luglio, Parigi ha annunciato un graduale e parziale ritiro dal Sahel per favorire l’alleanza europea Takuba, 900 uomini tra cui anche 200 soldati italiani, già operativi nell’addestramento dei militari maliani e nel supporto medico della coalizione.

Ed è a questo punto che la situazione si è degradata ancora di più. A fine anno, il governo provvisorio del Mali, che aveva assicurato regolari elezioni a febbraio, ha annunciato di voler estendere la fase di transizione fino al 2026.

Una proposta “inaccettabile” anche per la Cedeao, la comunità economica degli Stati dell’africa occidentale, che ha approvato dure sanzioni contro il Mali. Il 20 dicembre Macron avrebbe dovuto incontrare Goïta a Bamako, ma il viaggio è stato annullato, ufficialmente per la crisi sanitaria. Inoltre, a mano a mano che Parigi si ritira, è Mosca ad avanzare nel Sahel. Nella regione sarebbero presenti circa 400 mercenari del gruppo Wagner, organizzazione che fa capo a Prigozin, conosciuto come lo “chef di Putin” che consentono a Mosca di allargare la propria influenza in Africa occidentale prendendo il posto della Francia come già in Africa centrale. I media francesi mostrano immagini amatoriali di blindati russi che dall’aeroporto di Bamako si starebbero spostando verso il centro-nord del Paese. L’avvicinamento a Mosca pone il dilemma sulla di Takuba nella regione. Il 13 gennaio, al termine di un summit informale dei ministri degli Esteri europei, a Brest, in Francia, Josep Borrell, capo della diplomazia Ue, aveva confermato di voler portare avanti la missione militare in Mali “ma non ad ogni costo”. La Svezia ha annunciato che ritirerà il suo contingente. “Continueremo a lottare contro il terrorismo nel Sahel”, ha assicurato ieri il portavoce del governo francese, Gabriel Attal. Parigi e i suoi alleati europei si danno fino a “metà febbraio” per “adattare” il dispositivo militare nella regione. Dopo l’espulsione del diplomatico francese, l’ue fa blocco intorno a Parigi: per Borrell è una azione che può “isolare ancora di più il Mali”. Un ex ambasciatore francese a Bamako, Nicolas Normand, relativizza la crisi. L’espulsione di Meyer, ha detto Normand a France Info, “è una misura forte, ma simbolica”: “Il Mali ha precisato che conserva le sue relazioni diplomatiche e la cooperazione con la Francia. È interesse dei due Paesi – spiega – trovare un accordo nella lotta al terrorismo. Non sappiamo se il Mali vuole che Barkhane resti, ma non ne ha chiesto il ritiro”.