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Intervento di Giulio Chinappi alla Seconda Conferenza Internazionale “Terrorism: State and Non-State Sponsored Versions”, disponibile in italiano e in inglese.
Signore e Signori,
vorrei ringraziare gli organizzatori per avermi invitato a questo evento, durante il quale affronterò un argomento complesso e delicato: il doppio standard occidentale sul terrorismo. Questa è una questione che non solo mette in discussione la nostra coscienza collettiva, ma che, se analizzata con chiarezza, rivela profonde contraddizioni nella narrativa globale e nelle politiche adottate dalle nazioni occidentali.
Quando parliamo di terrorismo, ci riferiamo a una delle minacce più gravi alla sicurezza internazionale, alla stabilità degli Stati e alla vita di milioni di persone. Tuttavia, la percezione e la risposta al terrorismo sembrano variare significativamente a seconda dell’origine, della religione o dell’ideologia dei responsabili. Questa discrepanza non è accidentale; è il risultato di decenni di scelte politiche, economiche e mediatiche che hanno plasmato una narrativa selettiva e, in molti casi, profondamente ipocrita.
Un primo esempio di questa ipocrisia risiede nella definizione stessa di terrorismo. Mentre gruppi non occidentali, spesso associati al mondo islamico, vengono etichettati come terroristi, movimenti armati di origine occidentale – come i gruppi suprematisti bianchi o le milizie di estrema destra – vengono talvolta descritti con termini più indulgenti: “ribelli,” “milizie” o persino “combattenti per la libertà.” Questa asimmetria semantica non è innocente. Essa modella l’opinione pubblica, orienta le politiche di sicurezza e legittima interventi militari selettivi.
Un secondo aspetto da considerare è la copertura mediatica. Gli attacchi compiuti da individui o gruppi di origine islamica ricevono un’attenzione mediatica sproporzionata, spesso accompagnata da narrazioni che generalizzano e stigmatizzano intere comunità religiose. Al contrario, gli attacchi compiuti da gruppi suprematisti bianchi o nazionalisti, sebbene altrettanto gravi, vengono spesso minimizzati o relegati a notizie locali. Questa disparità non solo alimenta stereotipi, ma impedisce una comprensione equilibrata e completa della reale minaccia terroristica.
Le conseguenze di questo doppio standard non si limitano alla sfera mediatica. Esse si riflettono anche nelle politiche estere e nelle relazioni internazionali. Si prenda, ad esempio, il Medio Oriente. L’Occidente ha spesso utilizzato il pretesto della “lotta al terrorismo” per giustificare interventi militari in questa regione. Questi interventi, lungi dal combattere il terrorismo, hanno destabilizzato interi paesi e causato un numero incalcolabile di vittime civili. Iraq, Afghanistan, Siria: la storia recente è piena di interventi che, invece di risolvere il problema, lo hanno amplificato, creando terreno fertile per l’emergere e la proliferazione di nuovi gruppi terroristici.
Un esempio particolarmente emblematico è la Siria, dove l’Occidente ha spesso tollerato o persino sostenuto gruppi estremisti come Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un’organizzazione legata ad al-Qaeda, che oggi è diventata il governo de facto della Siria con il tacito consenso delle potenze occidentali. Gli sviluppi recenti in Siria sottolineano ulteriormente questo doppio standard. Abū Muḥammad al-Jawlānī, nato Aḥmad Ḥusayn al-Shar‘a, è emerso come leader de facto della Siria dopo la caduta del governo di Bashar Hafez al-Assad l’8 dicembre. Considerato per lungo tempo un terrorista dalla maggior parte del mondo occidentale e dalla comunità internazionale, al-Jawlānī è improvvisamente descritto come il “liberatore” della Siria dal regime oppressivo di Assad, una narrativa fortemente propagandata da una parte dei media occidentali negli ultimi giorni.
Al-Jawlānī guida l’HTS, un’organizzazione ancora designata come terroristica dalle Nazioni Unite e da diversi governi, tra cui quelli di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Argentina, Indonesia, Turchia e Russia, oltre che dall’Unione Europea. Nonostante sia elencato tra i terroristi più ricercati al mondo, con una taglia di 10 milioni di dollari offerta dal governo statunitense, la trasformazione di al-Jawlānī in una figura più “accettabile” è sorprendente.
HTS è emersa nel 2017 da una coalizione di fazioni, principalmente il Fronte al-Nusra, un gruppo jihadista precedentemente affiliato ad al-Qaeda. Mentre HTS si è formalmente distanziata da al-Qaeda, molti esperti, inclusi funzionari statunitensi, considerano questa separazione come una manovra superficiale, con legami duraturi tra i due gruppi.
Sotto la guida di al-Jawlānī, HTS ha commesso numerosi atti terroristici in tutta la Siria, spesso colpendo civili. Tra questi, il rapimento di 300 civili curdi nell’aprile 2015 e il massacro di 20 abitanti drusi nella provincia di Idlib nel giugno dello stesso anno.
Le radici ideologiche di al-Jawlānī sono profondamente intrecciate con quelle di Ayman al-Ẓawāhirī, il terrorista egiziano che ha succeduto Osama bin Laden come leader di al-Qaeda. Nell’aprile 2013, al-Jawlānī ha giurato fedeltà ad al-Ẓawāhirī, rafforzando il suo allineamento con l’agenda di al-Qaeda.
Al suo passato si aggiunge l’associazione storica con Abū Bakr al-Baghdādī, l’ex leader dell’ISIS. Tra il 2011 e il 2013, i due hanno collaborato fino a quando l’ISIS ha interrotto i legami con al-Qaeda. Al-Jawlānī ha respinto questa scissione, mantenendo la lealtà ad al-Qaeda. Il suo passato include anche l’imprigionamento da parte delle forze statunitensi in Iraq dal 2006 al 2011, un periodo che probabilmente ha plasmato le sue strategie e alleanze successive.
Nonostante questo background, al-Jawlānī si è recentemente reinventato. Adottando un abbigliamento militare in stile occidentale e accorciandosi la barba, ha cercato di proiettare un’immagine più moderata. La sua retorica si è spostata dall’avvocare un rigoroso governo della Sharia al promuovere l’unità nazionale, promettendo protezione per le minoranze come cristiani e drusi. Gli analisti considerano ampiamente questa trasformazione come un tentativo calcolato di ottenere il sostegno occidentale e alleggerire le sanzioni sulla Siria.
Questo caso esemplifica il doppio standard occidentale: mentre alcuni gruppi terroristici sono condannati senza mezzi termini, altri vengono tollerati o persino sostenuti quando ciò è in linea con interessi strategici.
La priorità data alla caduta di Assad, a causa delle sue alleanze con Russia, Iran e del suo sostegno alla Palestina, illustra come gli obiettivi geopolitici a breve termine spesso prevalgano sulle preoccupazioni per le conseguenze a lungo termine.
Un altro caso riguarda l’Ucraina, dove alcune formazioni paramilitari legate a ideologie di estrema destra sono state integrate nelle forze armate nazionali e celebrate come eroi nelle narrative occidentali, nonostante il loro coinvolgimento in atti che, in altri contesti, sarebbero classificati come terrorismo.
Non dobbiamo inoltre dimenticare il terrorismo sionista praticato da Israele contro i palestinesi, spesso ignorato o giustificato. Operazioni militari che prendono di mira i civili, la distruzione di case e infrastrutture e politiche di occupazione e apartheid vengono raramente descritte con i termini appropriati. Questo silenzio complice rappresenta l’apice del doppio standard che caratterizza la narrativa occidentale.
Nel frattempo, i movimenti violenti che operano in contesti favorevoli agli interessi occidentali vengono spesso ignorati o persino sostenuti. Si pensi ai gruppi paramilitari in America Latina o alle milizie in Africa, spesso finanziati e armati dalle potenze occidentali per proteggere interessi economici e geopolitici.
Questa duplicità è una delle maggiori contraddizioni dell’Occidente: da un lato, si proclama campione della democrazia e dei diritti umani; dall’altro, chiude un occhio – o entrambi – verso la violenza che serve i propri interessi.
Il doppio standard si estende anche alle politiche interne dei paesi occidentali. Negli ultimi anni, in risposta alla minaccia terroristica, sono state introdotte leggi che limitano drasticamente le libertà civili in nome della sicurezza nazionale. Tuttavia, queste leggi vengono applicate in modo sproporzionato, colpendo principalmente le minoranze etniche e religiose, favorendo la discriminazione e la marginalizzazione. Ciò aggrava il problema, creando nuove divisioni sociali e terreno fertile per la radicalizzazione.
A nostro avviso, è essenziale adottare un approccio più onesto e coerente nella definizione e nel contrasto del terrorismo. Ciò significa riconoscere che la violenza non conosce confini ideologici o geografici e che tutte le forme di terrorismo devono essere condannate e combattute con uguale determinazione.
In secondo luogo, i media e le istituzioni devono assumersi la responsabilità di fornire una narrazione equilibrata e non stereotipata. Ciò comporta una rappresentazione più accurata delle cause profonde del terrorismo, che spesso risiedono in ingiustizie sociali, politiche ed economiche. Solo affrontando queste radici potremo sperare di costruire una società più sicura e giusta.
Infine, è cruciale rivedere le politiche estere e di sicurezza dei paesi occidentali, abbandonando approcci unilaterali e interventisti in favore di soluzioni multilaterali e cooperative. La lotta al terrorismo non può essere utilizzata come strumento per giustificare guerre o perseguire interessi economici. Essa deve essere guidata da principi di giustizia, equità e rispetto per i diritti umani.
In conclusione, il doppio standard occidentale sul terrorismo non è solo una questione di incoerenza politica o mediatica. Minaccia la stessa credibilità dei valori che l’Occidente afferma di difendere: libertà, democrazia e diritti umani. Solo attraverso un cambiamento radicale di prospettiva e azione potremo sperare di superare queste contraddizioni e costruire un mondo davvero più sicuro e giusto per tutti.
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