
di Andrea Muratore e Mirko Mussetti
(Chisinau) “Un trionfo”: Igor Dodon è raggiante al termine della parata per il Giorno della Vittoria organizzata dall’opposizione moldava e dai partiti filorussi contro il divieto della presidentessa Maia Sandu di celebrare la tradizionale festa del 9 maggio. Una parata risoltasi in una duplice vittoria politica per l’ex presidente (in carica dal 2016 al 2020) e ex leader del Partito Socialista Moldavo: da un lato, la parata è andata in scena pacificamente coinvolgendo decine di migliaia di persone, dall’altro andando in scena nel giorno della visita a Chisinau del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ne ha oscurato la scena, mandando un messaggio a chi si aspettava una Moldavia pronta a salire sul carro occidentale in tempi brevi. Tanto che a pochi minuti di distanza dalla fine della cerimonia mattutina è arrivato il “giallo”: la Sandu ha annullato, ufficialmente per motivi di salute, l’incontro e la conferenza stampa congiunta prevista con Guterres.
Dodon al termine della parata, conclusasi al Complesso memoriale “Eternitate” dove arde il fuoco che commemora i caduti moldavi nella “Grande Guerra Patriottica”, depone fiori sulle tombe dei morti mentre vengono fatte volare colombe in segno di pace. Parlando al passato ma, in un certo senso, anche al presente. L’ex presidente è tra i pochi a indossare il tradizionale nastro di San Giorgio, arancio e nero, vietato in questi giorni dal governo della Sandu. Evidentemente l’ex capo di Stato può permettersi di pagare la sanzione di 18 mila lei moldavi (900 euro) riservata agli organizzatori delle manifestazioni che infrangano la norma sull’esibizione dei simboli. Molto più cauta la cittadinanza partecipante, che per sfuggire alla multa di 9 mila lei (un salasso per gran parte della popolazione moldava che vive con circa 100 euro al mese), ha esposto combinazioni floreali e indumenti abbinando i colori della più alta onorificenza militare zarista. Predomina comunque la versione alternativa del celebre nastro nero-arancione: un fiocco rosso con raffigurati sui due estremi San Giorgio a cavallo e l’uro moldavo. Lo stemma zoomorfo color oro tipico della Moldova su sfondo rosso ricorda da vicino la bandiera del Principato di Moldova, quasi a rimarcare un’identità arcaica, genuina e unitaria di un popolo invero eterogeneo. Il fiocco rosso rappresenta dunque un’alterità sia alle imposte politiche europeiste sia alle effimere aspirazioni unioniste della dirigenza politica al potere. Quasi a dire: volete prendervela pure con i santi e gli animali estinti?
La popolazione ha risposto pacificamente ma sonoramente alle iniziative occidentaliste della presidenza Sandu, senza infrangere alcuna recente norma sull’uso dei simboli. Nella regione autonoma di Gagauzia, l’assemblea locale si è addirittura riunita nella notte tra l’8 e il 9 maggio per emanare nuovamente una legge che permettesse alla filorussa comunità d’origine turca, ma di fede ortodossa, di celebrare la Giornata della Vittoria, confezionando ed esibendo i gagliardetti nero-arancioni. Di fatto, non lasciando il tempo materiale alle autorità di Chisinau di annullare nuovamente il provvedimento regionale. L’opposizione filorussa contro l’esecutivo europeista, la periferia autonomista contro il centro livellante: un comprensibile mal di testa per il capo dello Stato, che riteneva di accogliere il più alto funzionario dell’Onu in un clima particolarmente accomodante. Cioè antirusso.
In definitiva, nel corso dell’intero corteo Dodon ha preso la scena solo sul finale. A predominare è stata una manifestazione decisamente toccante di un orgoglio sentito profondamente dai moldavi come popolo prima ancora che membri dell’area ex sovietica o di una qualche sfera d’influenza: l’orgoglio per il ruolo giocato dai moldavi nella guerra di liberazione contro il nazismo, ma anche la volontà di tenere unito un popolo dalle molte identità e storie. Dalla Grande Piazza dell’Assemblea Nazionale la parata si è snodata per due chilometri e mezzo fino al Complesso memoriale.
Moltissime le bandiere rosse della Vittoria, così come le icone del “Reggimento immortale”portate con orgoglio dai discendenti dei caduti durante la Grande guerra patriottica (Seconda guerra mondiale) contro le forze naziste. Moltissimi ragazzini vestiti con cappelli e divise militari simil-sovietiche, ma totalmente assenti sono state le lettere simbolo dell’attuale invasione russa dell’Ucraina (V, Z). Un messaggio fortissimo al governo e alla presidenza, che con un tratto di penna hanno cercato di cancellare il senso profondo di una festività ancora sentitissima tra la popolazione moldava. Non basta picchettare statiche bandiere dell’Unione europea e dell’Ucraina attorno al monumento di Stefano il Grande e Santo (il più grande sovrano moldavo) per frenare la marcia di migliaia di stendardi nazionali moldavi al fianco dei vessilli tipici del vittorioso Russkij Mir (Mondo russo). Così come messaggi tutt’altro che equivocabili dominano gli slogan della giornata: l’invettiva contro i “traditori fascisti” (“Fascismul trădător”) sconfitti nella guerra del 1941-1945, l’esaltazione della “memoria eterna degli eroi” (“Vesnica memorie eroi”), gli “Urrà” continuamente scanditi al suono di una musica da banda in cui non è difficile, per un orecchio italiano, riconoscere i motivi di diversi canti della Resistenza, da “Bella Ciao” a “Fischia il Vento”.
A essere sconfitta è una politica moldava che nel suo slancio neutralista ha fatto il passo più lungo della gamba. Come se anche Chisinau e dintorni non fossero stati colpiti dal dramma dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica avvenuta nel 1941. Nella partecipata manifestazione della capaitale la Sandu spicca in quanto assente: a prendersi la scena è il suo predecessore filorusso, ma pur da convitato di pietra Mosca non è il centro della manifestazione.
Non c’è una singola bandiera della Russia odierna nella parata di Chisinau, ma nemmeno un proliferare di simboli ad essa contraria: un anziano signore, solitario, porta con sé una bandiera dell’Unione Europea, si vede qualche vessillo ucraino e romeno, ma non si sono registrati incidenti e scontri di alcun tipo. Questa festa è sentita: lo si nota principalmente nel momento più toccante, la marcia del Reggimento Immortale, il “battaglione” di icone di combattenti della seconda guerra mondiale mostrate dai loro discendenti o parenti ancora in vita. Qui, come altrove nell’ex Unione Sovietica, punto di incontro generazionale. Anziane signore vicine a giovani ragazze in età scolare vestite con abiti candidi. Uomini pluridecorati e veterani delle ultime guerre dell’era sovietica, tra cui quella in Afghanistan, vicini agli ultimi combattenti della Seconda guerra mondiale. Valeriu, un ex ufficiale dei paracadutisti sovietici, che parla perfettamente l’italiano, ci ricorda che “è un orgoglio essere qui” per lui e che la manifestazione non ha colore politico se non quello dell’unità nazionale.
E per la Moldavia questa giornata mostra sia la capacità del Paese di essere, in sostanza, una democrazia sempre più matura in cui un’opposizione può sfidare il governo senza chiamare la piazza a scontri e tafferugli sia, d’altro canto, una nazione in una precaria posizione politica nel sistema odierno che la vede al confine della pace, tra l’Ucraina in guerra da un lato e la faglia tra Occidente e Russia dall’altro. Nella giornata del 9 maggio è bene ricordarsi che nell’area ex sovietica la storia non passa mai per sempre. E tra provocazioni ai confini e minacce percepitela Moldavia dovrà faticare molto per preservare una linea di ostinata coerenza che sinora l’ha tenuta fuori da ogni guaio. Il senso di un 9 maggio vissuto come celebrazione nazionale prima ancora che come retaggio sovietico ricorda che la volontà generale della popolazione, in tal senso, è comune.
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