«I Talebani non sono terroristi». Parola di Massimo D’Alema

Vi proponiamo ampi stralci dell’intervista di Massimo D’Alema rilasciata alla giornalista Daniela Preziosi. È solo un estratto di una lunga intervista. Vi sono anche giudizi e valutazioni che consideriamo profondamente sbagliate e contro le quali, in questi anni, ci siamo battuti fermamente. «Quando facemmo la guerra nel Kosovo – dice D’Alema – una guerra giusta per porre fine alla loro guerra, avevamo un obiettivo politico chiaro: obbligare il governo della Serbia a ritirare i soldati dal Kosovo e proteggere i civili. (…) Poi furono i serbi a cacciare Milosevic». Dopo oltre 20 anni, non una riga di autocritica contro l’aggressione selvaggia ad un paese sovrano, non una riga sugli effetti a lungo termine dei bombardamenti all’uranio impoverito, la distruzione della Zastava, il bombardamento dell’Ambasciata cinese, la falsità delle “prove”. Ed ancora: l’uso dell’espressione “guerra giusta”, armamentario ideologico che è servito ad addomesticare l’opinione pubblica ed isolare chi, come noi, si mobilitava contro la guerra. Non è l’unico passaggio infelice e sbagliato.

Tuttavia l’estratto che qui vi riproponiamo è interessante. Non necessariamente condivisibili in toto, ma di sicuro interesse. Ad esempio quando prende le distanze dall’armamentario ideologico dei Democratici (ed ovviamente dei Repubblicani) americani sull’esportazione della democrazia e l’omologazione culturale. È un clamoroso passo indietro (che D’Alema compie senza calcare troppo la mano) dall’illusione della “fine della storia” che l’élite dei paesi imperialisti avevano all’indomani della sconfitta dell’Urss. O anche l’analisi differenziata all’interno dell’islam politico e del ruolo dell’Occidente nella creazione e sostegno ai fondamentalisti in chiave antisovietica.

Di fronte all’acuirsi delle contraddizioni ed al ricorso al militarismo da parte dell’imperialismo statunitense, che cerca di trasformare la sconfitta militare in Afghanistan in una vittoria politica – concentrandosi in prima linea nello scontro contro i suoi rivali sistemici -, leggere il dibattito all’interno del campo atlantico, cogliendo differenze ed accenti diversi sui dossier oggi all’ordine del giorno, lo riteniamo un esercizio di analisi che vale la pena compiere.

Intervista a Massimo D’Alema di Daniela Preziosi, da Domani del 11/09/2021, pp. 4-5

L’Operazione Enduring Freedom ha avuto risultati militari?

I capi al Qaida sono stati uccisi, è stato inferto un colpo molto duro alle organizzazioni terroristiche in generale, ed è stato impedito all’Isis di creare uno stato islamico. È invece il progetto politico a essere fallito. Tanto i repubblicani americani americani, soprattutto nella fase neocon, quanto di democratici, che hanno puntato più sul soft power, avevano la stessa idea: combattiamo il terrorismo e modernizziamo il mondo islamico, espandiamo la democrazia. Invece alla fine paradossalmente l’occidente si trova ad avere al suo fianco le autocrazie, non le democrazie.

È fallita l’dea di “esportare la democrazia con le armi”?

Non solo con le armi, è fallita l’idea che la democrazia si possa esportare. Sono fallite anche le primavere arabe, che era l’espansione della democrazia sull’onda di un movimento popolare. L’omologazione culturale non funziona.

I pacifisti radicali dicono da sempre che quella guerra, come tutte, serviva solo all’industria delle armi americane. Hanno torto?

C’è anche quest’aspetto, ma vent’anni di storia non sono spiegabili con il fatto che l’industria militare americana doveva svuotare gli arsenali e vendere le bombe. Cosa che pure è avvenuta. Ma è un vantaggio collaterale.

Un «effetto collaterale», come i morti. Allora qual è stato il vero motore della guerra?

Un disegno politico: l’idea che la fine del comunismo e la vittoria della democrazia nell’Europa orientale aprisse la strada al modello occidentale, che poteva espandersi anche nel mondo arabo. Un’analisi sbagliata perché partiva dalla lettura sbagliata di quello che era successo prima dell’11 settembre. Per molti anni il fondamentalismo musulmano è stato alleato dell’occidente contro l’Unione sovietica e contro il socialismo nazionalista arabo post nasseriano, che aveva un rapporto positivo con l’Urss. Le forze conservatrici tradizionaliste hanno avuto il sostegno dell’occidente. L’attentato alle Twin Towers non fu opera dei Talebani ma di una élite araba, per lo più saudita, che era finita sulle montagne dell’Afghanistan perché lì l’avevano portata gli americani, che avevano favorito la creazione di un movimento di volontari islamici per combattere contro i sovietici. La preparazione politico-militare del campo fondamentalista dunque è stata fatta dall’occidente, perché i fondamentalisti erano i principali alleati in chiave anticomunista e antisocialista araba. Non è stata l’unica l’unica volta: persino Israele all’inizio finanziò Hamas contro l’Olp. Quando i sovietici si ritirarono dall’Afghanistan, i Talebani massacrarono i comunisti afghani – Mohammad Najibullah fu castrato e squartato – e la stampa occidentale salutò l’evento come la vittoria della libertà contro il comunismo. Ricordo che nel Pci condannammo l’intervento sovietico, ma Giorgio Amendola non era d’accordo. Non perché fosse diventato filosovietico ma perché, ci spiegò, «non vi rendete conto che i sovietici stanno arginando il pericolo immenso dei fondamentalismi musulmani». Era quarant’anni fa. In quel momento si crea il rapporto fra al Qaida e Afghanistan.

Nel 2001 dunque gli americani ci trascinano in una guerra contro i loro ex alleati.

Il vero problema è che i loro ex alleati avevano volto le armi contro l’occidente e gli Stati Uniti, trovando accoglienza e sostegno tra i Talebani.

I Talebani non sono terroristi?

I Talebani sono un movimento fondamentalista, violento e intollerabile per i comportamenti contro le donne e contro le minoranze, ma credo sia sbagliato definirli un gruppo terrorista. l’Isis è un gruppo terrorista, i Talebani sono un movimento politico, come Hezbollah e Hamas. Definirli terroristi è una stupidaggine.

Una “stupidaggine” che fa tutto il consesso delle nazioni civili.

Hezbollah si presenta alle elezioni. Hamas nel 2006 vince le elezioni in cui l’Unione europea manda i suoi osservatori, che certificano che il voto è democratico, ma poi l’Ue dice “non possiamo accettare questa vittoria perché Hamas è un gruppo terrorista”. Una manifestazione di stupidità, o meglio un’analisi semplicistica che non aiuta a capire la realtà e quindi non ci aiuta a capire cosa si deve fare.

Ha ragione dunque l’ex premier Conte quando dice che bisogna parlare con i Talebani?

Gli americani parlano con i Talebani ininterrottamente dal 2018. È ovvio che lo si debba fare anche per evitare una catastrofe umanitaria e per cercare di esercitare il massimo di condizionamento possibile. Solo da noi si poteva sviluppare un dibattito surreale come quello sulle parole di Giuseppe Conte. Il vero problema è come parlare con i Talebani senza che questo significhi un riconoscimento formale della legittimità del loro governo. Come quando bisognava fare la pace fra Hezbollah e Israele: con chi dovevi parlare? Io andai a parlare con gli Hezbollah. Dissi a Condoleezza Rice (segretaria di stato del presidente George W. Bush, ndr): se pensi che si possa fare un accordo senza parlarci, prova tu. Il paradosso adesso è che gli americani con i Talebani ora dovranno non solo parlare ma collaborare per sconfiggere l’Isis. Tanto è vero che nel 2018 hanno dovuto fare un decreto per stabilire che i Talebani non erano più terroristi ma “insurgents”.

Gli americani, e gli europei di complemento, fanno il contrario di quello che serve per promuovere la democrazia?

È paradossale, lo si capisce anche dalla vicenda egiziana, e da quella siriana. Più noi spingiamo verso la democrazia, più ci troviamo di fronte il fondamentalismo musulmano, perché ogni volta le elezioni vere le hanno vinte loro. Bisognerebbe studiare cos’è l’islamismo, nelle sue diverse facce, come costruire una compatibilità fra islam e democrazia, come isolare le frange fondamentaliste violente, quali sono le radici culturali di questa violenza perché non c’è dubbio che la tradizione wahabita è più radicale per una certa interpretazione del Corano. Ma tutto questo lavoro culturale l’occidente non l’ha fatto. Abbiamo pensato che andavamo e aprivamo un McDonald’s.

Ci sono state sinistre diverse di fronte alla guerra in Afghanistan. La sinistra socialdemocratica, italiana e europea, che ha detto sì a quell’intervento, è stata una forza di complemento in questi errori, o un alleato dei conservatori?

Nel 2007 ai colleghi della Nato dissi, a nome del governo, che la guerra non si poteva vincere perché era una guerra contro un pezzo del popolo afghano. In questi vent’anni sono stati uccisi o mutilati 33mila bambini, in buona parte vittime dei bombardamenti occidentali. Spiegai dunque che non si poteva costruire uno stato in grado di stare in piedi se non si includeva nel processo politico la maggiore forza, i Talebani. Anche perché che razza di democrazia è quella in cui la maggiore forza politica viene esclusa? Oggi infatti quell’Afghanistan è crollato in una settimana. All’epoca anche il presidente Karzai (sostenuto dagli Usa, ndr) era d’accordo. Rice disse di no, «gli Usa non tratteranno mai con i Talebani». Dopo molti anni, in una posizione di estrema debolezza, gli Usa hanno dovuto trattare con i terroristi, salvo derubricarli a «insurgents», e quando non c’era più niente da trattare, tranne che non ti sparassero alle spalle mentre te ne vai. Bisognava trattare prima, da una posizione di forza. Non fu fatto per una scelta ideologica e illusoria.