I rischi e le opportunità del nuovo scenario mondiale

di Ascanio Bernardeschi

da https://www.lacittafutura.it

La guerra in Ucraina fa parte di uno scontro globale fra la maggiore potenza imperialista, contornata dagli imperialismi, suoi vassalli e un blocco in via di formazione di paesi emergenti che non si rassegnano al predominio del dollaro e delle politiche neoliberiste e che vogliono decidere autonomamente i loro destini. Da che parte stare?

Le due guerre mondiali determinarono l’affermazione della superpotenza degli Stati Uniti su buona parte del mondo. Nel 1944, a Bretton Wood, gli States, grazie alla convertibilità con l’oro della loro moneta, che le altre nazioni non riuscirono a mantenere, imposero il dollaro come valuta universale negli scambi internazionali e nelle riserve dei singoli paesi. Anche quando Nixon, nel 1971, dovette abbandonare la convertibilità, il dollaro continuò a spadroneggiare sia perché richiesto dalla maggior parte delle nazioni produttrici di petrolio – i famosi petrodollari – sia per la potenza militare degli Usa che si fece valere ogni qual volta qualche stato si mostrava recalcitrate. Ciò ha consentito fin qui agli Usa di finanziare i propri deficit commerciali e il proprio debito pubblico stampando dollari. Stampare una banconota da 100 dollari costa solo 17 centesimi ma il resto del mondo per ottenere quella banconota deve produrre ed esportare merci per un valore di 100 dollari. Gli Stati Uniti godono quindi di privilegi esorbitanti che consentono loro di vivere al di sopra delle capacità produttive saccheggiando le economie di altre nazioni.

In realtà la seconda guerra mondiale vide alla ribalta anche la potenza sovietica che, pagando un tributo di oltre 20 milioni di morti, fu determinante nella sconfitta del nazifascismo e conquistò una sua area di influenza nell’Europa orientale. Per contrastare il “campo socialista” ebbe luogo la lunga guerra fredda che terminò con la dissoluzione di quella realtà e la vittoria degli Stati Uniti e i loro alleati. Il più grande partito comunista occidentale, l’italiano, fece come i topi che fuggono quando la nave affonda e si disciolse in un partito liberal-democratico. Ma anche le velleità riformiste si videro la porta sbarrata, ora che il capitalismo poteva tirare fuori le unghie non dovendo più competere in fatto di diritti sociali con il campo socialista. E infatti Keynes venne messo in soffitta e si imposero politiche liberiste lacrime e sangue per i diritti dei lavoratori e per il welfare. La nuova confederazione russa, guidata da un burattino degli Stati Uniti, Boris Eltsin, che seguì ostinatamente quelle politiche, precipitò in una crisi terribile che vide perfino ridurre drasticamente la speranza di vita. Il cosiddetto – secondo la sua autodefinizione – “mondo libero” pareva doversi affermare ovunque. Cuba, aggredita da un criminale blocco economico, ora che non poteva più contare sul sostegno dell’Unione Sovietica sembrava dover cadere da un momento all’altro. 

Ogni prospettiva di socialismo parve preclusa e Francis Fukuyama giunse a pronosticare “la fine della storia” [1]. Ma quel pronostico non faceva i conti con il cosiddetto Terzo Mondo che scalpitava e non ne voleva sapere di continuare a essere soggiogato dalle potenze imperialiste. Queste ultime, con gli Usa in testa, fecero di tutto per tacitarlo: golpe più o meno sanguinosi, terribili guerre, rivoluzioni colorate e sanzioni terribili per gli insubordinati; tuttavia la storia macinava i suoi passi, potendo contare anche sulla crescente potenza economica di un gruppo di nazioni, prima fra tutte la Cina. Così in America Latina, il cortile di casa degli Stati Uniti, secondo la dottrina Monroe, si affermarono alcune realtà affrancate dal dominio nordamericano (Venezuela, Bolivia, Brasile), la Cina e il Vietnam, guidati dal partito comunista, pur dovendo scendere a compromessi con la globalizzazione capitalista, crescevano a ritmi assai superiori a quelli occidentali e dopo un’inevitabile fase di sviluppo basato sul basso costo della manodopera, sono in grado di competere ora anche sul terreno tecnologico e di perseguire obiettivi di carattere sociale e ambientale. Fatto unico nella storia, in pochi anni, mentre ovunque nel mondo cresceva la povertà assoluta, circa 800 milioni di cinesi ne sono usciti. La stessa Russia, salito al potere Vladimir Putin, dopo vedersi rifiutata la richiesta di entrare nel club occidentale, ha iniziato a rivolgersi ai paesi in via di sviluppo.

Mentre gli Stati Uniti con ogni mezzo cercano di accerchiare militarmente ed economicamente Russia e Cina, considerati ormai il loro nemico principale, si vanno formando delle aggregazioni in grado di competere con le istituzioni economiche e finanziarie occidentali: Alba, Brics, Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ecc. E, mentre in America Latina, pur fra qualche rovescio ad opera degli States, va crescendo il numero di nazioni che si affrancano dal neoliberismo e dall’imperialismo, venticinque altre nazioni chiedono di entrare nei Brics, tra cui cinque stati arabi, e lavorano per istituire una nuova valuta internazionale, mente altri ancora si accordano per utilizzare nelle transizioni internazionali monete diverse dal dollaro e mettono in piedi istituzioni alternative al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, quale la Nuova Banca di Sviluppo.

Altra iniziativa cinese, fortemente osteggiata dagli Usa, è la nuova via della seta che punta a connettere buona parte del globo attraverso infrastrutture di trasporto marittimo e terrestre, come pure sono sempre stati avversati i gasdotti russi che, bypassando l’Ucraina, consentivano di rifornire di gas il vecchio continente, tant’è vero che con un atto terroristico sono stati messi fuori uso.

È in questo quadro che si può comprendere come gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano preparato con cura, già da prima del golpe in Ucraina del 2014, la guerra che oggi sconvolge quel paese. In gioco c’è la volontà di stringere ancora di più le maglie intorno alla Russia e magari di determinarne un cambio di regime, al fine di affrontare meglio, successivamente, la Cina; c’è il disegno di spezzare ogni relazione fra Europa e Asia per rendere centrale l’area atlantica; c’è il disperato tentativo di arrestare i processi di liberazione di tanti popoli e riaffermare con la forza la supremazia del “mondo libero”, leggasi dollaro. Rientrano in questo disegno anche le provocazioni nel Pacifico, come quella di riconoscere la sovranità di Taiwan, e le infinite sanzioni a Russia, Cina, Cuba, Venezuela, Corea del Nord, Iran nel tentativo di contrastare perfino il loro progresso tecnologico, esercitando il potere di monopolio, misure di repressione e restrizioni tecnologiche nei campi ad alta tecnologia e monopolizzando la proprietà intellettuale. Per esempio hanno portato avanti l’Accordo TRIPS, che impone gli standard americani nella protezione della proprietà intellettuale. Dalla guerra economica alla guerra tout court il passo è breve e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato che la terza guerra mondiale è preferibile a una vittoria della Russia in Ucraina.

Gli Usa sono quindi disposti a tutto per preservare il loro dominio unipolare, in cui solo loro possano essere sviluppati in modo tale da esercitare il proprio potere sul resto del mondo e di condizionare la politica estera di tutti i Paesi, di imporre le politiche economiche neoliberiste, attraverso il controllo di importanti istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, di vincolare gli scambi internazionali delle materie prime e le varie rotte commerciali e di imporre un sistema finanziario globale. In questo modo si minerebbero le possibilità di crescita economica in altre regioni del mondo.

La stessa cultura, il sistema formativo, le correnti artistiche, ecc. in un ordine mondiale unipolare, sarebbero pesantemente condizionati dal polo egemone. In pratica vi sarebbe un solo modello di civiltà, quello dei “paesi liberi” e sarebbe sbarrato, nonostante l’evidente insostenibilità del capitalismo, ogni percorso di cambiamento modale. 

Per questi motivi non si può essere neutrali di fronte a questo scontro globale, a prescindere dal carattere dei singoli regimi che possono non piacere a qualche anima bella (ma in Occidente c’è davvero democrazia o piuttosto una granitica oligarchia? E non va sottovalutato neppure che in un incontro fra il Partito Comunista Russo e Putin, quest’ultimo abbia affermato che è da prendere i considerazione anche una nuova transizione verso il socialismo). 

Mentre occorre lavorare per soluzioni diplomatiche che disinneschino i conflitti – al plurale perché non c’è solo quello ucraino – occorre sostenere i processi di affrancamento di tre quarti della popolazione mondiale dall’imperialismo dominante. Questo affrancamento è l’unico modo per impedire il blocco di alcuni processi in atto – assai differenziati – di transizione verso il socialismo. La vittoria di questi popoli può aprire strade inesplorate di trasformazione nell’intero globo e quindi anche nell’Occidente. Sostenere le lotte delle nuove realtà emergenti non corrisponde quindi solamente al dovere di solidarietà internazionalista, ma anche a un preciso interesse del lavoratori di tutto il mondo. 

Note:

[1] F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992.

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