I contratti da rivedere nel balletto russo sul prezzo del gas

di Antonio Fallico

da http://www.intesasanpaolo24.com/

I prezzi del gas naturale di queste settimane in Europa ricordano le scene e i decori dei balletti del Teatro “Bolshoj” di Mosca: il primo atto è un idillio, mentre nel secondo sono tuoni e fulmini; ora aspettiamo il terzo atto, dopo l’intervallo in corso. Nel 2020 gli acquirenti di gas italiani erano felici dei prezzi bassissimi.

Quest’anno però devono far fronte a una vera crisi energetica: il metano è diventato due volte più caro del petrolio in termini di resa termica. Non è casuale mettere in correlazione gas e petrolio. Infatti, quelle imprese italiane che importavano dagli algerini il gas secondo i vecchi contratti considerati fuori moda non hanno avuto alcun problema, perché il prezzo era legato a quello del petrolio. 
Nel primo semestre di quest’anno, l’algerina Sonatrach, ha quasi raddoppiato le forniture all’Europa, sino a 28 miliardi di metri cubi dai 15 dello scorso anno. Cosa facevano nel frattempo gli altri importatori italiani? L’Italia consuma circa 75 miliardi di metri cubi ogni anno, ma ne produce solo 5. Gli importatori, come quelli dell’Europa nord-occidentale, da tempo volevano ottenere liquidità sui vari hub, nel nostro caso sull’italiano Punto di scambio virtuale (Psv), per legare i propri prezzi alle sue quotazioni. Uno dei risultati è stato quello di indicizzare alle quotazioni del gas i nuovi contratti, per esempio, le forniture di tutto il metano azero, che passa attraverso il gasdotto Trans-Adriatic Pipeline (Tap). Secondo i dati dell’Unione Internazionale di settore, nel 2020 l’88% dell’import italiano di metano era già definito dai prezzi degli hub. Ma nel 2021 questa strategia si è rivelata perdente. I prezzi pagati per acquistare il metano Psv sono cresciuti da gennaio a metà ottobre di 4 volte, cioè da 20 a 80 euro per megawatt/ora. Il risultato è stata una drastica caduta delle operazioni sul Psv: pochi desiderano sborsare tali somme.
Per fortuna, i depositi sotterranei di gas in Italia sono quasi pieni. Al 9 ottobre lo erano all’87%, quando, per avere un’idea, la media Ue era del 67 per cento. La ripresa post pandemica dell’economia viene però messa a dura prova dai prezzi degli idrocarburi, metano in primis, poiché da questo dipendono in gran parte i costi dell’energia elettrica. Sullo sfondo della caduta della generazione eolica, dell’apporto minimo di quella solare, del basso livello dei fiumi con la conseguente diminuzione della generazione idroelettrica, nel secondo trimestre dell’anno in corso è aumentata la produzione di elettricità nelle centrali a gas.Conseguentemente vediamo gli attuali prezzi del metano alle stelle minare la ripresa economica. La Russia, che è uno dei maggiori produttori di metano al mondo, vede la situazione attuale dei prezzi in Europa come conseguenza delle precedenti analisi e decisioni errate dei Paesi Ue sulle scelte e sui tempi della transizione energetica. Non è stata presa in considerazione, secondo i russi, l’imprevedibilità della produzione delle fonti rinnovabili che dipendono troppo dai capricci del meteo. A questo si aggiunge la rapida chiusura della generazione elettrica nucleare e carbonifera: sono state calcolate male le tappe e la velocità della transizione, la necessità di soddisfare la domanda a dei prezzi adeguati e il conseguente aumento della volatilità del mercato. Il mercato asiatico è invece più interessante per i venditori in termini di prezzi. Per questo i produttori, soprattutto quelli di gas naturale liquefatto (Gnl), con Usa e Qatar in testa, preferiscono rifornire la Cina, il Giappone, la Corea e altre economie asiatiche, non l’Europa. In questa situazione difficile per l’Ue, la Russia ha aumentato del 15% le forniture di gas ai clienti europei, come appena confermato dal presidente, Vladimir Putin, alla sessione plenaria della Settimana energetica russa, ed è pronta a fare uno sforzo supplementare. Tra l’altro, ha specificato Putin, quei clienti europei che continuano a comprare il gas con i vecchi contratti il cui prezzo è legato a quello del petrolio, non pagano il gas russo ai prezzi esorbitanti degli hub, in quanto sborsano 300 dollari per mille metri cubi, non 1.000 dollari e più. Inoltre, i dirigenti di Total e di Bp hanno confermato di preferire i contratti a lungo termine. Purtroppo questi contratti, così come le forniture addizionali russe, non cambieranno in modo radicale la situazione europea: il problema risiede nell’attuale modello energetico europeo, troppo squilibrato e zoppo.
Esiste allora una soluzione? Solo i contratti a medio e lungo termine possono garantire la sicurezza dell’offerta. Dobbiamo ritornare ai prezzi indicizzati sul petrolio, quelli che prevedono anche un periodo di adattabilità di 6-9 mesi che garantisce al cliente il tempo per adeguare gli acquisti e diminuisce drasticamente la volatilità dei prezzi? Ciò richiederebbe molto tempo e la riscrittura dei contratti. Culturalmente, inoltre, gli importatori di metano non sono pronti a compiere questo passo. Una possibile soluzione però c’è e risiede nella differenza nella dinamica dei prezzi dei contratti sui forward a breve e lungo termine. I prezzi sui contratti day-ahead e month-ahead sono molto volatili. Invece la volatilità dei contratti “stagione +” e “anno +” è nettamente più bassa. Dall’inizio dell’anno questi sono aumentati di 2,4 e 3 volte, non di 4 volte come i forward a scadenze più brevi. In sintesi, non si può scappare dalla volatilità, ma si può diminuirla.