
di Francesco Galofaro – Università IULM di Milano
La guerra rende il vincitore più stupido e il vinto più cattivo – Friedrich Nietzsche
Come far pace con la Russia l’ho chiesto direttamente a DeepSeek. Mi sono detto: ma è davvero così difficile? Come mai i leader politici delle fazioni coinvolte continuano a insultarsi? E se l’intelligenza artificiale suggerisse, appunto, una linea di condotta più intelligente? Così, ho descritto la situazione come segue:
“ Sul giornale ho letto che è in corso una guerra terribile, in cui due stati continuano a combattersi. Molti soldati e civili vengono uccisi, ma la guerra prosegue senza cambiamenti significativi. Le rispettive economie dei due paesi reggono ancora, poiché diversi paesi sostengono l’uno o l’altro combattente. Altri paesi, e le stesse Nazioni Unite, cercano di risolvere la controversia pacificamente, senza risultati. La situazione ricorda uno stallo, ma nessuno fa il primo passo chiedendo un cessate il fuoco. Entrambi i leader accusano l’avversario di essere quello che rifiuta la pace. Probabilmente nessuno vuole apparire debole. Secondo te, qual è l’opzione più razionale per i combattenti?”
La risposta di DeepSeek – in modalità “deep thinking” – è lunga e articolata, e porta via addirittura venticinque secondi. Provo a riassumerla:
“Lo scenario che descrivi è tragicamente comune nella storia. Spesso questi conflitti sono dominati da emozioni, orgoglio, narrazioni radicate; un approccio razionale, consiglierebbe invece di minimizzare il danno, conservando l’interesse strategico. Ecco le scelte migliori:
1. Perseguire un cessate il fuoco attraverso negoziati riservati. Fermerebbe la sofferenza senza che i leader perdano la faccia e siano percepiti come deboli. Occorrono mediatori neutrali e servizi segreti, legando il cessate il fuoco a passi reciproci (“fermeremo il fuoco di artiglieria se arretri di dieci chilometri”).
2. Passaggio a una de-escalation graduale. Piccoli passi creano fiducia senza richiedere una capitolazione completa, evitando la barriera psicologica di un “grande accordo di pace”. I passi suggeriti sono la creazione di corridoi umanitari, lo scambio di prigionieri, le tregue localizzate a una specifica regione e la riapertura di rotte per rifornirsi di beni di prima necessità.
3. Fare leva sugli alleati esterni per esercitare pressioni per la pace. La guerra persiste perché i sostenitori esterni traggono profitto dalla fornitura di armi o dal mantenimento della propria influenza. Dunque, occorre richiedere colloqui di pace come prerequisito per la continuazione degli aiuti. I sostenitori di entrambi i Paesi possono concordare sanzioni congiunte per il rifiuto dei negoziati, oppure incentivi congiunti per passi in avanti. Questa strategia può non funzionare perché i sostenitori potrebbero preferire una guerra senza fine per prosciugare le risorse dei rivali, come accadde, ad esempio, nei conflitti per procura durante la Guerra Fredda.
4. Adottare un quadro di riduzione reciproca del danno. Se la vittoria totale è impossibile, ridurre al minimo i danni collaterali mantenendo gli obiettivi strategici: evitare l’uso di armi chimiche o nucleari, gli obiettivi civili, la guerra cibernetica che paralizza ospedali e reti elettriche. Risultato: ridurre i costi umanitari senza ammettere la sconfitta.
5. Prepararsi alla governance post-conflitto. Le guerre spesso persistono perché nessuna delle due parti riesce a immaginare una pace stabile. Leader razionali dovrebbero pianificare la condivisione del potere: sistemi federali, autonomia per le regioni o governance congiunta. Dovrebbero mirare all’integrazione economica: co-sviluppare risorse (ad esempio, petrolio, acqua) per creare interdipendenza. Dovrebbero favorire la riconciliazione ricostruendo la verità sulle tragedie e sulle violenze accadute in guerra.”
Nel concludere, DeepSeek suggerisce un percorso ottimale: negoziazioni segrete → de-escalation graduale → garanzie internazionali. “Questo riduce al minimo le perdite, consentendo al contempo ai leader di presentare l’esito come una vittoria strategica. Richiede coraggio per sfidare i sostenitori della linea dura e la rabbia dell’opinione pubblica. La razionalità richiede compromessi, ma raramente governa la guerra. La speranza migliore risiede nella diplomazia occulta, nella costruzione graduale della fiducia e nella pressione esterna per rendere la pace meno costosa di una guerra perpetua”.
Il percorso suggerito da DeepSeek suona ovvio. Se può appare creativo, è solo perché chi legge non conosce le sue fonti; DeepSeek è uno studente diligente che sorprende il docente con una tesi compilativa ben fatta, in cui la disamina della letteratura sull’argomento è completa e aggiornata. A maggior ragione, dato che il sapere compendiato dall’algoritmo è squisitamente umano, è sconsolante paragonare le risposte di DeepSeek alle dichiarazioni di Zelensky, dei leader UE e dei collaboratori di Putin circa i primi colloqui diretti tra Ucraina e Russia previsti a partire dal 15 maggio (oggi, per chi scrive). Appaiono come la serie di spintoni che preludono a una rissa. I “volonterosi” leader europei minacciano la Russia di nuove sanzioni se non accetta la tregua di 30 giorni; Macron e Merz bocciano la proposta negoziale di Putin; Zelensky sfida a Putin a venire direttamente in Turchia, poi definisce una “farsa” la delegazione russa; Zakharova risponde che Zelensky è “un pagliaccio e un perdente”. D’altronde, l’atteggiamento dei grandi player internazionali è diverso. Trump si mostra ottimista di fronte alla proposta russa di riprendere i negoziati; Rubio esprime apertura verso qualsiasi meccanismo che possa riportare la pace; i BRICS, con in testa la Cina, sostengono l’apertura di Putin al negoziato. Lo stesso Putin, significativamente, risparmia i commenti e lascia che siano i suoi collaboratori a rispondere.
I cinque punti di DeepSeek sono una sorta di sceneggiatura comune, alla luce della quale tentare un’interpretazione del quadro internazionale: a provare che, in effetti, si sono tenuti negoziati riservati sono alcuni piccoli spiragli, che andrebbero mantenuti aperti. Penso ad esempio allo scambio di prigionieri, e alle tregue unilaterali, faticose quanto brevi. E sembra chiaro che, da un lato, alcuni Paesi, specie europei, continuano a fomentare il conflitto; dall’altro, i grandi Stati a livello internazionale hanno già iniziato a premere su entrambi i contendenti perché effettuino passi di avvicinamento reciproco.
Cosa manca, ancora? Più di ogni altra cosa, sarebbe necessario isolare i falchi. Questo non vale solo per i governi dei Paesi belligeranti; vale anche per quei Paesi dell’Unione europea che soffiano sul fuoco, per motivazioni che a DeepSeek – ma anche a noi umani – sono molto chiare. Sperano di ottenere, prima o poi, un vantaggio militare, economico e strategico, che ripaghi i danni derivati fin qui dall’appoggio all’Ucraina in termini economici e di isolamento internazionale. Inoltre, un’Ucraina che, dopo il conflitto, ritornasse a stringere legami con la Russia sarebbe, dal loro punto di vista, esiziale. Per questo adottano una logica opposta alla de-escalation suggerita da DeepSeek: aumentano le spese militari e proseguono nell’invio di armi. Prima di morire, papa Francesco dichiarò che la pace nasce dal disarmo; ergo, finché la UE si riarmerà, non potrà pretendere seriamente di stare perseguendo la pace.
Molta strada deve essere ancora compiuta. Il tono della comunicazione dei leader europei ricorda i troll nei social network: più che degli sforzi di pace, racconta il desiderio di salvare la faccia. Provocazioni e minacce rivelano un atteggiamento ostile alla trattativa e l’intenzione di frenare quanto più si possa, a costo di proseguire quest’inutile strage di vite umane. Soprattutto, il conflitto sarà ancora lungo. L’unica bozza per una governance post-conflitto è quella russa di aprile ’22, data in cui i negoziati si interruppero dando seguito a tre anni di guerra tanto sanguinosa quanto inutile, moralmente discutibile ed economicamente dannosa per l’Europa e per il mondo.
Ora, il lettore paziente mi perdonerà se concludo con le mie considerazioni meramente umane. Come ho scritto nel volume Il senso della pace, Meltemi, finché non è perduta pensiamo che la pace sia uno stato naturale; al contrario, lo stato prevalente è la guerra: anche quando noi siamo in pace, dobbiamo essere consci che, da qualche parte nel mondo, c’è un conflitto armato che ci coinvolge. Per la logica della guerra, ha poco senso concedere qualcosa a un avversario più debole; tuttavia, per quanto le motivazioni della guerra possano essere giustificate dal diritto e dalla filosofia, prima o poi gli obiettivi di partenza sono sepolti e dimenticati: prevale la rappresaglia pura e semplice, senza limiti etici. Per questo, al modello della predazione va contrapposto quello della simbiosi: la “pace” è vincolata a una serie di scambi di reciproca utilità – economici, simbolici, culturali – ed è la risultante di una costruzione, di un lavoro faticoso, della volontà generale di mantenere un equilibrio.
Detto questo, anch’io mi unisco a quanti, in questi giorni, guardano con attenzione quel che accade perché hanno a cuore la vita umana, il valore del negoziato come mezzo per risolvere i conflitti e la speranza in un futuro prospero per le generazioni a venire.
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