di Giuseppe Amata
- Non si possono comprendere gli odierni avvenimenti in Ucraina senza fare un lungo passo indietro di oltre trent’anni, cioè fino alla seconda metà degli anni Ottanta. E’ sin troppo noto come l’URSS aveva bisogno da molto prima di reali riforme sia nel sistema economico che in quello politico. Ne aveva parlato Stalin prima della sua morte nello scritto “Problemi economici del socialismo in Urss” e nel XIX Congresso del Pcus, Ma le riforme dell’epoca krusceviana anziché rafforzare il socialismo iniziavano a indebolirlo e quelle brezneviane cercavano di tamponare le crepe create dal lavoro di Kruscev senza capire quello che occorresse fare. La successiva gestione gorbaceviana con la glasnot e la perestrojka anziché ristrutturare l’edifico lo ha definitivamente smantellato, dando avvio a un processo controrivoluzionario di massa che dalle sfere dirigenti si è esteso alle forze sociali prima in Unione Sovietica e poi nei paesi dell’est dove è dilagato in un tessuto economico e sociale già lacerato (dai moti di Berlino del 1953 alla lotta di Solidarnosc in Polonia nel 1980 con l’appoggio sfacciato dell’imperialismo americano, della Nato e della Chiesa). Questo processo controrivoluzionario di massa era arrivato nel 1989 anche a Beijing in prossimità della visita di Gorbacev, prontamente bloccato dall’Esercito Popolare di Liberazione. L’onda lunga del movimento controrivoluzionario si è anche estesa in tutti i paesi occidentali e quindi in Italia dove sono cambiati molti paradigmi nel modo di pensare della politica e dell’economia (già favoriti dal declino revisionistico del PCI e della CGIL), che hanno dato vita a quel revisionismo storico che ha concluso il suo ciclo con la delibera del parlamento europeo che assimilava il comunismo al nazismo. La generazione nata negli anni Ottanta è cresciuta culturalmente sull’onda del revisionismo storico e la difficoltà delle forze comuniste ad operare oggi in Europa è dovuta a quel revisionismo ideologico, culturale e storico accennato.
- La dichiarazione congiunta di Eltsin, Kravciurk, Shukevic, di scogliere l’Unione Sovietica nel 1991, in barba al precedente referendum che col 70% dei consensi dei cittadini confermava l’esistenza dell’URSS, nonché l’intromissione della Nato nei fatti dell’URSS con la complicità o la debolezza della direzione di Gorbacev sono all’origine di tante tragedie avvenute in seguito nello spazio ex sovietico e di quest’ultima che stiamo vivendo, la quale iniziata con un accordo tra i due stati, Russia e Ucraina, è poi esplosa con la “rivoluzione” arancione che ha visto la netta contrapposizione tra forze politiche del settore occidentale (appoggiate da vaste fasce sociali, giovani in particolare, che volevano legami stretti con l’Unione Europa) da un lato e dall’altro la popolazione russofona del settore orientale col sostegno anche di forze politiche di minoranza del settore occidentale (come il Partito comunista ucraino) che sconvolte dallo scioglimento dell’URSS cercavano di mantenere buoni rapporti tra i due stati. La “rivoluzione” arancione ha contestato la vittoria elettorale di Yanukovic (rischiando di contrapporsi con la forza ai minatori dell’est andati a Kiev per sostenerlo) e sfruttando gli apparati statali che controllava ha denunciato fantomatici brogli elettorali facendo ripetere le elezioni per far conseguire la vittoria a Yuscenko e alla Timoscenko. Questi due personaggi hanno aggravato la crisi economica in cui sprofondava l’Ucraina dopo lo scioglimento dell’URSS e gli stretti legami che avevano intrapreso con l’Unione Europea non erano riusciti a risolvere il problema. Di conseguenza alle successive elezioni Yanukovich vince facilmente e quando blocca la domanda di associazione all’Unione Europa succedono i fatti di Maidan e il colpo di stato che lo destituisce e lui fugge per non finire come Ceasescu. Soltanto che, dopo la sua destituzione, le masse dell’est capiscono che si devono organizzare autonomamente e anziché andare a Kiev per essere sconfitte dai militari e dalle bande naziste organizzate militarmente hanno proclamato le due repubbliche popolari, le quali pur avendo avuto il sostegno della popolazione della Russia non sono state riconosciute dal governo russo, ufficialmente per prudenza per non incrinare i rapporti con l’Occidente e soprattutto con il governo tedesco che cercava un modus vivendi alla questione, modus trovato negli accordi di Minsk, rimasti poi lettera morta, mentre gli ucraini bombardavano le due repubbliche con l’artiglieria (uso vietato dagli accordi di Minsk). Per otto anni, in barba agli ammonimenti prudenziali e non incisivi del Cremino verso i golpisti ucraini, costoro hanno provocato più di dieci mila morti tra la popolazione civile, bambini compresi ed ora quando lanciano messaggi televisivi recitano la parte degli agnellini.
- Se questi sono gli antefatti che hanno originato la situazione attuale, ci si può innanzitutto rammaricare del fatto che essa è diventata drammatica perché l’intervento di Putin è arrivato con un ritardo di otto anni e in questo lasso di tempo i golpisti hanno riorganizzato le forze armate espellendo quadri ufficiali che sostenevano un rapporto di collaborazione con la Russia, mentre spalancavano le porte agli agenti Nato e al capitale occidentale. Putin nel 2014 aveva minacciato di intervenire per difendere la popolazione russofona dalle aggressioni militari, poi si era accontentato dagli accordi di Minsk. D’altra parte per correttezza di informazione occorre anche dire che agli inizi del nuovo secolo Putin era impegnato nella ricostruzione economica della Russia e nel suo lento affrancamento dalle potenze occidentali che avevano stretto la Russia alla loro dipendenza economica con l’era Eltsin e avevano ridimensionato la Serbia con la secessione del Montenegro e poi del Kossovo, dopo aver distrutto la Jugoslavia e creato tante repubbliche, Slovenia, Croazia, Macedonia assorbite nelle loro sfere d’influenza e nella Nato, con l’aggiunta dell’Albania. Questa ricostruzione oltre che economica e politica è stata anche nel settore militare ed è avvenuta con profonde contraddizioni sociali, in quanto seppur è avanzata la ristatalizzazione di alcuni settori il potere oligarchico nel complesso non è stato intaccato e negli ultimi anni, in seguito a crisi economica capitalistica e pandemia, si sono aggravate peggiorando le condizioni delle masse. L’intervento militare odierno dispiegato in tre direttrici e mirante oltre a difendere la popolazione russofona, e non solo quella racchiusa nelle repubbliche popolari riconosciute soltanto da una settimana, a difendere la stessa esistenza in futuro della Russia e della Bielorussia dalle reali minacce della Nato, la quale nel corso degli ultimi trent’anni ha posizionato basi militari negli ex paesi del disciolto Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica (paesi baltici e alcuni asiatici). Dal punto di vista politico la posizione della Russia, di fronte alle provocazioni ucraina di aderire alla Nato, ribadendo il principio della neutralità, della smilitarizzazione e della denazistificazione, è sin troppo logico. Come è logico il principio che la sicurezza di un paese non può avvenire a spese di un altro e che la sicurezza in Europa deve essere accettata da tutti i paesi e non può essere imposta dalla Nato. Certo, in ogni intervento bellico vi sono le tragedie e la morte di innocenti. Ma a tutti i media che fanno vedere immagini di case colpite dai missili o dai colpi di artiglieria che sbagliano obiettivo rispetto a quelli militari e che su queste immagini vogliono assuefare l’opinione pubblica e riceverne il consenso (operazione abilmente riuscita e nella quale brillano in pole position Letta e Di Maio), si devono fare le seguenti domande: a) durante il bombardamento della Serbia da parte della Nato quante case sono state distrutte e quanti civili e fra questi bambini sono morti? Quanti ponti sono stati abbattuti e le bombe all’uranio impoverito cadute sui fiumi quanto inquinamento hanno provocato negli ecosistemi fluviali e terrestri e danni alla salute degli abitanti?; b) e in Iraq nel corso di due guerre non si bombardava con obiettivi mirati come stanno facendo i russi, anche se con errori; si bombardava a tappeto il territorio provocando centinaia di migliaia di morti e si distruggevano o si svuotavano deliberatamente i musei della civiltà mesopotamica; c) e in Afghanistan, in Siria, in Libia chi ha distrutto il tessuto sociale, etnico e statuale?. Quindi se si vuole la pace ed è giusto sviluppare un movimento per la pace bisogna andare al nocciolo del problema e creare un clima di sicurezza per tutti in Europa abbandonando la politica dell’escalation. Non è forse escalation la decisione della Germania di riarmarsi investendo 100 miliardi di euro solo quest’anno e destinando alle spese militari il 2% del PIL negli anni a venire, abbandonando la messa in funzione dello Strema 2 che portava tanti vantaggi sia alla parte venditrice del gas sia alla parte acquirente? Le misure approvate dall’Unione Europea di fornire armamenti all’Ucraina spingono i nazisti di Kiev a trovare un accordo oppure a creare le condizioni nel futuro per un intervento militare contro la Russia da parte della Nato? La guerra economica per strangolare la Russia con le sanzioni e il desiderio di far leva sulle contraddizioni sociali esistenti in Russia per un cambio di governo, in modo da averne uno nel segno della politica di Eltsin, che significato ha se non di preparativi alla guerra da parte di Usa, GB e UE? Qual è il significato di quelle forze come Rifondazione che seguono gli schemi politici della propaganda europea che ha individuato in Putin l’aggressore, per non dire altre cose, pur dichiarando che in Ucraina comandano i nazisti?
- Siamo quasi ad un punto di non ritorno e allora da comunisti dobbiamo analizzare in profondità la situazione che si è determinata, sulla base della concezione materialistica della storia. Io penso che l’aspetto principale diventa quello politico che si dovrà subito sviluppare dopo quello militare, che prima o poi finirà. La Russia dopo la tragedia dello scioglimento dell’Unione Sovietica con la conseguenza che più di venti milioni di russi sono rimasti senza patria e cittadinanza, come stranieri in casa altrui, e in alcuni stati (paesi baltici e Ucraina) umiliati e offesi, non può recuperare, dove possibile, l’ex spazio sovietico e la dignità delle minoranze russe agendo da sola (altrimenti sembrerebbe a molti popoli la ricostituzione dell’impero zarista) ma in una nuova forma di associazione statuale sul modello dell’URSS con tutte le ex repubbliche sovietiche che lo desiderano, con le due repubbliche del Donbass, le quali con l’intervento militare russo e con l’appoggio determinante dei miliziani stanno liberando tutte le città dal controllo dei nazisti ucraini, nonché con la Transnistria. Inoltre la Russia, per sconfiggere la guerra economica scatenatagli dall’Occidente, quale preludio ad una futura guerra militare (perché le leggi dell’imperialismo analizzate da Lenin sono oggettive e l’imperialismo significa guerra) dovrà modificare la sua economia in direzione di un lungo processo di transizione al socialismo (sull’esempio del modello cinese ma tenendo conto delle sue peculiarità storiche) che in una prima fase espropri gli oligarchi (che sono cresciuti appropriandosi del patrimonio pubblico sovietico e in combutta con la finanza occidentale) e dovrà incrementare la collaborazione economica con le repubbliche asiatiche ex sovietiche e con la Cina per creare una Unione Economica Euroasiatica nel rispetto della sovranità di ogni paese, utilizzando come infrastruttura la “Nuova via della seta” (BRI). Un passo avanti, quindi, rispetto al Trattato di Organizzazione e Cooperazione di Shanghai (creato dalla Russia, da ex repubbliche asiatiche sovietiche e dalla Cina al quale successivamente si sono associati altri importanti paesi come l’India, il Pakistan e l’Iran), il quale ha svolto in 20 anni una importante funzione per restringere in Asia l’influenza imperialistica americana e di altri paesi come UE, GB e Giappone, come si legge bene nel libro di Marco Pondrelli “Continente Eurasiatico” del 2021, tant’è che l’asse dello sviluppo economico mondiale si è spostato verso l’Asia e questo sviluppo deve essere controllato dai paesi che lo determinano e non dall’imperialismo che in tante forme, dai trattati militari (Nato, Aukus, patto Usa-Giappone e Usa-Corea del Sud, ecc) alle associazioni economiche regionali imperniate sulla predominanza delle multinazionali, vuole fare. La posta in gioco va al di là dell’Ucraina e i terreni o i destini della guerra o della pace per la creazione di una comunità dal destino condiviso e per uno sviluppo economico che rispetti le condizioni naturali d’esistenza e impedisca il riscaldamento globale si giocano a livello globale. Basti vedere come sono finite le chiacchiere sulla transizione ecologica dei paesi europei, una transizione che non si potrà mai realizzare nell’ambito del modo capitalistico di produzione.