GLI STATI UNITI E IL PAREGGIO CATASTROFICO NEL SISTEMA MONDO

di Carlos Eduardo Martins1

Pubblicato in RECORTES-DE-CONJUNTURA-MUNDIAL, vol.1, dicembre 2023

da https://www.clacso.org

Traduzione di Herta Manenti e Francesca Staiano

Il testo di Carlos Eduardo Martins che qui pubblichiamo grazie alla segnalazione e traduzione di Herta Manenti e Francesca Staiano, merita di essere letto e studiato attentamente per diverse ragioni.

1. Per l’ipotesi che qui affaccia sulle tendenze e il quadro della situazione mondiale attuale. In essa è evidente la crisi di egemonia dell’unipolarismo degli USA e del blocco imperialista occidentale, ma, al contempo, le nuove potenze emergenti della Cina, della Russia e del “Sud globale”, dirette alla costruzione di un mondo multipolare, non sono ancora in grado di prevalere, per cui si ha un “pareggio catastrofico tra due tendenze contrapposte che non riescono a imporre alcun ordine mondiale”. Una situazione analoga a quella che un secolo fa Gramsci definiva – in un contesto ovviamente diverso – con l’aforisma: “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Scrive Martins: “Tutto indica che stiamo entrando in una lunga situazione di pareggio catastrofico, dove la struttura di potere dell’imperialismo anglosassone non riesce più a reggere la possibilità di stabilire un ordine globale, e nemmeno la struttura di potere emergente, ancora incipiente, ha forza, sviluppo e organicità sufficienti per sostituire ampiamente le potenze declinanti, che ancora possiedono forza considerevole e ampiezza per limitare e restringere, ma sempre meno per determinare o dirigere”.

Se questo è il quadro mondiale delineato dall’autore, la questione della strategia dei comunisti e del movimento operaio in questa fase diviene di primaria importanza.

2. Il testo ci presenta una sintesi, corroborata dall’esposizione di dati eloquenti, dell’economia e della politica statunitensi e delle tappe e cause del declino, nonché delle basi materiali dello scontro interno ai gruppi dirigenti nordamericani, che si manifesta nell’antagonismo Biden/Trump nelle prossime elezioni presidenziali, sul cui esito l’autore non vede la possibilità di una via d’uscita progressiva.

3. Sono delineate le ragioni per cui l’Occidente ha considerato la Russia “una minaccia potenziale troppo pericolosa per essere integrata nelle strutture dell’atlantismo liberale”.

4. La combinazione delle categorie marxiste classiche con alcune categorie della geopolitica contribuisce ad allargare lo sguardo in una visione complessiva, senza smarrire il fondamentale riferimento alla lotta di classe che resta essenziale per cogliere le cause profonde delle svolte politiche ed economiche degli USA, come quella verso l’economia politica neoliberale della finanziarizzazione, che – scrive l’autore – era prioritariamente diretta contro la classe lavoratrice statunitense.

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Ipotesi

La nostra principale ipotesi di ricerca è che il sistema-mondo contemporaneo stia passando da una situazione di transizione dell’egemonia o dominazione degli Stati Uniti a un’altra di pareggio catastrofico tra due tendenze contrapposte che non riescono a imporre alcun ordine mondiale, creando una situazione di crescente disorganizzazione sistemica: da un lato, l’imperialismo ultramarino atlantista degli Stati Uniti e della NATO, e dall’altro l’emergenza di un blocco di potere multilaterale centrato sul protagonismo di potenze anfibie euroasiatiche come la Cina e la Russia, con proiezione verso il Sud Globale attraverso la connessione con leadership in America Latina, Medio Oriente e Africa. Se gli Stati Uniti, incapaci di abbandonare i privilegi della finanziarizzazione per riprendere il loro ruolo di leadership produttiva globale, tendono a evolvere da un imperialismo informale a un imperialismo tout-court, usando la forza del loro Stato per cercare di smontare le pressioni competitive dell’economia mondiale, trascinando con sé l’Europa attraverso un’alleanza militare via NATO; il blocco multipolare in formazione, a sua volta, raccoglie un ampio e diverso insieme di forze sociali, politiche, ideologiche e culturali e tende a stabilire il suo centro di gravità nella resistenza all’imperialismo nordamericano e atlantista, nella ricerca di alternative all’austerità e al monopolio del dollaro, nell’affermazione del diritto dei popoli alla sovranità, all’autodeterminazione, alla sicurezza, allo sviluppo e all’equilibrio ecologico, e nella costruzione di spazi multilaterali per il raggiungimento di consensi e la soluzione dei conflitti.

La fallacia del potere unipolare

La fine della Guerra Fredda, con la sconfitta dell’Unione Sovietica e del blocco socialista nell’Europa orientale, ha portato alla pretesa di affermazione di un potere unipolare statunitense, capace di realizzare le sue ambizioni universaliste e di guidare la costruzione di un impero informale, centrato sull’espansione del mercato mondiale per limitare le sovranità nazionali e su politiche per effettuare la transizione da presunte autocrazie a Stati liberali. La teoria del balance of power e la dottrina del contenimento sono state scartate a favore dell’universalismo liberale e della dottrina del cambio di regime, che ha assunto la sua forma più radicale in Afghanistan, in Iraq e in Libia attraverso l’invasione terrestre da parte di truppe convenzionali, unilateralmente o in coalizione con la NATO. La politica di cambio di regime includeva non solo l’intervento militare convenzionale, ma anche forme più moderate: queste variavano dal supporto a gruppi paramilitari e mercenari per condurre guerre ibride; sanzioni finanziarie, commerciali e diplomatiche; supporto a segmenti strategici della società civile per promuovere rivoluzioni colorate; e inclusione nel mercato mondiale e negli organismi internazionali attraverso la leadership ideologica degli Stati Uniti. Più importanti e potenti erano le autocrazie, come la Cina e la Russia, più si puntava sulla persuasione come fattore dominante del cambio di regime, fiduciosi nella capacità degli Stati Uniti di ottenere risultati offrendo carote invece di bastoni, garantendo l’accesso al mercato mondiale e agli organismi multilaterali. La caduta relativamente pacifica dell’Unione Sovietica creava l’ambiente per confermare la tesi della superiorità della società liberale e del ruolo messianico della società nordamericana nel mondo.

Tuttavia, i quarant’anni di politiche neoliberali negli Stati Uniti hanno prodotto un risultato molto diverso. Il potere unilaterale degli Stati Uniti si è rivelato apparente. La sconfitta dell’Unione Sovietica e del socialismo nell’Europa orientale era stata il crollo di una forza regionale e non di una minaccia all’egemonia degli Stati Uniti. Lo spostamento del regime di accumulazione negli Stati Uniti verso lo standard dollaro flessibile, la finanziarizzazione e la delocalizzazione produttiva hanno creato un potere internazionale che ha trasferito tecnologia all’estero e indirizzato la dinamica dello standard di accumulazione verso il capitale finanziario, la generazione di capitale fittizio, i trasferimenti internazionali di plusvalore e il parassitismo. La grande ragione di ciò fu la necessità di combattere l’attivismo della classe lavoratrice sindacalizzata del fordismo nordamericano, le cui pressioni salariali e redistributive si sommavano alle lotte del movimento nero e ottenevano il sostegno del movimento studentesco, formando un blocco storico di lotta contro la disuguaglianza, il colonialismo interno, il razzismo e l’aggressione imperialista in Vietnam che premeva negativamente sul tasso di profitto. La capacità della borghesia statunitense di godere immediatamente di una ricchezza che non aveva generato, sembrava essere una scoperta magica, ma approfondì le contraddizioni nel lungo periodo. Il debito pubblico degli Stati Uniti si è moltiplicato seguendo una traiettoria completamente diversa da quella stabilita tra il 1946 e il 1979, quando scese dal 118,9% al 32,3% del PIL. Tra il 1979 e il 1993 è salito al 64,2% del PIL, nel 2012 ha raggiunto il 99,6% dopo aver sostenuto l’accumulazione di capitale fittizio nei mercati privati nella grande crisi del 2008-09, e nel 2022 ha raggiunto il 123,4% a seguito delle misure per affrontare la crisi economica generata dalla pandemia globale di Covid-19 (THE WHITE HOUSE, 2013 e 2023). Tra il 1993 e il 2021 il deficit commerciale è aumentato del 7,8% annuo, passando da 132 miliardi di dollari a 1.183 trilioni di dollari (THE WHITE HOUSE, 2023). Gli Stati Uniti sono stati superati dalla Cina nel numero di brevetti concessi dal 2015, nel numero di brevetti in uso dal 2021 e nel numero di aziende elencate nelle prime 500 di «Fortune» dal 2019, indicando il marcato declino della loro leadership tecnologica (WIPI, 2023 e «Fortune» 2023). La spesa militare combinata di Cina e Russia è passata da appena il 12,1% di quella statunitense nel 1992 o il 13,5% nel 2000, al 45,4% nel 2022. Il bilancio della difesa degli Stati Uniti ha raggiunto il picco in termini assoluti deflazionati nel 2010, evidenziando le contraddizioni tra l’espansione del debito pubblico degli Stati Uniti e il sostegno di una economia politica del potere egemonico (SIPRI, 2023). Il punto di svolta determinante di questo avvicinamento non è stato provocato dalla reazione politica cinese e russa all’espansionismo militare di George W. Bush e al progetto del New American Century in Medio Oriente, ma dai limiti economici degli Stati Uniti rivelati dalla crisi del 2008. Le spese militari di questi paesi equivalgono solo al 18,5% di quelle del paese nordamericano nel 2007. Il deficit pubblico negli Stati Uniti è balzato dall’1,1% all’8,7% tra il 2008 e il 2010 e ha scatenato una politica di restrizioni di bilancio che ha colpito la difesa, il cui finanziamento statale è sceso dal 4,7% del PIL nel 2010 al 3,2% nel 2022 (THE WHITE HOUSE, 2023).

L’economia politica neoliberale della finanziarizzazione, prioritariamente diretta contro la classe lavoratrice statunitense, ha spinto al declino dello stato nordamericano e non all’espansionismo politico e militare della principale potenza anglosassone. Se il risultato interno è stato favorevole per la borghesia transnazionale nordamericana che ha ristabilito il suo potere nella lotta di classe e ha scollegato la curva della produttività dalla curva dei salari, approfondendo drasticamente la disuguaglianza, promuovendo la deindustrializzazione e la caduta dei livelli di sindacalizzazione, l’effetto a lungo termine è stato quello di indebolire il potere internazionale dello stato nordamericano accelerando lo smantellamento di uno degli elementi chiave della sua egemonia: la leadership produttiva e tecnologica. Nella transizione alla fase finanziaria della sua egemonia, gli Stati Uniti hanno soffocato i progetti di modernizzazione industriale nella periferia e nella semiperiferia fortemente indebitate in dollari, hanno liquidato le aspirazioni sub-imperialiste e sviluppiste degli stati dipendenti e il socialismo regionale europeo, incapace di sopravvivere alla depressione dei prezzi del petrolio, alle esigenze finanziarie degli organismi internazionali e alla nuova corsa agli armamenti finanziata da una diplomazia monetaria aggressiva del nuovo standard dollaro-flessibile.

Nel lungo periodo, tuttavia, diventa sempre più evidente che lo smantellamento della base tecnologica dell’egemonia degli Stati Uniti compromette la sua stessa leadership finanziaria. Partendo da Brian Reinbold e Yin Wen possiamo indicare che le eccedenze commerciali nella storia degli Stati Uniti coincidono con la loro ascesa egemonica e il dominio delle tecnologie industriali (REINBOLD e WEN, 2019). Tra il 1870 e il 1970, gli Stati Uniti invertirono la posizione deficitaria che possedevano durante il 1800-1870 trasformando in eccedenze il conto fortemente negativo in beni manufatti, neutralizzando praticamente i risultati favorevoli espressi in materie prime. A partire dagli anni ‘70, l’inversione della situazione positiva in beni industriali inizia ad inficiare significativamente il posto degli Stati Uniti nel mondo come esportatore netto di capitale, convertendolo da eccedente a deficitario, aumentando sempre più il rischio per la sua stabilità finanziaria e lo standard monetario. Tra il 1960 e il 1970, l’esportazione di capitali degli Stati Uniti superava l’entrata fornendo un saldo netto di 29,9 miliardi di dollari. Con i deficit commerciali che si stabiliscono a partire dal 1971 e crescono a partire dagli anni ‘80 questo risultato si inverte. Nel periodo 1971-1993 vi è un saldo negativo di 832 miliardi di dollari, nell’intervallo 1994-2022 il risultato negativo si accentua e raggiunge i 13.362 trilioni di dollari spingendo l’indebitamento e la denazionalizzazione dell’economia statunitense (BUREAU OF ECONOMIC ANALYSIS, 2023).

Verso l’imperialismo tout-court e il pareggio catastrofico

L’incapacità degli Stati Uniti di assorbire nel loro ordine globale i progetti di sviluppo, di sovranità politica e affermazione regionale dei paesi anfibi della periferia e semiperiferia, li ha portati a iniziative per contenere e impedire la loro realizzazione e proiezione. La pretesa della Cina di superare la condizione di piattaforma di esportazione complementare al potere ultramarino statunitense e affermarsi come una potenza capace di dominare e guidare la frontiera tecnologica, enunciata a partire dal Made in China 2025, è stata considerata inammissibile, così come il suo progetto di una nuova via della seta eurasiatica, estesa all’Africa, all’America Latina e ai Caraibi, o l’affermazione e lo sviluppo dei BRICS. Nel documento NATO Strategic Concept 2022, il Partito Comunista Cinese (PCC) è accusato di essere un attore maligno che cerca di controllare settori tecnologici chiave, infrastrutture critiche, materiali strategici e catene di approvvigionamento per stabilire dipendenza politica attraverso il commercio e l’investimento, aumentare la sua influenza, sovvertire l’ordine internazionale e i valori e interessi dell’alleanza transatlantica. La partnership senza limiti tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa, dichiarata nel febbraio 2022, è stata valutata come particolarmente pericolosa (NATO, 2022).

La Russia non può mai accomodarsi nell’universalismo liberale statunitense, poiché questo non è mai riuscito a trascendere la sua territorialità geopolitica. Ritenuta uno dei pilastri, insieme alla Cina e alla Germania, di un ipotetico Rimland capace di creare un’isola-mondo eurasiatica con la forza per soppiantare il potere ultramarino atlantista, la Russia è sempre stata considerata una minaccia potenziale troppo pericolosa per essere integrata nelle strutture dell’atlantismo liberale. Potenza militare rivale degli Stati Uniti, detentrice del maggior numero di testate nucleari nel mondo, seconda classificata al fianco dell’Arabia Saudita come produttrice di petrolio e suoi derivati, una delle maggiori produttrici di grano, la Russia è ancora un corridoio logistico strategico dell’articolazione geoeconomica tra la Cina e l’Europa. La sua incorporazione nell’atlantismo richiede che essa abbandoni qualsiasi progetto regionale euroasiatico, oltre a garanzie come la sua frammentazione politica e smilitarizzazione per eliminare qualsiasi possibilità di rafforzamento del continente europeo di fronte al potere nordamericano.

Negli anni 2000, Putin ha visto frustrate le sue aspettative di inclusione nell’atlantismo attraverso l’Unione Europea o la NATO. Stimolato dalla ripresa dei prezzi del petrolio, fustigato dall’imperialismo neoliberale statunitense che ha deindustrializzato la Russia e minacciava la sua unità e proiezione con il sostegno al separatismo, alla dissoluzione della CSI e all’espansione della NATO e dell’Unione Europea verso l’est, il leader russo ha rivisto la sua strategia di potere. Ha nazionalizzato le imprese, garantito il controllo strategico sui settori infrastrutturali (finanziario, petrolio e gas, energia, difesa, aviazione, nucleare, aerospaziale, trasporto e costruzione navale), distrutto la principale frazione oligarchica rappresentata da Michail Chodorkovskij, fondatore con Henry Kissinger di Open Russia nel 2001, e imposto al settore privato un patto di collaborazione con un progetto di sviluppo euroasiatico sotto il comando politico dello Stato. Le restrizioni imposte dall’imperialismo statunitense all’articolazione energetica della Russia con l’Europa sono state superate con la costruzione del gasdotto North Stream I che ha elevato dal 30% al 39% la parte russa nella fornitura di gas all’Europa, offrendo un’alternativa di approvvigionamento che ha aggirato il territorio ucraino, dalle elezioni del 2004 e dalla “rivoluzione arancione” sotto forte ingerenza degli Stati Uniti. Il progetto di duplicazione del gasdotto ha incluso la Russia nella linea di tiro delle sanzioni degli Stati Uniti, stabilite già nel Governo Obama, che si sono approfondite con l’annessione della Crimea da parte della Russia in reazione al colpo di Stato del 2014 in Ucraina, rendendo impraticabile l’ingresso di questo paese nell’Unione Doganale Euroasiatica. Le sanzioni imposte contro la Russia per la costruzione del Nord Stream II hanno colpito anche le imprese europee che hanno partecipato al progetto senza riuscire a impedire la realizzazione di questo.

Decadenti economicamente, avendo abbandonato l’ideologia della modernizzazione per quella dell’austerità come strategia internazionale, gli Stati Uniti non sono riusciti ad ostacolare l’espansione dello spazio geoeconomico eurasiatico dove la Russia emergeva come corridoio logistico e strategico potenziale di articolazione tra la Germania e la Cina. L’imposizione di colpi di stato in Paraguay, in Ucraina, in Brasile, in Bolivia, l’assedio al Venezuela, il riconoscimento da parte degli Stati Uniti di un governo parallelo guidato da Juan Guaidó – a cui è stato formalmente dato il controllo dell’oro del paese a Londra e della Citgo a Houston, messa all’asta – e la distruzione parziale dell’integrazione regionale in America Latina da parte di governi allineati a Washington hanno costituito importanti iniziative per impedire la proiezione del nuovo asse geopolitico eurasiatico emergente verso il Sud Globale.

Tra il 2000 e il 2021, secondo il Tesoro statunitense, il numero di sanzioni imposte dallo stato nordamericano è aumentato del 933%, con maggiore accelerazione a partire dal 2017 (DEPARTMENT OF TREASURY, 2021). Se la transizione all’imperialismo tout-court è iniziata negli anni 2010, con l’estensione dell’economia politica delle sanzioni ai pilastri del nuovo asse geopolitico emergente, Russia e Cina, il governo Trump ha rappresentato la prima reazione ideologica interna più consistente all’imperialismo informale statunitense. Non era un punto fuori dalla curva, ma un punto di svolta che rifletteva una tendenza crescente degli Stati Uniti a usare il loro potere politico per limitare la concorrenza nell’economia mondiale. Trump ha rotto con la politica di Open Doors per la Cina, iniziata da Richard Nixon, e ha stabilito una guerra commerciale, finanziaria e diplomatica contro il paese asiatico i cui principali obiettivi sono impedire la transizione cinese alla frontiera tecnologica annunciata nel Made in China 2025 e promuovere la reindustrializzazione degli Stati Uniti. È entrato in collisione con l’universalismo liberale che ha dominato la politica estera statunitense dagli anni ‘90 e ha ristabilito l’unilateralismo nella politica estera. Attraverso l’America First ha segnato l’indipendenza da qualsiasi impegno multilaterale, sia con l’atlantismo, sia con il neoliberalismo. Ha seppellito la Trans-Pacific Partnership, con cui Obama intendeva isolare la Cina in Asia e nel Pacifico, sostituendola con una politica unilaterale molto più aggressiva di sanzioni e minacce diretta al paese asiatico, estensiva agli alleati che non la ratificassero. Ha scartato il Trattato Transatlantico di Commercio e Investimento tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea e ha fomentato la BREXIT. Trump ha guidato anche la sostituzione del NAFTA con l’USMCA, che ha elevato le esigenze di regole di origine dal 62% al 75% a parti e componenti dell’industria automobilistica, imponendo il 70% per l’alluminio e l’acciaio, e ha stabilito il contenuto del valore-lavoro che ha determinato il salario minimo di 16 dollari all’ora per il 40% della produzione di auto e camion fino al 2023. L’USMCA combinato alla guerra commerciale, finanziaria e diplomatica contro la Cina ha permesso di creare l’ambiente per reindirizzare al tempo stesso gli investimenti statunitensi dal paese asiatico verso il Messico e ha cercato di limitare il grado di delocalizzazione produttiva a beneficio della produzione interna, poiché i costruttori non sono disposti a rivedere i salari in Messico, intorno a tre-quattro dollari al giorno. Trump ha completato la politica commerciale con la forte restrizione all’immigrazione latino-americana e araba, la cui principale espressione è stato il progetto di costruzione di un muro che separa i confini con il Messico per consolidare le basi economiche di un discorso di protezione ai lavoratori esclusi dalla globalizzazione. Si tratta di un discorso che rivendica il razzismo e il suprematismo anglosassone degli Stati Uniti, respinge qualsiasi iniziativa inclusiva di riforma sociale, respinge il multiculturalismo e le preoccupazioni per l’ecosistema globale, elegge la Cina e il comunismo come principali nemici, e assume dimensioni fasciste nette, come si è manifestato nel tentativo di coordinare un colpo di stato il 6 gennaio 2021. Trump ha ridefinito la nozione di interesse strategico degli Stati Uniti per dare priorità allo scontro con la Cina, ha ritirato le truppe statunitensi dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Siria, ha stabilito solide relazioni con il sub-imperialismo sionista riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele, ha contrattato il sostegno militare all’Ucraina per soddisfare i suoi interessi politici personali e patrimoniali, e ha fallito nel tentativo di sponsorizzare l’invasione del Venezuela e rovesciare Maduro, attraverso il Gruppo di Lima, con il pretesto dell’aiuto alimentare2.

Il governo Biden ha cercato di rilanciare la politica di coalizione colpita dall’unilateralismo di Trump. Ha ristabilito la leadership degli Stati Uniti nella NATO, da cui Trump aveva minacciato di ritirarsi se gli europei non avessero aumentato sostanzialmente le loro spese militari, al di sopra anche dei livelli stabiliti dall’organizzazione. Il vertice della NATO del giugno 2021, ha aumentato la pressione militare sulla Russia, dedicandole il suo comunicato, e ha ribadito l’invito all’Ucraina e alla Georgia, fatto al Vertice del 2008 a Bucarest, per integrarsi nell’organizzazione sottoscrivendo il Piano d’Azione per l’Adesione. A settembre dello stesso anno, Stati Uniti e Ucraina pubblicano una dichiarazione congiunta sulla loro partnership strategica, sostenendo le aspirazioni euro-atlantiche del paese dell’Europa orientale, denunciando l’annessione della Crimea e ribadendo l’impegno congiunto alla difesa della sovranità ucraina. L’occupazione del Donbass, in risposta al referendum del 2014 per l’indipendenza di Donetsk e Lugansk, alla difesa dei diritti della popolazione russofila e alla pressione militare ai suoi confini, ha aperto una guerra cronica tra la NATO e la Russia. Biden immaginava di vincerla rapidamente con il sostegno militare all’Ucraina, il blocco finanziario, commerciale e diplomatico e la pressione per il ritiro delle imprese straniere dalla Russia. Se la guerra ha nuovamente posto l’Unione Europea sotto stretto comando degli Stati Uniti e ha invertito la costruzione dello spazio geoeconomico tra Russia e Unione Europea, ha approfondito la biforcazione geopolitica nel sistema mondiale portando al fallimento del tentativo di isolare la Russia nei piani finanziario, commerciale, militare e diplomatico. La Russia ha espanso i suoi legami commerciali, politici e militari in Asia, evidenziando il suo legame con India, Cina e Iran. I BRICS hanno ricevuto l’adesione di nuovi membri, con l’ingresso dell’Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran, Etiopia, Egitto, rimanendo in sospeso la partecipazione dell’Argentina con la vittoria di Javier Milei. L’ampliamento dell’economia politica delle sanzioni, a causa della minaccia che rappresenta per la sicurezza nazionale, ha portato i BRICS e i paesi che intendono aderirvi alla ricerca di alternative al dollaro come mezzo di scambio, riserva di valore e unità di conto.

Biden non ha neanche invertito le restrizioni commerciali e finanziarie alla Cina: le ha mantenute e ampliate, estendendole a Hong Kong e Macao, con focus sulle tecnologie sensibili, limitando o vietando investimenti in microelettronica, chip di tecnologia avanzata, intelligenza artificiale e tecnologia quantistica. La ripresa della politica estera di coalizione, attraverso il rafforzamento della NATO e la sua proiezione nello spazio asiatico a partire dalla ridefinizione del concetto strategico, non è stata in grado di rilanciare il progetto egemonico degli Stati Uniti, sempre più incapaci di presentare i loro interessi particolari come generali. Le guerre in Ucraina e tra Israele e Hamas rivelano ancora che gli Stati Uniti non riescono nemmeno a imporsi come potenza dominante globale, per far prevalere la loro volontà unilateralmente o attraverso coalizione. Quasi due anni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, la NATO non è riuscita a espellere la Russia dal Donbass o dalla Crimea. Più di due mesi dopo che Netanyahu ha dichiarato una guerra di sterminio contro Hamas e ordinato l’evacuazione della città di Gaza entro 24 ore, supportato da una scorta di portaerei statunitensi, Israele non ha intrapreso l’occupazione territoriale del nord di Gaza contro una forza militare precaria3, proprio per l’incapacità di calcolare le conseguenze sistemiche di questa decisione, a causa della crescente biforcazione e dei corrispondenti allineamenti geopolitici. Non appena, nell’agosto 2023, i BRICS hanno annunciato l’invito all’ingresso di potenze petrolifere come Arabia Saudita, Emirati Arabi e Iran, la caduta del governo Maduro attraverso il blocco o l’invasione ha ceduto il passo alla negoziazione per flettere le sanzioni dirette alla produzione e esportazione di petrolio del paese in cambio della realizzazione di elezioni competitive nel 2024.

Nel Sahel, gli Stati Uniti assistono impotenti a un insieme di colpi di stato militari, pro russi, anti-statunitensi e antifrancesi. Tutto indica che stiamo entrando in una lunga situazione di pareggio catastrofico, dove la struttura di potere dell’imperialismo anglosassone non riesce più a reggere la possibilità di stabilire un ordine globale, e nemmeno la struttura di potere emergente, ancora incipiente, ha forza, sviluppo e organicità sufficienti per sostituire ampiamente le declinanti, che ancora possiedono forza considerevole e ampiezza per limitare e restringere, ma sempre meno per determinare o dirigere.

Kondrat’ev recessivo, deindustrializzazione e crisi politica

La transizione dall’imperialismo informale all’imperialismo tout-court pone la politica estera statunitense in una certa impasse. Mentre falchi neoconservatori come Lindsey Graham, Mike Pompeo e John Bolton sostengono l’ampliamento del bilancio militare per mantenere lo sforzo bellico in Ucraina, sostenere l’occupazione terrestre di Israele a Gaza e ampliare lo scontro con l’Iran, a cui attribuiscono l’attacco di Hamas; Biden e l’oligarchia liberale dominante nel Partito Democratico scartano un intervento militare in Iran, il congelamento del fondo di 6 miliardi di dollari per l’aiuto umanitario al paese, e l’ampliamento delle sanzioni agli acquirenti di petrolio iraniano come la Cina per impedirne la vendita. Nonostante sostenga il “diritto di risposta” di Israele all’azione di Hamas, Biden ha agito per moderare le azioni di Netanyahu ed evitare un genocidio dalle proporzioni gigantesche a Gaza. Tra i repubblicani che hanno bloccato al Senato l’aiuto militare di 111 miliardi di dollari all’Ucraina e a Israele, c’è il gruppo che accetta in teoria l’assistenza, ma la condiziona all’approvazione delle loro agende specifiche come l’aumento delle risorse per combattere l’immigrazione. C’è anche chi la rifiuta considerandola una spesa eccessiva, rivendicando il liberalismo economico e un certo grado di isolazionismo di fronte all’entità del debito pubblico. Trump e De Sanctis, governatore della Florida, candidati alle primarie repubblicane, si collocano ambiguamente e convenientemente tra entrambi, manovrando senza definirsi chiaramente. Nikki Haley, prima donna a governare la Carolina del Sud, si iscrive nel primo gruppo, dando priorità all’assistenza rispetto alle agende fiscali del Tea Party. La crescita del debito pubblico ha portato a conflitti crescenti tra il Congresso e il Potere Esecutivo, con crisi politiche e istituzionali per gestire la richiesta della Casa Bianca di aumento del tetto del debito nel 2011, 2013, 2021 e 2023. I sondaggi d’opinione indicano, tra l’elettorato repubblicano, la crescita di coloro che considerano gli Stati Uniti troppo coinvolti nel conflitto ucraino. Questi rappresentavano il 48% di quel pubblico a dicembre 2023.

La crisi dell’imperialismo informale si associa alla crisi dello standard neoliberale e al rallentamento dell’economia mondiale, rendendo molto probabile la transizione da un’onda lunga espansiva tra il 1994 e il 2015 a un’altra recessiva. Questa inizia nei centri dell’imperialismo occidentale nel 2008 e si estende all’insieme del sistema mondiale a partire dal 2015, quando i tassi di crescita economica in Cina si sono ridotti significativamente. L’ingresso in un Kondrat’ev recessivo negli Stati Uniti è evidenziato dalla caduta del tasso di crescita del PIL pro capite, anche se non si manifesta ancora nella caduta del tasso di profitto nel paese. Ciò avviene perché l’aumento del tasso di profitto tra il 2008 e il 2011, dall’8,9% al 12,7%, o tra il 2019 e il 2021, dal 12,7% al 16,2%, è dovuto a un insieme di fattori: i colossali trasferimenti di plusvalore dallo Stato alle corporazioni non finanziarie espresse nel forte aumento del debito pubblico, la riduzione del valore aggiunto del prodotto di queste corporazioni e la caduta del tasso di investimento nazionale che riducono la massa di capitale da valorizzare nel settore produttivo. Il debito pubblico è salito dal 67,5% al 95,5% del PIL, dal 2008 al 2011, e dal 107% al 125%, dal 2019 al 2021; il tasso di investimento è sceso dal 19% al 17,8% del PIL negli intervalli 1994-2007 e 2008-2021; e il valore aggiunto del prodotto di queste corporazioni è cresciuto del 5,6% annuo durante il 1994-2000, del 6,2% annuo nel periodo 2001-2007, del 3,2% annuo nel 2008-2018 e del 2,5% annuo nel 2019-2021 (THE WHITE HOUSE, 2023). Tale scenario indica la crescita del parassitismo e dell’indebitamento dell’economia degli Stati Uniti.

I tentativi di dare impulso alla reindustrializzazione degli Stati Uniti sembrano fallire sia con Trump sia con Biden. Il peso della manifattura è sceso dal 18,1% all’11,2% del PIL tra il 1997 e il 2016 e da allora al 10,7% nel 2021, mentre quello del settore finanziario è salito dal 18,8% al 21% del PIL, isolandosi come il segmento privato più importante del PIL statunitense (THE WHITE HOUSE, 2023). Il progetto di Biden per favorire l’investimento produttivo nazionale andava oltre l’induzione attraverso l’aumento delle tariffe doganali, dove si era concentrato Trump, implicando un forte programma di finanziamento pubblico attraverso l’aumento delle tasse sulle corporazioni e sulla ricchezza e la riduzione dei prezzi dei farmaci. Si trattava di realizzarlo senza ampliare il debito pubblico. Il Build Back Better dava priorità all’infrastruttura, alla generazione di posti di lavoro, ai servizi pubblici e alle tecnologie pulite. Prevedeva inizialmente spese per 3,5 trilioni di dollari e si sosteneva sull’aumento delle tasse sulle corporazioni e sul reddito lordo dei più ricchi, sulla riduzione dei prezzi dei farmaci coperti dal Medicare e sulle lacune fiscali che favoriscono i più ricchi in questo programma. Tuttavia, il progetto è stato ridotto alla Camera dei Rappresentanti a 2,2 trilioni di dollari e successivamente a 1,5 trilioni di dollari, e infine trasformato in Inflation Reduction Act al Senato e limitato a 739 miliardi di dollari, dei quali solo 433 saranno convertiti in investimento, equivalenti a circa l’1,7% del PIL.

La finanziarizzazione, la delocalizzazione produttiva, la deindustrializzazione e il parassitismo contribuiscono decisamente alla precarizzazione del lavoro e all’estensione del super-sfruttamento della forza lavoro negli Stati Uniti. Secondo il World Inequality Database la quota dell’1% più ricco nel PIL nordamericano è salita dal 10,4% al 18,7% tra il 1980 e il 2016, raggiungendo il 20,9% nel 2022. La quota del 50% più povero è diminuita dal 19,3% nel 1980 al 12,4% nel 2016 e al 9,8% nel 2022. Tale contesto si è accompagnato a una grande diminuzione nel tasso di sindacalizzazione dei lavoratori aprendo lo spazio all’azione del fascismo. L’US Bureau of Labour Statistics ha indicato una caduta nel tasso di sindacalizzazione dal 20,1% al 10,1% tra il 1983 e il 2022; essa è più accentuata tra gli uomini, dove è crollata dal 24,7% al 10,5% nello stesso periodo (US BUREAU OF LABOUR STATISTICS, 2023).

La caduta del tasso di approvazione di Biden dal 55%, all’inizio del suo mandato, al 40% a dicembre 2023, l’incapacità di vincere le resistenze al Congresso per stabilire un programma neo-sviluppista, il rifiuto di questa alternativa da parte del grande capitale statunitense, il fallimento della politica estera di contenimento della Cina e della Russia, l’incapacità di risolvere il conflitto a Gaza, e la forza di Trump presso il Potere Giudiziario per bloccare i tentativi di punirlo per malversazione e tentativo di colpo di stato accentuano la crisi della democrazia statunitense.

Tale contesto ci porta a prevedere un’elezione combattuta tra un liberalismo democratico in declino e il neofascismo emergente nel 2024.

Riferimenti bibliografici

BUREAU OF ECONOMIC ANALYSIS. Strumenti di Dati. Washington D.C.: 2023. Disponibile su https://www.bea.gov/tools. Accesso il 10 dicembre 2023.

DEPARTMENT OF TREASURY. Ufficio controllo degli asset esteri. Washington D.C.: 2023. Disponibile su https://ofac.treasury.gov. Accesso l’11 dicembre 2023.

OTAN. Concetto Strategico NATO 2022. Madrid: OTAN, 2022. Disponibile su https://www.nato.int/strategic-concept. Accesso il 10 dicembre 2023.

REINBOLD, Brian e WEN, Wi (2019) Deficit Commerciali Storici degli Stati Uniti. Washington D.C.: Economic Research Federal Bank di St. Louis, 2019. Disponibile su https://research.stlouisfed.org/publications/economic-synopses/2019/05/17/historical-u-s-trade-deficits. Accesso il 13 dicembre 2023.

REUTERS/IPSOS. “Il 53% degli Americani disapprova il presidente”. 5 dicembre 2023. Disponibile su https://www.reuters.com/graphics/USA-BIDEN/POLL/nmopagnqapa. Accesso il 16 dicembre 2023.

SIPRI. Database delle spese militari del SIPRI. SIPRI: Stoccolma, 2023. Disponibile su https://www.sipri.org/databases/milex. Accesso il 7 dicembre 2023.

THE WHITE HOUSE. Rapporto Economico del Presidente, 2023. Washington D.C.: Government Printing Office, 2023. Disponibile su https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2023/03/ERP-2023.pdf. Accesso il 15 dicembre 2023.

THE WHITE HOUSE. Rapporto Economico del Presidente, 2013. Washington D.C.: Government Printing Office, 2013. Disponibile su https://www.govinfo.gov/content/pkg/ERP-2013/pdf/ERP-2013.pdf. Accesso il 15 dicembre 2023.

US BUREAU OF LABOUR STATISTICS (2023) “Il tasso di appartenenza ai sindacati è sceso dello 0,2% al 10,1% nel 2022”. Washington D.C.: US Bureau of Labour Statistics, 2023. Disponibile su https://www.bls.gov/opub/ted/2023. Accesso nel 2023.

WIPI Indicatori di Proprietà Intellettuale Mondiali 2023. Ginevra: Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, 2023. Disponibile su https://www.wipo.int/edocs/pubdocs/en/wipo-pub-941-2023-en-world-intellectual-property-indicators-2023.pdf. Accesso il 10 dicembre 2023.

WORLD INEQUALITY DATABASE. Disuguaglianza di Reddito USA 1820-2022. Parigi: Scuola di Economia di Parigi. Disponibile su https://wid.world/country/usa. Accesso il 12 dicembre 2023.

Note:

1 Carlos Eduardo Martins, Ph.D. in Sociologia presso l’Università di São Paulo (USP), professore di Sociologia e Scienze Politiche all’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ), condirettore della rivista «Recortes de la conjuntura mundial» (Prospettive economiche mondiali), che ospita gli studi e ricerche del Laboratório de Estudios sobre Hegemonia y Contrahegemonia de la UFRJ. I suoi interessi di ricerca includono l’economia globale, lo sviluppo sostenibile, l’America Latina, la dipendenza e la globalizzazione.

2 Il tentativo di sponsorizzare l’invasione del Venezuela e rovesciare il governo di Nicolás Maduro, menzionato nel contesto delle azioni del Gruppo di Lima, si intreccia con la complessa situazione umanitaria che il paese ha affrontato, esacerbata in parte dalle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. Queste sanzioni, mirate a esercitare pressione sul governo di Maduro affinché cedesse il potere, hanno avuto ripercussioni significative sull’economia venezuelana, limitando la capacità del paese di importare beni essenziali, tra cui cibo e forniture mediche. Di conseguenza, la necessità di aiuto alimentare è diventata più pressante per ampi settori della popolazione venezuelana. Le misure di assistenza alimentare, presentate come umanitarie, sono state interpretate in alcuni casi come strumentalizzazioni politiche volte a indebolire ulteriormente il governo di Maduro e a guadagnare il favore popolare per l’opposizione supportata da entità esterne, incluso il Gruppo di Lima [NdT].

3 Il testo è stato pubblicato nel dicembre 2023 [NdT].

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