Gli imperialisti occidentali preparano una nuova “rivoluzione colorata” in Georgia

di Giulio Chinappi

da https://giuliochinappi.wordpress.com

La recente tornata elettorale in Georgia, caratterizzata da una netta vittoria del partito filo-russo Sogno Georgiano, ha messo in evidenza le pesanti ingerenze esterne, con l’opposizione filo-occidentale sostenuta dagli Stati Uniti che punta a rovesciare il governo legittimo.

Le elezioni legislative svoltesi il 26 ottobre in Georgia hanno attirato l’attenzione di gran parte degli osservatori internazionali per la loro grande importanza, visto che a fronteggiarsi c’erano il partito Sogno Georgiano (Kotsebi) del Primo Ministro Irak’li K’obakhidze (in foto), considerato come vicino alla Russia, e l’opposizione che fa capo alla Presidente Salome Zourabichvili, nata in Francia e decisamente filo-occidentale.

L’esito delle elezioni ha visto il partito Sogno Georgiano conquistare il primato con il 53,93% delle preferenze e 89 seggi sui 150 che compongono l’emiciclo di Tbilisi, un numero decisamente sufficiente per governare senza il bisogno di stipulare alleanze. La formazione che ha il suo vero leader nel miliardario Bidzina Ivanishvili, ex Primo Ministro tra il 2012 ed il 2013 e fondatore del partito, ha subito la perdita di un solo scranno rispetto alla precedente legislatura, un risultato notevole vista la macchina propagandistica messa in piedi dai media occidentali e dall’opposizione interna per delegittimare il governo in carica.

Tra gli altri partiti, al secondo posto troviamo gli europeisti della Coalizione per il Cambiamento, che hanno ottenuto ll’11,04% delle preferenze, eleggendo 19 rappresentanti, seguiti a ruota dal partito Unità – Movimento Nazionale, anch’esso su posizioni filo-occidentali, che si ferma al 10,17% delle preferenze con 16 parlamentari eletti, in netto calo rispetto ai 39 della precedente legislatura. Altre due formazioni politiche sono riuscite a superare la soglia di sbarramento, fissata al 5%, e ad entrare in parlamento: si tratta di Georgia Forte (8,81%) con 14 seggi e di Gakharia per la Georgia (7,77%), il nuovo partito fondato dall’ex Primo Ministro Giorgi Gakharia, che alla sua prima partecipazione elettorale ha ottenuto 12 seggi.

Commentando i risultati delle elezioni, il Primo Ministro Irak’li K’obakhidze ha osservato che il governo presenterà un programma quadriennale aggiornato al parlamento entro circa un mese, basato sulla piattaforma elettorale del partito: “Entro quattro anni, dobbiamo elevare il nostro paese a un livello di sviluppo significativamente più alto, per il quale sono già in atto tutte le basi necessarie“, ha affermato K’obakhidze. Gli obiettivi principali includono il raggiungimento di una crescita economica di almeno 48 miliardi di dollari.

Tuttavia, la vittoria del partito Sogno Georgiano è stata infangata dalla propaganda delle forze filo-occidentali, che hanno accusato il governo di irregolarità nel corso delle operazioni di voto, in quello schema ormai consolidato che vede i governi occidentali e le forze da essi sostenute accettare il risultato delle elezioni solamente quando questi riflettono i propri desiderata. A prestarsi a questo gioco è stata addirittura la Presidente Zourabichvili, che, violando la neutralità che dovrebbe essere propria della sua posizione, ha accusato la Russia di ingerenze nelle elezioni georgiane, accuse prontamente respinte da Mosca.

Un gran numero di forze provenienti dai paesi europei e varie istituzioni europee hanno tentato di influenzare l’esito del voto. Nessuno lo ha nemmeno nascosto, dato che ci sono state dichiarazioni pubbliche. […] Al contrario, noi non interferiamo negli affari interni della Georgia e non abbiamo intenzione di farlo“, ha risposto Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino. “Respingiamo fermamente tali accuse“, ha proseguito il funzionario russo. “È diventato comune per molti paesi affrettarsi ad accusare la Russia di interferenza in ogni occasione. Tuttavia, ciò non è vero; non c’è stata alcuna interferenza e queste accuse sono completamente infondate“, ha sottolineato ancora Peskov.

Al contrario di quanto affermato dalla Presidente Zourabichvili, ad effettuare numerose ingerenze nella politica georgiana negli ultimi anni sono sempre stati gli imperialisti occidentali, come dimostra la “rivoluzione delle rose” del 2003, un esempio di “rivoluzione colorata” che ha preceduto la “rivoluzione arancione” del 2004 in Ucraina. “L’Occidente sta già finanziando l’opposizione per provocare disordini in Georgia, prima di tutto a Tbilisi, a partire da oggi. L’Occidente non risparmierà sforzi né risorse per farlo“, ha affermato Viktor Volodackij, vicepresidente della commissione per gli affari della CSI, l’integrazione eurasiatica e le relazioni con i compatrioti della Duma di Stato russa, la camera bassa del parlamento di Mosca. “Se il governo e il popolo della Georgia resistono a queste provocazioni, non ci saranno gravi conseguenze. Se tutti coloro che votano oggi per sé stessi, le loro famiglie, la sovranità restano a casa, si verificherà ciò che abbiamo visto in Ucraina”, ha affermato ancora Volodackij, facendo riferimento alle rivolte dell’Euromaidan del 2013-2014 a Kiev. “Vedremo e sentiremo nei media occidentali la retorica secondo cui le elezioni sono state truccate e che l’opposizione le ha vinte, cioè formeranno l’opinione pubblica in vista di ciò che accadrà in Georgia“, ha osservato ancora il parlamentare.

Certamente, l’esito delle elezioni georgiane favorirà la prosecuzione della collaborazione tra Tbilisi e Mosca, mettendo dunque i bastoni tra le ruote ai piani di Washington di usare la Georgia con il fine di destabilizzare la regione del Caucaso meridionale, ai confini con la Russia, come avvenuto ad esempio nel 2008, quando la Georgia invase l’Ossezia del Sud su ordine degli Stati Uniti, come ammesso dallo stesso Primo Ministro Irak’li K’obakhidze. Ricordiamo che l’attuale governo georgiano si è opposto alle sanzioni contro la Russia imposte da Stati Uniti ed Unione Europea, e negli ultimi due anni ha tratto grandi benefici economici dalle relazioni con la Russia.

Questo, tuttavia, non può giustificare le azioni ostili intraprese dalle potenze occidentali contro la Georgia ed il suo attuale governo, che gode di ampia legittimità grazie al forte consenso elettorale. Ad esempio, l’11 luglio 2024, la Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti ha approvato il MEGOBARI Act (Mobilizing and Enhancing Georgia’s Options for Building Accountability, Resilience, and Independence Act). Promosso dal deputato repubblicano Joe Wilson, il provvedimento, il cui nome significa “amico” in georgiano, esso affronta “questioni di democrazia e diritti umani in Georgia” ed enfatizza “l’impegno degli Stati Uniti a sostenere i valori democratici, i diritti umani e lo stato di diritto” in Georgia.

Secondo gli Stati Uniti, a legge risponde al recente “regresso democratico” invocando una maggiore sorveglianza sulle azioni del governo georgiano, in particolare sui suoi legami con la Russia e altri regimi autoritari. Per garantire la trasparenza, il MEGOBARI Act richiede vari rapporti su questioni come “pratiche corrotte che supportano interessi russi e eludono le sanzioni, attività di intelligence russe e potenziale cooperazione cinese“. Esso include anche sanzioni e divieti di viaggio per “individui che minano la democrazia georgiana“.

Naturalmente, il MEGOBARI Act non ha nessuna base giuridica, trattandosi di una legge che riguarda un altro paese sovrano, nel quale gli Stati Uniti non hanno nessuna giurisdizione. Inoltre, esso si inserisce nella solita retorica sui “diritti umani” sfoderata da Washington a propria convenienza per attaccare governi percepiti come ostili o non asserviti ai dettami degli imperialisti nordamericani. A tal proposito, il partito di governo Sogno Georgiano ha rilasciato una dichiarazione affermando che il MEGOBARI Act rappresentava un “ricatto e una intimidazione” contro la politica indipendente della Georgia, e ha respinto la possibilità di aderire al MEGOBARI Act, affermando che “non intendiamo negoziare sulla sovranità e sicurezza del nostro paese, e nessun ricatto può costringerci ad andare contro il nostro paese“.

In risposta, lo scorso 16 settembre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato restrizioni sui visti per 60 “funzionari del governo georgiano e altri che hanno minato la democrazia e i diritti umani del popolo georgiano“. In risposta, il Primo Ministro georgiano Irak’li K’obakhidze ha definito le sanzioni agli ufficiali georgiani “un insulto allo stato georgiano”. Successivamente, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni anche contro Bidzina Ivanishvili, il fondatore del partito di governo Sogno Georgiano, che, secondo Washington, avrebbe contribuito ad approfondire i legami con oligarchi russi e ha lavorato per aumentare l’influenza della Russia nel mercato georgiano.

Alla luce degli elementi esposti, risulta evidente come siano gli Stati Uniti, e non la Russia, a interferire pesantemente nella politica interna della Georgia, destabilizzando il governo democraticamente eletto e cercando di imporre un’agenda che favorisca i propri interessi geopolitici. Nonostante le accuse dell’Occidente contro Mosca, sono infatti le azioni statunitensi come il MEGOBARI Act e le sanzioni mirate a fomentare divisioni interne e a mettere pressione sull’esecutivo di Tbilisi. L’interferenza costante e il sostegno a gruppi dell’opposizione, in linea con il modello delle “rivoluzioni colorate” già viste in altre nazioni ex-sovietiche, rischiano di accendere ulteriori tensioni in Georgia e alimentare un cambiamento forzato al vertice del potere.

Le azioni di Washington sembrano, in definitiva, mirare a minare la sovranità georgiana, spingendo il paese verso un’alleanza forzata con l’Occidente e allontanandolo dalla cooperazione economica con la Russia, anche a costo di sacrificare la stabilità interna. Questo approccio non fa altro che esporre la Georgia a una pressione esterna che potrebbe compromettere il proprio percorso di sviluppo autonomo e indipendente, trasformandola in una pedina nelle strategie di potere degli Stati Uniti nella regione del Caucaso meridionale.

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