Geopolitica e processo storico

di Roberto Gabriele

Riportare indietro la ruota della storia non è possibile. Da comunisti bisogna invece saperla interpretare, usando il materialismo come strumento di analisi dei passaggi epocali e del carattere delle contraddizioni.

Il dibattito e lo scontro politico innestato dalla guerra in Ucraina non registra solo la divisone tra chi dichiara l’intervento russo inammissibile e chi, come noi, interpreta i fatti come conseguenza di una lunga azione provocatoria e avventurista della NATO contro il diritto alla sicurezza della Russia. Al fondo della questione emerge anche una diversa interpretazione del ruolo che Russia e Cina giocano oggi rispetto a tutta la situazione mondiale, ai processi di trasformazione sociale che emergono nei vari continenti e ai rapporti di forza tra una realtà che spinge al multipolarismo contro la volontà americana di mantenere a tutti i costi l’egemonia. C’è una precisa corrispondenza tra la condanna dell’intervento russo e il modo con cui si interpreta il ruolo di Russia e Cina oggi, sia in senso geopolitico, sia come punto di arrivo della loro storia interna che, è bene ricordarlo, parte da due grandi rivoluzioni comuniste. Rispetto alla battaglia di verità da condurre non c’è dunque solo la necessità di denunciare le responsabilità della NATO, ma anche quella di interpretare correttamente, dal punto di vista geopolitico e da quello storico-teorico, il ruolo di due grandi paesi che vengono rispettivamente dalla rivoluzione d’ottobre e dalla lunga marcia e che oggi sono antagonisti all’egemonismo del blocco occidentale.

Partiamo intanto dalla questione geopolitica. Dopo il crollo dell’Unione sovietica l’imperialismo occidentale a guida americana ha creduto che si potesse aprire una prateria all’espansione dei suoi interessi e del suo potere politico e militare nel mondo. Con gli sviluppi della guerra cosiddetta ‘infinita’ contro una serie di paesi che riteneva non sufficientemente proni, questa prospettiva si è però dimostrata ben presto illusoria. Gli USA in realtà sono stati sconfitti e il loro progetto ha cominciato a vacillare. Afghanistan, Iraq, Siria, Libano, la Libia stessa, il Sahel per la Francia, il Venezuela, lo sviluppo delle relazioni di Cina e Russia con una serie di paesi dell’Africa e dell’America latina, e quello dei cinesi nel Pacifico, hanno messo in crisi l’impero americano e la sua egemonia nel mondo.

E’ solo allora che gli USA si sono resi conto che la questione della loro continuità imperiale non poteva essere risolta caso per caso e su una scacchiera frantumata e periferica, perchè la vera ragione della crisi stava altrove. E stava appunto nel fatto che dietro le sconfitte c’era l’avanzata di Russia e Cina nello sviluppo delle relazioni politiche, militari ed economiche che permettevano a una serie di paesi controllati dall’imperialismo occidentale di creare un’alternativa. La vicenda della Siria è stata, dal punto di vista strategico esemplare e dirompente. A questo punto gli USA hanno voltato pagina e, con Biden e i ‘democratici’, sono andati sempre più esplicitamente al nocciolo della questione, affrontando direttamente la Russia e la Cina. Agli osservatori attenti non sarà sfuggito infatti che dopo gli esiti della guerra che si pretendeva diretta contro il ‘terrorismo islamico’, l’interesse degli americani, che sotto traccia non era mai venuto meno, si è spostato esplicitamente su Cina e Russia, con la meticolosa fabbricazione tra l’altro di una nuova immagine del nemico da dare in pasto all’opinione pubblica. In Europa questo è avvenuto con l’estensione della NATO fino a inglobare di fatto e armare pesantemente l’Ucraina, mentre nel Pacifico il patto militare con Giappone e Australia mirava a un’operazione analoga per minacciare direttamente la Cina. Nonostante le intimidazioni aperte nel Donbass e nel Mar Nero e i tentativi posti in atto in Bielorussia e a Hong Kong, questa strategia non puntava verosimilmente a scontri armati nel breve periodo, ma a recuperare una superiorità militare americana per rovesciare nel tempo i rapporti di forza, visto anche che l’utilizzo del fronte interno per indebolire la resistenza dei governi non aveva funzionato.

E’ singolare che a molti ‘antimperialisti’ sia sfuggita una realtà che in questi anni ha permesso a molti paesi in vari continenti di aprirsi un varco nelle maglie del controllo imperialista a stelle e strisce ed essi si siano concentrati invece solo sulla questione di chi sia l’aggressore e chi l’aggredito in Ucraina, senza considerare la storia di questi decenni e il quadro generale.

Quando si apre una discussione sulla guerra in Ucraina bisogna invece mettere in evidenza la vera posta in gioco e capire perchè il blocco atlantista fa muro contro la reazione della Russia. La sconfitta in Ucraina rimetterebbe in gioco tutta la strategia dell’accerchiamento e aprirebbe altro spazio a un mondo multipolare.

La questione che si pone ai comunisti non è però solo quella di dare una chiave interpretativa corretta nella vicenda della guerra che si sta svolgendo in Europa. Di fronte abbiamo anche due questioni che, una volta rifiutate – e duramente – le tesi oggi in voga dello ‘scontro tra imperialismi’, ci portano a chiederci che cosa sono e che cosa rappresentano la Russia e la Cina dopo il big bang degli anni ’90 del secolo scorso, e da dove parte l’antagonismo di oggi del blocco occidentale contro di esse .

Per quanto riguarda la Cina, la prospettiva è delineata dalla politica del partito comunista basata sul “socialismo con caratteristiche cinesi”. Una prospettiva che ha reso questo grande paese capace di una enorme crescita economica, tecnologica e scientifica che, da questo punto di vista, minaccia l’egemonia americana. Aldilà della discussione su come questo passaggio storico è avvenuto e della sua rapidità, rimane il fatto che l’imperialismo occidentale si ritrova di nuovo di fronte allo spettro del comunismo, nonostante il crollo dell’URSS. Ma anche questo crollo, come lo scontro con la Russia dimostra, non ha portato alla chiusura della partita iniziata con la rivoluzione d’ottobre. Se è vero infatti che i processi che hanno caratterizzato l’URSS a partire dal 1956 ne hanno determinato la dissoluzione, essi hanno però anche posto nuovamente all’ordine del giorno il problema del futuro di questo enorme paese che gli americani vorrebbero fare a pezzi e inglobare nel loro sistema economico e politico. Con Putin l’operazione non è riuscita, almeno da questo punto di vista, e sullo sviluppo futuro della Russia si aprono nuovi scenari. La storia di un paese non si può riportare indietro e quella russa è una grande storia, che non può essere facilmente omologata dalla ‘civiltà’ americana. La partita è ancora aperta.

Gli USA non si sono però arresi e insistono a riproporre la guerra come soluzione delle contraddizioni. Ma in quali condizioni avviene questo rilancio imperialista? La risposta a questo interrogativo è il punto di partenza di una analisi concreta che i comunisti devono proporre nella discussione, anche per battere le tendenze allo schematismo e al recupero di vecchie tesi trotskiste sulla ‘rivoluzione’ mondiale.

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