Rompere le catene dell’euro, dell’Unione Europea e della NATO

noeu greciadi Fausto Sorini, segreteria nazionale PCdI, responsabile esteri

In questo scorcio di maggio stanno venendo al pettine i nodi irrisolti dell’eurozona e dell’Unione Europea. Ed è questo anche il segnale che, sia pure in modi diversi e diversamente orientati, si è manifestato nel voto e/o nel posizionamento di diversi popoli del continente, come quello spagnolo, polacco, greco, britannico. 

Auguriamoci che questo sia anche il segnale che verrà dal voto italiano di domenica prossima, in primo luogo con l’affermazione dei candidati più conseguenti con tale orientamento presenti nelle liste progressiste, comuniste e di sinistra sostenute dal nostro partito.

Primo fra tutti, sta venendo al pettine il nodo greco. 

La Grecia, che Mario Monti considerava “il più grande successo dell’euro”, evidenzia una realtà che ormai solo chi sia in malafede o completamente disinformato può negare: la gabbia dell’eurozona ha fortemente indebolito la sua economia, provocando un drastico peggioramento della bilancia commerciale e un aumento del debito (privato e pubblico);

le politiche di austerity imposte in cambio di ulteriori prestiti – che in realtà sono serviti a mettere in sicurezza, trasformandoli in crediti degli Stati dell’eurozona e del Fmi, i crediti delle banche tedesche e francesi – hanno peggiorato ulteriormente la situazione, con il risultato di far perdere alla Grecia il 26% del prodotto interno lordo, milioni di posti di lavoro e parte significativa della capacità industriale. E il debito è più alto di prima, e – come e più di prima – non ripagabile.

Rispetto a questa atroce evidenza l’establishment euro-atlantico non intende arretrare, e cerca di imporre alla Grecia un ulteriore ridimensionamento dei diritti di lavoratori e pensionati: anche se fino ad ora non è riuscito a piegare e umiliare il governo greco, sostenuto tuttora dalla gran parte dei cittadini di quel paese. Esso è attraversato da un aspro dibattito che ci auguriamo possa concludersi senza capitolazioni ai ricatti dell’Ue e della Nato: perchè questo aprirebbe la strada ad una drammatica disillusione per tutti i popoli europei e, innanzitutto in Grecia, ad una pericolosa controffensiva reazionaria e fascistoide che è già in gestazione.

Questa è la situazione. Che ormai rende concretamente possibile l’uscita della Grecia dall’eurozona. Rispetto a questa eventualità l’establishment euro-atlantico (e in particolare quello tedesco, che in tutta evidenza dirige il processo) è diviso: una parte è preoccupata per le conseguenze “imprevedibili” di tale eventualità (ma non è disponibile a cancellare nemmeno parzialmente l’insostenibile debito della Grecia), un’altra parte sembra accarezzare l’idea di una “punizione esemplare” alla Grecia, per mettere in riga gli altri paesi europei in difficoltà (primo tra tutti l’Italia) mostrando loro le presunte terribili conseguenze di un’uscita dall’eurozona. Il 25 maggio Paul Krugman ha messo in guardia costoro facendo presente che si tratta di un gioco pericoloso: per il semplice motivo che una Grecia uscita dall’eurozona potrebbe dimostrare ai suoi aguzzini esattamente il contrario di quanto essi sperano. Ossia che “c’è vita oltre l’euro”, e oltre i confini dell’Unione europea e della Nato. E che un altro mondo è possibile, nella cooperazione coi BRICS e con una vasta area di Paesi non allineati. E più precisamente che, venuta meno la gabbia valutaria e ripristinati rapporti di cambio di mercato, l’economia greca potrebbe riprendersi senza dover ricorrere ai tagli drastici a salari e stipendi che sono stati operati in questi anni (che affossano la domanda interna e quindi risultano controproducenti).

Tra coloro i quali sono preoccupati per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti ci sono gli Stati Uniti, il cui atteggiamento evidenzia con chiarezza il rapporto che c’è tra l’Unione Europea, l’eurozona e il Patto Atlantico. Ed è appena il caso di ricordare che a questo Patto militare imperialista, fonte di guerre dirette e per procura, e di permanente instabilità internazionale, si vuole ora affiancare un trattato di libero scambio che rafforzerebbe i legami euro-atlantici proprio in un momento in cui il capitalismo europeo e statunitense sono in gravi difficoltà, e proprio in un momento in cui nel mondo emergono altri interlocutori e altre realtà politiche ed economiche a cui aprirsi.

I popoli europei stanno esprimendo, in forme diverse e non sempre univocamente progressive, un messaggio comunque chiaro nella sua sostanza: l’Unione Europea e l’Unione Economica e Monetaria (l’Eurozona) non sono più considerate fonti di progresso economico e sociale. Le logiche che presiedono a esse sono sempre più chiaramente antidemocratiche, sempre più evidente è la supremazia della Banca Centrale Europea sui governi democraticamente eletti e sugli stessi valori costituzionali che i paesi membri si sono dati, sempre più netta è l’iniquità delle politiche che vengono perseguite in nome del feticcio della “stabilità dei prezzi”, a beneficio dei grandi potentati economici e finanziari e a discapito della stragrande maggioranza della popolazione europea.

Non si può morire per Maastricht, non ci si può arrendere alla disoccupazione di massa e a un declino industriale e produttivo che ha tra le sue radici l’assunzione dei valori liberisti e monetaristi dei Trattati Europei e la loro sostituzione di fatto (mai sottoposta a voto popolare!) ai valori della nostra Costituzione.

È giunto il momento di dire con chiarezza che il conflitto tra i diritti riconosciuti dalla nostra Costituzione e gli pseudo-valori che informano i trattati europei, incentrati sull’assoluta preminenza del mercato in ogni campo, deve risolversi a favore dei primi.

È giunto il momento di dire che oggi chiedere “più Europa” significa rafforzare questa Europa antidemocratica, reazionaria e atlantica.

È giunto il momento di dire che questa unione monetaria non rappresenta un passo avanti verso l’Europa dei popoli ma precisamente il contrario: è un meccanismo che accentua le gerarchie economiche in Europa, che rafforza i forti e indebolisce i deboli, che mette i popoli l’uno contro l’altro e porta alla messa in discussione anche di valori di civiltà civile e sociale che credevamo irreversibili. Precisamente come accade negli anni Trenta, in cui il gold standard, un altro meccanismo di cambi fissi, portò alla deflazione e aprì la porta al nazismo e alla seconda guerra mondiale.

È giunto il momento di rompere il tabù di una moneta che è diventato feticcio e strumento permanente di ricatto sociale.

È giunto il momento di appoggiare tutti coloro i quali, in Europa e a partire dalla Grecia, contrappongono di fatto a questa ideologia di carta moneta la centralità dei valori del lavoro e del progresso sociale, verso una società migliore di quella che decenni di pensiero unico e di dominio incontrastato delle classi dominanti e dei partiti che le rappresentano ci hanno imposto.

La conclusione è semplice e netta: nessun progresso sociale e nessuna politica di cooperazione e di pace con altre regioni del mondo è possibile se non si rompono le catene di questa gabbia neo-imperialista rappresentata dall’Unione europea, dall’euro e dalla Nato.