Riforma del MES. Quali pericoli per il nostro paese?

000547B4 mesRiceviamo e pubblichiamo

di Marcello Spanò

“Ignazio Visco e Gianpaolo Galli, due membri della classe dirigente europeista, segnalano enormi rischi per l’Italia legati alla riforma del meccanismo europeo di stabilità (MES) che nelle intenzioni verrà approvato a dicembre. D’altro canto, l’attuale ministro dell’economia Gualtieri sostiene che non ci sia alcun rischio, e plaude al suo predecessore, Tria, per avere portato avanti il progetto, anche sorvolando su una discussione in parlamento.

Perché queste dichiarazioni di segno opposto da parte di membri di una classe dirigente che in Italia mantiene saldamente il comando ormai da decenni? Che cosa ci dice questo contrasto?

L’unica risposta che riesco a darmi è che in Italia esistono due tipi di persone appartenenti alla stessa classe dirigente: da un lato, coloro che, per quanto da posizioni conservatrici, riescono a vedere i problemi e le criticità e si sentono in dovere di intervenire, trattare, negoziare con i partner europei in nome di quello che loro pensano sia l’interesse nazionale; dall’altro lato, coloro che accettano più o meno acriticamente gran parte di ciò che ci viene calato dall’alto da trattative di cui noi non siamo parte in causa, se non di pura testimonianza.
I primi, spesso, sono figure con un profilo tecnico, che si aggirano tra le istituzioni, abbastanza riparate dal voto. I secondi sono profili più politici ed esposti alla sanzione elettorale.

Il Mes è talmente sfavorevole agli interessi dell’Italia, che anziché essere istituito per salvare un paese e un governo in crisi, come nominalmente è, di fatto si risolve in una trappola da evitare ad ogni costo. Anziché un salvagente, è un pescecane che accorre in caso di naufragio. Oltretutto, incorporerebbe i poteri disciplinanti sui conti pubblici che adesso attengono alla Commissione Europea, quindi sarà in condizioni di interferire sulle scelte di politica economica anche in assenza di un vero e proprio naufragio.

Ma allora perché coloro che si trovano sulla linea frontale della battaglia politica non hanno il coraggio di denunciare i problemi (al punto da evitare una discussione parlamentare) che qualsiasi persona dotata di ragionevolezza e attenzione è in grado di vedere?
Quali pensano che siano le conseguenze del dire pubblicamente la verità?

Io ho il sospetto che Gualtieri oggi, come Tria ieri, rappresentino una politica a cui tremano le ginocchia. Nell’assunzione (non così scontata) che abbiano capito di che cosa si sta parlando, si sentono in dovere di negare che dall’Europa stanno stringendoci il nodo scorsoio intorno al collo, perché queste ammissioni potrebbero portare voti ai cosiddetti sovranisti (qualunque cosa voglia dire – cioè niente, nel nostro panorama politico), potrebbero favorire il voto ai populisti (qualunque cosa voglia dire – cioè ben poco, visto che i populisti stanno tanto al centro quanto a destra, la sinistra non essendo pervenuta). Di conseguenza, non bisogna mai ammettere che esistono problemi, tanto meno riconoscere che l’Italia è in trappola ed è incapace di uscirne (sia per via negoziale che con uno strappo istituzionale).
Non resta che “comunicare” fiducia nella trappola, e rivendicarne la bontà di fronte a coloro che la denunciano dall’attuale opposizione. Questo, per me, significa avere le ginocchia che tremano.

Dal punto di vista strettamente politico, la rinuncia alla libertà di dire le cose come stanno equivale a un’abdicazione, in favore dei tecnici, oggi, o dei temuti barbari, domani. I temuti barbari si stanno nutrendo, giorno dopo giorno, di queste falsità.”