di Federico La Mattina per Marx21.it
Le analisi del voto del “Telegraph”, del “Guardian” e della “BBC” lo confermano: il voto nel Regno Unito è stato caratterizzato da una forte connotazione di classe (ad esclusione in particolar modo della Scozia, per ragioni storico-politiche e indipendentiste). Ad esempio nel distretto operaio di Blaenau Gwent in Galles il “leave” ha vinto con il 62%; storici bastioni del Labour come Wigan, Doncastaer, Barnsley hanno votato per il “leave” e così via. Corbyn ne ha saggiamente preso atto affermando che “milioni di votanti hanno rifiutato un establishment politico che li ha lasciati indietro. Le comunità che sono state colpite molto duramente dai tagli del governo e dal fallimento economico, hanno votato contro lo status quo”. I consistenti settori della sinistra italiana che si dilettano a demonizzare l’elettorato britannico dovrebbero leggere le parole del leader laburista che pure ha affrontato con non troppa voglia la campagna per il “remain” (beninteso, restano attualmente soltanto dichiarazioni e la partita interna al Labour – come quella interna ai Tories – è ancora tutta aperta) [1].
Le grandi città universitarie hanno votato in maggioranza per rimanere ma questo cosa vuol dire? Il voto di uno studente magari delle classi medio-alte vale più del voto della “working class” dei distretti industriali? I pensionati sempre più poveri a causa del neoliberismo non hanno diritto di voto? E’ straniante vedere come una certa sinistra rinunci ad analisi di tipo geografico-sociale in favore del discorso estremamente banalizzante (nonché falso [2]) dello “scontro generazionale”.
Da un’intervista a Lisa McKenzie (ricercatrice della “London School of Economics” che si occupa di povertà e di zone socialmente ed economicamente svantaggiate) emergono valutazioni molto interessanti:
La classe operaia sta usando il referendum come un’opportunità. Per dire: guardate che non vogliamo più che le cose vadano avanti così, vogliamo che le cose cambino. Nel referendum, ovviamente, ci sono solo due opzione. Dentro o fuori. Il referendum non affronta i tanti problemi dei meno fortunati: la povertà, i tagli alla spesa pubblica, la privatizzazione della sanità. Ma nelle zone più degradate del paese si sta parlando di questo. Il referendum europeo viene associato a questi problemi [3].
Non va certamente sempre mitizzato il voto maggioritario della classe operaia: anche quest’ultima può prendere grandi abbagli. Il dramma principale però è che la destra reazionaria – e non soltanto in Gran Bretagna – si è intestata e ha egemonizzato la battaglia per la sovranità nazionale, quasi fosse una questione naturalmente di destra. Si pone il problema della realizzazione della democrazia socialista (nel senso più etimologico del termine) e la possibilità di realizzarla in una dimensione che inizialmente è necessariamente statuale. A chi sostiene che nel XXI secolo sia impossibile fare politica in una dimensione statuale a causa della globalizzazione, farei notare che mentre si parla di “dissoluzione dello stato-nazione”, nascono nuovi Stati e se ne frammentano altri per opera di potenze imperialiste (a loro volta Stati e non entità indefinibili): si pensi alla Jugoslavia o al Medio Oriente dove l’Occidente ha supportato (e supporta) de facto una riformulazione del territorio in chiave etnico-settaria. L’economista marxista Samir Amin fa notare come l’emergere di un sistema di produzione mondializzato non annulli il ruolo degli Stati nazionali (come le analisi di Toni Negri, oggi egemoniche a sinistra sostengono). Non esiste una “borghesia mondializzata” né uno “stato mondializzato” in formazione ma, come scrive Amin:
[…] vi sono soltanto degli stati alleati, che accettano per di più la gerarchia che permette alla loro alleanza di funzionare: la direzione generale è assunta da Washington, quella dell’Europa da Berlino. Lo stato nazionale rimane al suo posto, al servizio della mondializzazione in quanto tale. Si tratta qui di uno stato attivo, perché l’implementazione del neoliberismo e degli interventi esterno lo richiede […]. La globalizzazione capitalistica non potrebbe dispiegarsi senza l’esercito degli Stati Uniti e la gestione del dollaro. Ma, esercito e moneta sono strumenti dello Stato, non del mercato [4].
Bisogna comunque ammettere che tra i commenti immediatamente successivi alla vittoria del “leave”, uno tra i più ragionevoli è venuto da un intellettuale dell’area politica a cui si è fatto riferimento prima. Gigi Roggero su “Commonware” critica infatti molto bene il “razzismo sociale” di una certa sinistra che si è scagliata contro l’elettorato britannico. A mancare è però la pars construens: l’autore conclude dicendo che all’interno di questi scossoni “bisogna organizzare il terremoto” [5]. Non si capisce però come ci possano essere prospettive politiche immediate e realistiche al di fuori della dimensione statuale. Mark Weisbrot, condirettore del “Center for Economic and Policy Research” a Washington, in un’analisi molto lucida del 21 giugno, ha evidenziato il carattere estremamente antidemocratico e neoliberista dell’attuale Unione Europea e ha fatto notare come sfortunatamente sia stata la destra a intestarsi la battaglia per la sovranità nazionale, non soltanto nel Regno Unito ma anche negli altri paesi europei [6].
L’idea di recuperare la demo-kratia in un’ottica statuale in opposizione alle oligarchie (rifiutando quindi categoricamente di cedere sovranità all’Ue), non preclude certamente la possibilità di inserirsi all’interno di dinamiche di cooperazione e integrazione regionale (che anzi sono necessarie!). L’Unione Europea è un’“unione” sostanzialmente inesistente dal punto di vista politico con interessi geopolitici e geoeconomici contrastanti tra i paesi membri, conditi da rapporti di tipo neo-coloniale al suo interno. Vi è inoltre il paradosso dell’esistenza di una moneta unica in assenza di uno Stato e non è un caso che nessun processo di integrazione regionale (dall’America Latina all’Asia) abbia preso a modello la dis-integrazione europea. Si sente inoltre spesso dire che l’Ue avrebbe evitato nuove guerre in Europa: è forse necessario ricordare le enormi responsabilità europee nella guerra contro la Jugoslavia e nell’aver fomentato il golpe di Majdan e la guerra civile ucraina? Oggi una parte dei paesi dell’Ue spinge verso una pericolosa escalation militare con la Russia, ospitando componenti dello scudo antimissile BMD. Si dimentica forse che la Russia è anche Europa ed è impossibile pensare forme di integrazione e cooperazione regionale in opposizione a Mosca.
Le tragiche vicende greche ci hanno dato una severa lezione di realismo. La campagna di Syriza all’insegna del “cambiamo l’Europa” si è conclusa con una sonora sconfitta. I rapporti di forza esistenti in Europa hanno messo in un angolo il programma riformista radicale di Tsipras, costringendolo ad un pesante accordo in continuità con quelli precedenti. In occasione delle vicenda greca hanno giocato un ruolo importante Usa e Russia. Gli Stati Uniti auspicano infatti che la Germania mitighi le politiche di austerity poiché temono che da una deflagrazione europea possa entrare in crisi l’Europa atlantica. La Russia invece vedeva (e vede) nella Grecia un potenziale alleato innanzitutto per ragioni storico-religiose, ma non poteva certamente entrare a gamba tesa nella politica interna di un paese Nato, con due fronti aperti in Ucraina e Siria. E’ bene quindi che la critica all’austerity imposta dalla Germania non comporti de facto l’appiattimento sulle posizioni statunitensi, come sembra fare una certa sinistra critica delle politiche di austerity ma non dell’imperialismo statunitense.
In questo articolo che non pretende di essere esaustivo si è partiti dall’analisi del voto nel Regno Unito per riflettere sul ruolo della sinistra europea nel nuovo quadro internazionale costantemente in movimento. La Gran Bretagna rappresenta certamente un caso particolare dato che è una potenza economica e militare, non ha mai fatto parte dell’eurozona e risultati del genere non arrivano di certo troppo inaspettati. Non è facile prevedere le conseguenze geopolitiche dell’uscita dall’Ue: sicuramente verrebbe a mancare quella che è stata a tutti gli effetti la testa di ponte degli Usa in Europa (dato che è uno tra i più solidi partner della Nato). La fuoriuscita dall’Ue metterebbe peraltro a rischio il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP) e la stessa stabilità del Regno Unito per via del voto in favore del “remain” di Scozia e Irlanda del Nord. In una fase politica così complessa è auspicabile che la sinistra britannica (sia le forze politiche, comunque minoritarie, che hanno sostenuto il “Lexit” che il Labour guidato da Corbyn) sia in grado di egemonizzare e indirizzare la fuoriuscita dall’Unione Europea. Il leader laburista ha sempre avuto posizioni moderatamente euroscettiche (ed anche critiche nei confronti della Nato) ma si è trovato a fronteggiare all’interno del partito la pesante eredità blairiana e ha portato avanti una controproducente campagna per il “remain” che ha consentito alla destra xenofoba di indirizzare la campagna per il “leave”. Non ci è dato sapere attualmente come si evolveranno gli eventi e quale sarà la risposta della sinistra britannica; di certo è auspicabile che questo grande voto di disappunto popolare nei confronti delle politiche europee non venga lasciato stupidamente in mano alla destra reazionaria.
Note
[1] Si rimanda all’articolo di Andea Genovese per il sito “Contropiano”, tra le migliori analisi di classe del voto: http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/06/24/referendum-britannico-un-tentativo-analisi-del-voto-080846.
[2] Si veda in proposito A. M. Amoroso, Abbiamo sbagliato l’analisi su Brexit e giovani: anche loro sono responsabili, http://www.glistatigenerali.com/istituzioni-ue/abbiamo-sbagliato-lanalisi-su-brexit-e-giovani-anche-loro-sono-responsabili/, 26/06/2016.
[3] E. Valenti, La rivolta della working class, http://www.radiopopolare.it/2016/06/brexit-la-rivolta-della-working-class/, 23/06/2016.
[4] S. Amin, Salvare l’unità della Gran Bretagna. Rompere l’unità della Grande Russia, in “MarxVentuno” n.1 2015, pp. 27-34.
[5] G. Roggero, Barbari di tutta Europa, uniamoci!, “Commonware”, 24/06/2016, http://commonware.org/index.php/neetwork/707-barbari-di-tutta-europa-uniamoci.
[6] M. Weisbrot, Should I stay or Should I go? Brexit, Extortion, and the Path to Reform, “The Hill”, 21/06/2016, http://thehill.com/blogs/pundits-blog/international/284220-brexit-might-be-the-wake-up-call-europe-needs.