di Jacopo Rosatelli | da il Manifesto
Determinazione e fiducia dopo il calo di consensi del governo Rasjoy dimostrato alle elezioni regionali. Si ferma Madrid, ma anche le principali città spagnole. Oggi la rpesentazione della finanziaria del governo di destra. Che sta dimostrando di non saper risolvere i problemi.
L’ottavo sciopero generale dal ritorno della democrazia in Spagna passerà alla storia come uno dei più riusciti. Se il Governo di Mariano Rajoy (Partido popular) non darà ascolto alle ragioni dei lavoratori, rischia di vedere svanire in fretta il consenso di cui ancora gode. Già in calo, dopo nemmeno cento giorni, come hanno dimostrato anche le elezioni regionali in Andalusia e Asturie.
La giornata di sciopero, indetta dalle confederazioni Comisiones Obreras (CcOo) e Unión General de Trabajadores (Ugt) contro la riforma del mercato del lavoro e la politica di austerità, è stata molto intensa. E’ cominciata già alla mezzanotte, quando alcuni collettivi della galassia degli indignados si sono riuniti nei quartieri di Madrid per dare vita, armati di padelle e coperchi, a delle rumorose caceroladas. La prima di una serie di azioni che gli attivisti del movimiento 15-M hanno sviluppato lungo tutte le ventiquattro ore: in mattinata una biciclettata per le strade più trafficate di Madrid, poi «pranzi popolari» nelle piazze e persino una siesta collettiva intorno alla centralissima fontana della Cibeles nel pomeriggio.
Alle prime luci dell’alba si sono formati i picchetti sindacali di fronte alle principali fabbriche del paese, ai mercati generali, nelle maggiori stazioni ferroviarie e nei depositi degli autobus dei capoluoghi di provincia: qualche tensione con chi decideva di entrare a lavorare, alcuni fermi, ma nessun incidente di rilievo. Già alle 8 del mattino, il governo ha comunicato, attraverso una portavoce del ministero degli interni, che «i trasporti pubblici a Madrid e Barcellona funzionano ben oltre il servizio minimo garantito»; un anticipo della conclusione a cui l’esecutivo giungerà tre ore dopo, sentenziando che l’adesione allo sciopero era inferiore a quella registrata nel 2010, quando i lavoratori protestavano contro le misure del socialista José Luis Rodríguez Zapatero.
I numeri offerti dalle confederazioni sindacali invece sono ben altri. Comparendo di fronte ai giornalisti intorno alle 13, i segretari generali di CcOo e Ugt hanno identificato in un 77% l’astensione dal lavoro: maggiori le cifre nei settori dell’industria e della costruzione, inferiori nella pubblica amministrazione. Nonostante i ripetuti dinieghi opposti dal governo, i due leader hanno ribadito la loro offerta di dialogo: «Vogliamo cercare un compromesso con l’esecutivo», ha affermato Cándido Méndez (Ugt). Ma se l’attitudine di Rajoy rimarrà la stessa, allora la lotta non potrà che continuare: «Metteremo in campo un conflitto sociale crescente, che culminerà nelle manifestazioni del Primo maggio», ha avvertito Ignacio Fernández Toxo (CcOo).
I cortei che hanno attraversato più di cento città spagnole sono stati generalmente di grandi dimensioni. Fra le concentrazioni che hanno avuto luogo nelle ultime ore della mattina, vanno segnalate quelle di Vigo e Santiago de Compostela, in Galizia, dove si sono raccolte in tutto, secondo i sindacati, almeno duecentomila persone: a detta di tutti le mobilitazioni più riuscite degli ultimi anni. Identica soddisfazione da parte degli organizzatori per le piazze piene di Bilbao e degli altri capoluoghi baschi, dove chiamavano alla protesta anche i sindacati Ela e Lab, di orientamento nazionalista. A Vitoria si sono registrati disturbi, che hanno purtroppo avuto conseguenze serie: scappando da una carica della Ertzaintza (la polizia basca) uno studente è caduto, rimanendo gravemente ferito.
Molto presenti sono stati anche i lavoratori andalusi: a Siviglia e Malaga le marce più grandi, rispettivamente con 100mila e 80mila persone. Va da sé che le stime della polizia riducono sensibilmente questi numeri: lo stucchevole e consueto «balletto di cifre» anche qui fa parte del gioco. Ma è indiscutibile – migliaio in più o in meno – che si è trattato di manifestazioni riuscite. Le maggiori si sono svolte nel tardo pomeriggio a Madrid, Barcellona e Valencia.
Scontri e qualche cassonetto bruciato a margine del corteo nel capoluogo catalano, mentre quello della capitale complessivamente si è svolto senza incidenti di rilievo. Al di là delle dichiarazioni contrapposte sull’affluenza, la sensazione che ha offerto la manifestazione madrilena è stata quella di un oceano di persone. Una moltitudine decisamente maggiore di quella, già significativa, delle precedenti marce sindacali o dei grandi appuntamenti del movimiento degli indignados.
Sfilano pensionati e giovanissimi, lavoratori dei ministeri e insegnanti, universitari e disoccupati: impossibile dare conto della quantità di gruppi e sigle presenti. Si coglie determinazione e fiducia: «Dopo la dimostrazione di forza che abbiamo dato oggi, il governo non può continuare a ignorarci come ha fatto finora», afferma Maria José, 54 anni, in pensione per invalidità. «Non posso accettare che Rajoy dica che la riforma è fatta in mio nome: per questo sono qui», sostiene Diego, 24 anni, studente di comunicazione audiovisiva all’Università complutense, che aggiunge: «In quanto futuro lavoratore mi sento rappresentato dai sindacati e dopo il trionfo di oggi credo che qualcosa dovrà cambiare». Lo crede anche Almudena, maestra elementare di 45 anni: «Noi del settore dell’istruzione pubblica protestiamo contro i tagli da diversi mesi e abbiamo già perso molti giorni di stipendio: ma quello che rischiamo di perdere se a vincere sarà il governo è molto di più. Per questo non possiamo smettere di lottare».