Persino la Francia? Oui. Come previsto.

di Vladimiro Giacché | da Pubblico

france moodysL’abbassamento del rating della Francia da parte di Moody’s (oltretutto con prospettive negative) è stato salutato con reazioni molto diverse, ma in genere prevedibili. Le stesse che di solito in Europa accompagnano questi verdetti: orgoglio ferito, stupore e indignazione (nel paese interessato), Schadenfreude (in italiano: “gioia per le sventure altrui”, nei paesi già declassati dalle agenzie di rating) e reazioni del tipo “noi ve l’avevamo detto, ora dovete fare i compiti a casa” (in Germania). 

Tra queste, l’unica reazione che i lettori di Pubblico non hanno potuto condividere è lo stupore: infatti questo giornale aveva anticipato il downgrade della Francia oltre un mese fa. Sulla base di argomentazioni che restano valide. Le principali: una progressiva deindustrializzazione, una bilancia commerciale con l’estero strutturalmente in passivo e un deficit pubblico sul 6%. E un sintomo preoccupante: il livello del prezzo dei credit default swaps (i derivati che assicurano contro la possibilità di fallimento di un emittente pubblico o privato), pari a quello di Stati con un merito di credito molto peggiore di quello francese. 

In questi giorni, anche dalle nostre parti, non è mancato chi si è consolato del declassamento della Francia da parte di Moody’s osservando che la cosa non ha avuto (sinora) grandi effetti sul rendimento dei titoli di Stato francesi. In qualche caso si è azzardato un confronto con la maggiore reattività dei titoli di Stato italiani ai giudizi negativi delle agenzie di rating, spiegando la differenza con una presunta stabilità “a prescindere” dello Stato francese e con una maggiore credibilità della politica d’Oltralpe. Il tutto, magari, per avvalorare la tesi che la politica italiana debba avere come balia il prof. Monti anche nella prossima legislatura, quale che sia il risultato elettorale (che, comunque, sempre secondo questa lettura, dovrà evitare di “spaventare i mercati”). La spiegazione è molto più semplice: la Francia è considerata parte integrante del nucleo dell’Eurozona, e molte banche francesi stanno rimpatriando i soldi detenuti all’estero e comprano titoli di Stato francesi. 

D’altra parte, anche la Francia è avviata verso la recessione, la sua produzione industriale quest’anno è in calo di oltre il 2%, e gli effetti negativi delle misure di austerity già decise non si faranno attendere. Ma soprattutto, col procedere del processo di disgregazione dell’area monetaria, cui la (non-)decisione di ieri sui prestiti alla Grecia ha dato un’ulteriore accelerazione, diminuirà anche la fiducia nella solvibilità della Francia. In fondo, è la grande lezione di questi anni: in un’Europa che implode non si salva nessuno.