di Michele Cirinesi
Riceviamo con richiesta di pubblicazione
Le manifestazioni andate in scena in Romania, contro le misure che il governo socialdemocratico ha preso nei confronti alla lotta contro la corruzione, sono fonte di riflessione su come si pongono i cittadini sulla democrazia e sui futuri rapporti all’interno della U.E.
Più di centomila cittadini rumeni sono scesi nelle strade della capitale Bucarest , nella Piata Universitatii, e in altre città come Cluj,Sibiu e Timisoara per protestare contro la rimozione della Procuratrice di stato Laura Codruta Kovesi , che con le sue inchieste ha portato alla luce l’ endemica pratica della corruzione politica nel paese.
Già l’anno scorso il Governo , a guida socialdemocratica, si era trovato alle strette per le proteste di piazza che avevano visto i cittadini schierarsi contro le riforme che si volevano introdurre per cercare di rende il reato di corruzione più “morbido” e per aver spostato l’ambasciata rumena da Tel Aviv a Gerusalemme in una sorta di cortigianeria nei confronti dell’alleato di sempre , gli USA.
Misure , quelle sulla corruzione , che alla fine hanno visto il Governo ritirarle per evitare tensioni più gravi.
Particolare da tenere in considerazione è il fatto che le proteste di oggi sono state guidate dai cittadini della diaspora , così i giornali italiani li definiscono per evitare che il termine “migranti economici” risulti indigesto al nostro governo “giallo verde”, che tornati in patria per le consuete vacanze estive sono scesi in piazza contro la corruzione e per chiedere chi i salari rumeni siano parificati ha quelli degli altri paesi dove vivono per lavorare come Spagna, Italia e Germania, tra i più importanti.
La diaspora rumena vede quasi cinque milioni di migranti , su una popolazione che conta 22 milioni di abitanti quasi il 20%, che lavorano nei più disparati ambiti lavorativi soprattutto nei settori delle costruzioni edilizie e nel settore dell’assistenza socio-sanitaria o infermieristica, sono partecipi della vita economica dello stato rumeno grazie alle rimesse che ,solo lo scorso anno, hanno portato nelle casse statali quasi 5 miliardi di dollari fungendo da ancora di salvezza per le comunità rurali all’interno del paese.
Ricordiamo come la Romania sia , a veduta del Trasparency international’s corruptions index , tra i paesi più corrotti collegandola al 49° posto su 180, l’Italia ad esempio è al 60°posto, e il GRECO (gruppo di stati contro la corruzione ) all’inizio del 2018 chiedeva al governo rumeno di calibrare meglio le misure che voleva introdurre per cercare di non infrangere gli standard internazionali.
Negli scontri si sono avuti 450 feriti e una trentina di arrestati da parte della polizia che anche a detta del Presidente ha “calcato con troppo zelo” la mano, un vizio che i poliziotti hanno a tutte le latitudini.
La questione ci pone la riflessione su come le basi della costruzione della Unione europea siano squilibrate e che il rincorre ad accettare paesi come la Romania al proprio interno sia stata guidata dalla opportunità dell’establishment di Bruxelles di avere manodopera a basso costo in un paese dove si potevano collocare tante industrie per mettere a frutto alti proventi capitalistici smembrando di fatto lo stato sociale e i diritti che i lavoratori avevano conquistato con le lotte sociali nei paesi chiamati con l’acronimo PIGS.
Oggi il crescere delle contraddizioni ,portate alla luce dalle proteste dei lavoratori in ogni paese , potrebbero essere quella scintilla che infiamma la prateria europea.
Importante sarebbe, da parte delle forze politico sociali e sindacali, prendere l’occasione per analizzare e rilanciare le opportunità di lotta di classe che si svolgono nei paesi che fanno parte della Unione europea cercando di coagulare le ragioni valide che portano alle proteste contro la corruzione e il modello di produzione del lavoro, ormai difeso a spada tratta solo dai vecchi establishment politici, e farne modello di lotta unico a livello europeo.
Se sono rose fioriranno…..speriamo siano rosse.