Lotta di classe in Francia

di Lorenzo Battisti

Le lotte attualmente in corso in Francia sono distorte da due fattori. Il primo è l’informazione ufficiale italiana, che ovviamente non è certo interessata dal darne una visione corretta e approfondita. D’altra parte non sarebbe nell’interesse dei proprietari. A parte cassonetti incendiati e uomini vestiti di nero, non si vede altro e si capisce ancora meno. Quello che avviene in Francia in questi mesi (si sciopera da Gennaio) è una grande ondata di scioperi, in cui gli uomini vestiti di nero sono una parte esigua e marginale. I veri protagonisti sono i lavoratori organizzati dai sindacati e sostenuti dai partiti di sinistra e dalle organizzazioni progressiste, quanto di più novecentesco e di meno post-moderno si possa immaginare. Martedì prossimo ci sarà una nuova giornata di sciopero e di manifestazione, la decima da inizio Gennaio, su circa 90 giorni di calendario. Le manifestazioni a cui abbiamo assistito in questi mesi hanno mostrato una mobilitazione fin da subito molto forte, inaspettata tanto per il governo che per i sindacati. L’ultima, quella della settimana scorsa, ha visto 800 mila persone sfilare a Parigi e più di 3 milioni e mezzo in tutta la Francia. Per fare un confronto, sono più di quelli che si trovavano al Circo Massimo esattamente 21 anni fa.

La forza di queste mobilitazioni viene da due fattori. Il primo è che per la prima volta dal 2010 c’è l’unità sindacale: tutti i sindacati, da quelli più moderati a quelli più radicali, sono riuniti in un’intersindacale che proclama e dirige gli scioperi. E’ come se (per tradurla in termini italiani) gli scioperi fossero indetti congiuntamente da Cgil, Cisl e Uil insieme all’Usg, Sgb e Cobas. Questo ha posto le basi per ampie azioni sui posti di lavoro e per l’organizzazione di manifestazioni imponenti fin da subito. Ma questo è anche il segno (il secondo elemento) di una spinta che viene dal basso, che ha obbligato i sindacati riformisti a unirsi agli scioperi e ha impedito loro di sfilarsi (come molti dirigenti vorrebbero). Questa spinta dal basso è il segno che su questa lotta per le pensioni si coaugula uno scontento che si è accumulato progressivamente nel paese: la disoccupazione e la precarietà aumentate con la pandemia, il non riconoscimento del lavoro per i lavoratori in prima linea durante la pandemia (non solo della sanità, ma per esempio anche nel commercio), l’inflazione in seguito alla guerra in Ucraina, contro riforme come quella della disoccupazione che colpisce soprattutto i giovani. A questo si è aggiunta l’approvazione non democratica per decreto, senza il voto del parlamento (ricordiamocene quando ci chiedono di esportare la nostra democrazia in punta di baionetta). Le mobilitazioni non sono state limitate al lavoro salariato o ai lavoratori indeterminati, e al contempo migliaia di azioni sono state compiute in ogni angolo del paese. Infatti anche i commercianti hanno sostenuto le manifestazioni, con serrate in cui cui abbassavano le serrande in sostegno agli scioperi. Così come gli agricoltori, ben presenti alle manifestazioni, che infatti si vedono allontanare la pensione nonostante uno dei lavori più usuranti che esistano. Ma le novità di queste manifestazioni sono tre. La prima è la partecipazione dei giovani. Questa si può spiegare con il fatto che negli ultimi 20 anni, il numero di studenti lavoratori è passato da 300 mila a un milione: un milione di giovani che vengono in contatto molto prima con il mondo del lavoro, la precarietà, con le condizioni di lavoro, e che quindi prendono coscienza prima anche di temi come le pensioni e della lotta di classe che anche in essa si esprime. La seconda novità è l’alta partecipazione delle donne, che mostrano di coniugare le tante mobilitazioni femministe con una visione di classe del femminismo. Come in Italia, anche in Francia le donne sono sottoposte a un doppio sfruttamento, in cui oltre a condizioni di vita difficili, si uniscono condizioni di lavoro che le vedono vittime di salari inferiori, maggiore precarietà, minori pensioni. Infine a queste manifestazioni si è visto un ritorno allo sciopero del settore privato, che, dopo gli scioperi contro la riforma del lavoro del 2016, aveva visto un tasso di partecipazione inferiore. E’ difficile dar conto di tutte le mobilitazioni. Oltre alle grandi manifestazioni settimanali, ci sono migliaia di scioperi e azioni locali. Ci sono settori in sciopero ad oltranza da settimane, dighe e depositi del gas occupati, porti bloccati, zone industriali picchettate, centrali elettriche (tra cui quelle nucleari) sotto il controllo dei lavoratori (cosa che ha determinato un calo dell’energia prodotta e l’obbligo di acquistarne dall’estero), treni e bus in sciopero con persone che da settimane non dormono a casa e spesso dormono nei depositi dei treni e degli autobus con le proprie famiglie, occupazione degli inceneritori con migliaia di tonnellate di rifiuti che si accumulano nelle strade. Ma ci sono anche tante altre azioni organizzate dai sindacati, come barricate in fiamme sulle tangenziali, occupazioni dei binari dei treni, copertoni in fiamme per bloccare le rotonde.

A questo si aggiunge una mobilitazione sociale più generale, che vede licei e università occupate da settimane, spesso con il consenso e l’azione congiunta dei professori e dei lavoratori della scuola e migliaia di azioni di solidarietà in ogni città. Dopo l’approvazione per decreto della riforma si sono moltiplicati gli scontri con la polizia da parte degli uomini in nero, quelli che tanto piacciono alle televisioni italiane. Ogni singola sera, in ogni singola città francese, per ore ci sono scontri con la polizia e città in fiamme. Rispetto a qualche tempo fa, gli uomini in nero hanno deciso di girarsi: invece di attaccare i sindacati in sciopero, hanno deciso di attaccare la polizia, tenendola occupata in maniera permanente. L’atteggiamento della polizia, discreto all’inizio delle manifestazioni si è indurito dopo l’approvazione: arresti in massa ingiustificati, spesso anche di gente che semplicemente assiste alle manifestazioni (poi difese dagli avvocati del SAF, il sindacato di sinistra degli avvocati), violenze gratuite, attacchi a gente indifesa e spesso a terra.

Tutto questo è il segno di una pressione difficile da contenere e che purtroppo ha già causato un morto: un poliziotto della celere, che sotto la pressione a cui è sottoposto, si è tolto la vita con la pistola di ordinanza. Una tragedia, completamente ignorata dal governo, responsabile delle condizioni inumane in cui questi lavoratori sono sottoposti, segno del disinteresse verso la polizia. Questa è forse la chiave per capire cosa avverrà nelle prossime settimane. Se si osservano le ultime due vittorie, quella del 1995 (contro l’allora riforma delle pensioni) e quella del 2005 (contro il contratto di inserimento lavorativo per i giovani), si vede che la chiave per piegare il governo furono grandi e prolungate manifestazioni e scioperi che proseguirono anche dopo l’approvazione della riforma e una mobilitazione sociale capace di creare un disordine sociale permanente a cui le forze dell’ordine risultano incapaci e insufficienti nel tenerlo sotto controllo e che obbliga il governo a piegarsi. Se questi due fattori continuano, il governo sarà obbligato a piegarsi ancora una volta. Come si vede queste mobilitazioni sono ben distanti dal movimento dei gillet gialli, egemonizzato dai ceti medi in crisi, e fondamentalmente anti sindacale. In questo caso sono i lavoratori organizzati nei sindacati e sostenuti dai partiti di sinistra (comunisti, socialisti, verdi e Insoumis) che hanno egemonizzato il resto della società e che grazie all’organizzazione politica e sindacale hanno la possibilità di portare avanti uno scontro politico con il governo che può arrivare a piegarlo.

All’inizio infatti ho parlato di due elementi che impediscono la comprensione delle lotte francesi in Italia. Il primo, come detto è quello informativo. Ma questo si aggiunge un analfabetismo politico di ritorno che impedisce ai lavoratori italiani di comprendere quanto avviene in Francia. 15 anni senza mobilitazioni politiche o sindacali significative, privati di organizzazioni politiche in cui militare, molti italiani hanno perso la capacità di leggere gli eventi e di interpretarli e sono tornati a punti di vista individualistici, libertari (ostili e ciechi alle organizzazioni permanenti che organizzano le lotte come appunto sindacati e partiti) e fondamentalmente qualunquisti. Per questo non vedo altro che uomini in nero che si scontrano con la polizia (qualche migliaia) e non vedono i milioni di lavoratori (organizzati nei sindacati e nei partiti) che sono i protagonisti al centro di queste mobilitazioni. Per questo la strada da fare sarà lunga. Il periodo tra il 45 e l’89 sembra aver rappresentato una parentesi all’interno di una cultura nazionale ostile a tutte le forme di organizzazione. Fu il grande risultato della lotta partigiana egemonizzata dai comunisti. Le lotte francesi possono essere il detonatore, come già avvenuto in passato, di ulteriori lotte nel continente. L’impressione è che ci si trovi a un punto di svolta epocale: una fase politica continentale si è chiusa e un’altra si apre. Il ritorno al privato, cominciato negli anni ‘80, sembra finito con una nuova partecipazione politica e sindacale aiutata da guerra e pandemia (ai cui effetti non ci si può opporre individualmente). La Francia è riuscita, pur nella crisi generale che ha toccato anche questo paese, a mantenere organizzazioni politiche e sindacali di classe combattive e presenti nella società, che le permettono ora di poter rilanciare le lotte sociali. Che queste siano vittoriose o meno, saranno una sveglia per i lavoratori di altri paesi, compresa l’Italia. Per quanto la realtà possa essere oscurata, non può essere ignorata all’infinito: questa ritorna, spesso più forte, proprio perché la si è ignorata.

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