di Francesco Galofaro – Università IULM
A proposito dello scandalo Qatargate, che nelle scorse ore ha pesantemente delegittimato il Parlamento di Bruxelles sul tema dei diritti umani, la presidente Roberta Metsola ha parlato con la consueta enfasi di “Europa sotto attacco”. L’inchiesta della polizia belga ha infatti rivelato quanto le istituzioni europee siano vulnerabili rispetto agli interessi di Paesi extraeuropei come il Qatar, in grado di esercitare la propria influenza perfino attraverso quei gruppi di pressione che dovrebbero essere loro ideologicamente e programmaticamente ostili. Esso scoppia alla vigilia di un voto dell’Europarlamento per introdurre un accordo di viaggio senza visto d’ingresso tra UE e Qatar. Paradossalmente, i parlamentari e le ONG coinvolte in episodi di flagrante corruzione appartengono tutti al campo dei paladini dei diritti umani. Un po’ come se i Paesi produttori di uranio ottenessero trattamenti di favore grazie alle organizzazioni ambientaliste, o se le intellettuali femministe promuovessero l’esportazione del chador. A rifletterci, c’è davvero da chiedersi chi sia, a questo punto, il vero attaccante cui fa riferimento Metsola. Dato il ruolo riconosciuto, legittimato e incoraggiato del lobbismo nel rapporto con la politica europea, vien da pensare che l’eurocrazia sia il peggior nemico di se stessa. Non si tratta di una fatalità o di una contingenza ma dell’effetto perverso di un sistema di potere in cui i rapporti tra europarlamentari e lobby sono perfettamente legali e costituiscono la quotidianità del fare politico. Peraltro, l’indagine è condotta dalla polizia belga: non nasce all’interno delle istituzioni europee, poco trasparenti ed evidentemente non in grado di esercitare un controllo autonomo sui rapporti opachi tra politica e gruppi di pressione.
Per provarlo, basta pensare allo scandalo dei”Sorors papers”: un documento riservato della Open Society Foundation, rivelato da un’organizzazione di hackers, che schedava gli europarlamentari ritenuti “affidabili” dall’organizzazione. Tra i 14 europarlamentari italiani contenuti nella lista spiccano quelli di Andrea Cozzolino e Antonio Panzeri, a diverso titolo coinvolti nelle indagini dei questi giorni. Collaboratore dell’eurodeputato Andrea Cozzolino è Francesco Giorgi, compagno dell’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili. Giorgi, Kaili e Panzeri sono stati arrestati dopo che nei rispettivi appartamenti sono stati trovati oltre un milione e mezzo di euro in contanti. Cozzolino si è autosospeso e dimesso dai suoi incarichi. Giorgi ha confessato l’esistenza di un vero “sistema” di distribuzione dei finanziamenti, provenienti a suo dire dal Qatar e dal Marocco.
Per essere chiari, non spetta a me suggerire che vi sia un collegamento tra Soros e il Qatar. Non commento neppure l’appartenenza al mondo sindacale di personaggi che hanno coperto le migliaia di morti sul lavoro in Qatar, perché sull’argomento ha già scritto un ottimo articolo Bruno Steri.Vorrei invece mostrare come il lobbismo sia parte essenziale del dispositivo della governamentalità europea. In Europa, l’attività dei gruppi di pressione è regolamentata. Le lobby, le associazioni di categoria, i gruppi farmaceutici, le ONG si iscrivono, su base volontaria, ad un registro pubblico. Secondo un’inchiesta di Milena Gabanelli, le lobby europee registrate sono oltre 11.000; in testa alla classifica delle spese, dopo la lobby delle industrie chimiche europee (Cefic) con 11 milioni di euro, troviamo colossi extraeuropei come Google (6 milioni di euro) e Microsoft (5 milioni). Il modello di “democrazia” adottato dall’Europa punta a un modello di governamentalità che riconosce ai gruppi di pressione un ruolo di portatori di interesse (stakeholders) sostituendo alla società civile una sua ripugnante caricatura. Per capirlo basta pensare alla differenza tra una lobby e un sindacato, che pure è uno strumento di pressione sui governi. Ci si può iscrivere al sindacato, si può votare per i propri rappresentanti e scegliere tra diverse linee politiche; non ci si può iscrivere a una lobby, il meccanismo di selezione dei lobbisti è per lo meno opaco e la linea viene imposta dall’alto.
Vi è un altro fatto dimostrato dall’inchiesta di Bruxelles: tra parlamentari e gruppi di pressione, lobby e ONG vi è una zona grigia. Quando Antonio Panzieri è uscito dall’europarlamento, nel 2019, ha fondato la ONG Fight Impunity, divenendone presidente. A conferirle lustro e credibilità, del comitato onorario della ONG facevano parte (senza ruoli esecutivi o manageriali) Emma Bonino, Federica Mogherini e l’ex primo ministro francese Bernard Cazaneuve, dimessisi in seguito allo scandalo. Una seconda ONG coinvolta sarebbe No Peace Without Justice, fondata da Emma Bonino, il cui segretario è Niccolò Figà-Talamanca, anch’egli arrestato nell’ambito dell’inchiesta Qatargate. Figà-Talamanca proviene dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, passando poi all’ONG che nel ’98 rappresentava la delegazione della Bosnia. Come si vede, ai tavoli di confronto tra politici e gruppi di pressione gli interlocutori si scambiano spesso di posto, dando vita a un pericoloso sistema di potere basato sulle porte girevoli.
Occorre quindi fare molta attenzione al ruolo dell’Europarlamento nel sistema di poteri che caratterizza l’Unione. Non è vero che non conta nulla: è al contrario uno spazio politico importante, in grado di imporre interessi poco o per nulla trasparenti ai Paesi membri dell’Unione. L’inchiesta attuale, destinata, a detta di tutti gli analisti, ad allargarsi, è solo la punta di un iceberg: l’Europarlamento rimane il luogo di una contrattazione febbrile e continuata tra grandi centri di potere economico e finanziario, interessi di Stati extraeuropei, alleati e non, organizzazioni politiche sempre più autoreferenziali. Un sistema che è sì votato dai cittadini ma che in realtà finisce, paradossalmente, per escluderli dal novero di coloro i cui interessi andrebbero tutelati.
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