di Guido Ambrosino | da il Manifesto del 3 giugno 2012
Congresso al cardiopalma per la Linke , che deve scegliere una nuova coppia di presidenti. La prima tornata elettorale, riservata a candidate donne, è stata vinta dalla 34enne Katja Kipping. La procedura per l’assegnazione del secondo incarico si concluderà troppo tardi per questa edizione del giornale: si batteranno, accanto a Katharina Schwabedissen, che vorrebbe formare insieme a Kipping un tandem «inclusivo» e smarcato dalle logiche di fazione, esponenti delle opposte correnti: il «realpolitico» Dietmar Bartsch, assai popolare tra i delegati delle regioni orientali, e il «lafontainiano» Bernd Riexinger.
In un clima di asprissima competizione, nemmeno Gregor Gysi e Oskar Lafontaine sembrano più intendersi. Furono loro a concordare nel 2005 una lista comune tra la Pds e la Wasg, il raggruppamento «per la giustizia sociale» formatosi a ovest. In team guidarono entrambi il gruppo parlamentare al Bundestag.
Nel 2007 condussero in porto la fusione politica nella Linke . Fecero insieme la campagna elettorale che nel 2009 fruttò l’11% dei voti. In più occasioni Gysi, con grande generosità, si tirò un po’ in disparte per non far ombra al collega: nel manifesto che li ritraeva vicini come capilista, Gregor si affacciava dietro la spalla del compagno Oskar. Ora però perfino Gysi si è stancato. Quando il saarlandese ha detto che non avrebbe tollerato altre candidature accanto alla sua, Gysi ha cercato invano di convincere Lafontaine a un accordo politico con l’ala riformista, ben radicata nell’est della Germania, offrendo a Bartsch almeno il posto di segretario organizzativo. Non c’è stato verso. Lafontaine ha piuttosto preferito rinunciare a candidarsi, insistendo che nel tandem di presidenza avrebbe comunque dovuto esserci un suo fido soldato – il sindacalista di Stoccarda Bernd Riexinger – magari accanto a una donna dell’est come Katja Kipping, ma comunque nessun rappresentante dei riformisti dell’est. Una soluzione del genere secondo Gysi sarebbe fatale, perché squilibrata. Secondo lui o si spuntano le ali agli schieramenti contrapposti – fustigatori intransigenti dei tradimenti della Spd con Lafontaine, pragmatici alla ricerca di accordi a sinistra con Bartsch – e una soluzione in questo senso potrebbe essere il tandem di due donne «inclusive» come la Ossi Kipping e la Wessi Schwabedissen – o entrambi i fronti vanno rappresentati, non solo quello di Lafontaine con Riexinger. Ieri al congresso di Göttingen sono intervenuti l’uno dopo l’altro sia Gysi che Lafontaine, e si è avuta l’impressione di una grossa distanza, di una reciproca incomprensione. Gysi giudica imminente il rischio di una scissione. È convinto che la fusione tra i socialisti dell’est, gli Ossi , e dell’ovest, i Wessi , non si sia compiuta. Ha ammonito i compagni occidentali a smetterla di salire in cattedra per dare lezioni di intransigenza rivoluzionaria a chi a est è impegnato nella routine delle amministrazioni locali. Ha avuto parole di fuoco per «l’arroganza» di certe federazioni socialiste dell’ovest, che gli ricorda il modo di fare della Bundesrepublik dopo l’annessione della Germania est. Se al congresso non si troverà una direzione capace di cooperare, «meglio sarebbe separarsi senza rancori». Meglio che trascinare «un matrimonio completamente fallito, con meschini inganni, calci negli stinchi, accuse diffamatorie». Nel gruppo parlamentare non ci sono normali dissensi, «regna piuttosto un clima di odio reciproco». Da anni, ha concluso Gysi, «cerco di moderare i conflitti, ora mi sono stufato». Lafontaine a queste disperate considerazioni non ha nemmeno risposto. Ha cercato di sdrammatizzare: «Non c’è alcun motivo anche solo di evocare la parola ‘scissione’». Ci si divide solo se ci sono gravi dissensi politici, ma non sarebbe certo il caso della Linke , che l’anno scorso al congresso di Erfurt ha approvato con una maggioranza del 95% il suo nuovo programma: un testo molto «lafontainiano», che la orienta su una linea di opposizione, con rigidi paletti sulla via della partecipazione a maggioranze di governo. Dunque, prosegue Lafontaine, la linea già l’abbiamo. Le difficoltà vengono solo da «animosità personali», che possono e devono essere superate. Come va superato l’assurdo equivoco che a ovest ci sarebbero solo massimalisti radicali: «Ma come può venirvi in mente che uno come me, che ha governato la regione della Saar con maggioranze del 60% (quando era nel partito socialdemocratico, ndr ), sia un estremista settario?». Quanto alle «animosità personali» Lafontaine si è ben guardato dal fare autocritica. Senza mai nominare Bartsch, né riferisi esplicitamente alla proposta di accordo avanzata da Gysi ha messo in chiaro che se – una collaborazione non è possibile – la colpa è tutta e sola dell’innominato: «Tra il presidente e il segretario organizzativo deve esserci fiducia completa». Ai delegati era ben chiaro che Lafontaine si riferiva a un episodio del settembre 2009. Lo Spiegel pubblicò per la prima volta un’allusione a un legame sentimentale, e non solo politico, tra Lafontaine e Sahra Wagengknecht, leader del fronte «anticapitalista» e «antiriformista». Da tempo i due si sono ormai presentati in pubblico come coppia. Lafontaine ha sempre sospettato che a passare l’indiscrezione alla stampa sia stato l’allora segretario Bartsch. Questa «slealtà», vera o presunta, non è stata perdonata.