di João Ferreira, parlamentare europeo del Partito Comunista Portoghese
da www.avante.pt | Traduzione di Marx21.it
“Questa è forse la lezione principale che occorre trarre dall’esperienza greca: l’attuazione di una politica autenticamente caratterizzata dai valori di giustizia e progresso sociale, con la democrazia, con un progetto sovrano di sviluppo, esige, in primo luogo, una resistenza e fermezza a tutta prova, incrollabile di fronte a tutte le pressioni e i ricatti e, subito dopo, la disponibilità e la preparazione per rompere i vincoli e i condizionamenti imposti dall’euro e dall’Unione Economica e Monetaria (…) Chi ancora coltivi illusioni, o chi intenda diffondere illusioni, sul fatto che sia possibile restare ancorati all’euro e allo stesso tempo sviluppare una politica anti-austerità (tanto più una politica di sinistra) merita lo stesso credito che ha meritato, da parte dei poteri di Bruxelles, Berlino e Atene, il risultato del referendum in Grecia…”
A poche settimane dal Vertice dell’Euro (12 luglio), proseguono i negoziati tra il governo greco e la troika per la firma di un terzo memorandum. Uno scenario difficilmente immaginabile da coloro che sei mesi fa, nelle elezioni, e nuovamente un mese fa, al referendum, avevano deciso di rifiutare la troika e la sua politica.
Lungo la strada verso il terzo memorandum, la troika ha imposto le sue condizioni. Su tali condizioni si è già detto molto. Ma non è ancora sufficiente.
Aumento dell’IVA, tagli nelle pensioni, imposizione dell’adozione di un nuovo codice del processo civile e della legislazione specifica dell’UE, liberalizzazione di vari settori dell’attività economica, privatizzazioni, tagli aggiuntivi nella funzione pubblica e modifiche della legislazione del lavoro. Sono solo alcuni esempi della lista delle condizioni che il governo greco dovrà rispettare prima di firmare il terzo memorandum – che a sua volta conterrà proprie “condizioni politiche”, nuove e aggiuntive.
Alcune delle misure sono state approvate negli ultimi giorni al Parlamento greco, con l’appoggio della maggioranza dei parlamentari che sostengono il governo e della totalità dei deputati dei partiti che hanno governato la Grecia negli ultimi decenni.
Nei commenti sull’accordo, molti hanno già parlato di umiliazione, di attacco alla dignità di un popolo, di palese neocolonialismo. Non è esagerato.
Alcuni hanno affermato che l’ “accordo” è un vile castigo, una vendetta esercitata su un popolo che ha osato rigettare le imposizioni e gli ultimatum che gli sono stati fatti. Soffermiamoci su quest’ultimo punto di vista.
A rigore, le misure ora incluse nell’ “accordo” sono perfettamente inquadrate nella logica dei precedenti programmi FMI-UE e degli strumenti nel frattempo creati per assicurare la perpetuazione delle politiche che essi sostanziano – in particolare il Trattato di Bilancio, la Governance Economica e il Semestre Europeo. L’idea dei meccanismi cosiddetti automatici che, a fronte di scostamenti rispetto agli obiettivi di bilancio fissati in precedenza (in particolare per quanto riguarda il saldo di bilancio), stabiliscano tagli “automatici” in spese varie, tagli questi determinati dalla Commissione Europea, è contenuta nel Trattato di Bilancio. La stessa cosa si può dire, in generale, dell’obbligatorietà di sottomettere a un visto preventivo della Commissione Europea le decisioni di politica economica e altre, considerate suscettibili di influenzare gli obiettivi da essa fissati – prima ancora che le istituzioni sovrane del paese abbiano qualche voce in capitolo.
Ciò significa, in verità, che ogni paese che abbia sottoscritto il Trattato di Bilancio, come il Portogallo, il quale si trovi in una situazione di inadempimento degli obiettivi in esso contemplati, è, secondo le disposizioni dello stesso Trattato di Bilancio, soggetto agli stessi meccanismi automatici, alla stessa vigilanza dell’UE, alla stessa ingerenza che oggi si prevede per la Grecia.
La specificità greca non deriva tanto dalla natura delle politiche che le sono state e le sono dettate – dal momento che sono identiche a quelle applicate ad altri paesi e conseguenti agli orientamenti dell’UE – ma soprattutto dalla loro intensità e dai tempi previsti per la loro attuazione.
Ma le misure previste per la Grecia potrebbero essere applicate anche in Portogallo o in qualsiasi altro paese con un governo che si sottometta ai dettami del direttorio che comanda nell’UE; che si sottometta alla dittatura dell’euro.
Non a caso, le decisioni assunte nel Vertice dell’Euro sono state salutate, allo stesso tempo, da Passos Coelho e da Antonio Costa.
Questa è forse la lezione principale che occorre trarre dall’esperienza greca: l’attuazione di una politica autenticamente caratterizzata dai valori di giustizia e progresso sociale, con la democrazia, con un progetto sovrano di sviluppo, esige, in primo luogo, una resistenza e una fermezza a tutta prova, incrollabile di fronte a tutte le pressioni e i ricatti e, subito dopo, la disponibilità e la preparazione per rompere i vincoli e i condizionamenti imposti dall’euro e dall’Unione Economica e Monetaria.
Dopo quello che abbiamo visto in Grecia, non preparare convenientemente il nostro Paese all’uscita dall’euro, non preparare il Paese a recuperare la sua sovranità monetaria, di bilancio e di cambio, sarebbe un’enorme irresponsabilità. Chi ancora coltivi illusioni, o chi intenda diffondere illusioni, sul fatto che sia possibile restare ancorati all’euro e allo stesso tempo sviluppare una politica anti-austerità (tanto più una politica di sinistra) merita lo stesso credito che ha meritato, da parte dei poteri di Bruxelles, Berlino e Atene, il risultato del referendum in Grecia…