di Filippo Violi
Riceviamo dal compagno Filippo Violi, e pubblichiamo come contributo alla discussione sui possibili sviluppi della politica europea e mondiale e sul ruolo che potrebbe svolgere l’Italia, in vista dell’insediamento della nuova amministrazione presidenziale statunitense.
“Dove impera la guerra si cerca la pace; dove c’è pace si guarda alla guerra altrui, dove c’è guerra fredda si ghiacciano i cuori. Trump vuole scongelare lo scenario e si tratta di un capovolgimento della dottrina Obamiana” Mario Sechi, “il foglio” 14/12/2016
“Trump, come Putin, è un programmatico lontano dalle retoriche “umanitarie” che hanno accompagnato, in giro per il mondo, le politiche destabilizzanti della Casa Bianca. Essendo in gioco non ideali, ma interessi, sarà un negoziatore, proprio di cui c’è bisogno” Massimo Boffa, “il foglio” 14/12/2016
“Pensiamo ad esempio alla nomina di Rex Tillerson quale nuovo segretario di Stato […]Il riavvicinamento a Putin risponde certamente a questioni di realpolitik e può essere funzionale alla strategia di progressivo disimpegno annunciata da Trump, ma è anche dettata da motivazioni di buon senso che vanno incontro agli interessi del settore imprenditoriale E’ abbastanza chiaro che anche l’Italia possa trarre vantaggio da questa nuova dinamica[…]il nostro vantaggio competitivo rispetto agli altri partner è evidente, considerate le solide relazioni economiche che da tempo possiamo vantare con Mosca” Giovanni Castellaneta, ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti, “il foglio” 14/12 2016
Ma quant’è vicina Aleppo all’Europa? La distanza è tutt’altro che siderale, anzi, sarebbe il caso di dire, risultano essere a stretto contatto, specie se si pensa ai nuovi scenari che d’ora in poi si paleseranno da qui in avanti, e più precisamente ai nuovi risvolti politici internazionali, alle possibile nuove alleanze economiche sul campo, dopo che i Russi hanno provveduto definitivamente , con accordo e senza più alcun ostacolo, a liberarla.
La resa finale delle truppe jhadista-saudite nella roccaforte est di Aleppo, i terroristi “moderati” di Al Nusra che fino a prima delle elezioni venivano finanziati dal Tesoro Americano, e sponsorizzati da tutte le cancellerie d’Europa, una cosa certifica e storicamente sancisce in modo netto, chiaro: è iniziato il nuovo corso mondiale che prenderà via ufficialmente il 20 gennaio con l’insediamento alla Casa Bianca del neo-presidente eletto americano, Donald Trump.
Sarebbe il caso di tenere sempre in mano e sfogliare le pagine dell’illustrissimo e brillante manuale di Filippo Gaia “Il secolo corto”, più precisamente la filosofia del bombardamento che accompagna in modo strisciante la storia mondiale dalla dottrina Monroe degli anni ’20, passando per tutto il dopoguerra fino ad arrivare ai giorni nostri. Sicuramente di una cosa oggi tutti saremmo più convinti, che non esiste Germania in Europa senza l’avallo americano e che, l’Europa, è un campo di battaglia da sempre conteso, un affare che riguarda in ultima istanza solo Russi e Statunitensi. La Germania è stata da sempre posta al servizio americano (come risulta dai documenti storici prelevati, dal partigiano Gaia, dall’archivio del dipartimento di Stato americano), e che il nazista Hitler fu una creatura, un fantoccio statunitense che servì a fronteggiare il “mostro” sovietico fino ad invogliare l’autore del “Mein kampf ad iniziare quella feroce campagna genocida-suicida che provocò 200 milioni di morti. Chiediamoci oggi chi è Poroshenko, come è arrivato al potere nella strategica Hinterland Ucraina, chi lo ha sostenuto e perché e di quale partito portatore d’interessi risulta essere.
Non inganni il fatto che i tedeschi nella loro “logica dello sterminio” fin dagli anni ’40 hanno posto sempre le basi di predominio in Europa sui popoli latini attraverso l’alleanza con gli stati del nord Europa, con la stessa U.K (nella sua politica-tampone contro la prepotenza americana), nonché l’alleanza di ferro con i Francesi, quali gendarmi nucleari posti a salvaguardia degli interessi mercantili ed economici nel bacino del mediterraneo. Alla Germania nell’ultimo venticinquennio, dal crollo del muro di Berlino in poi, è stato concesso di tutto, lasciato fare ogni cosa: dapprima, con l’avallo di Gorbaciov, annettendosi la RDT, poi, con stessa tecnica di agganciamento monetario, estendendo il D-Mark e vessando i popoli del sud-Europa, ricchi di sentimento patriottico-nazionalista di estrazione Nato, col fine ultimo di riempire i forzieri delle proprie banche attraverso il continuo rastrellamento di risorse, tanto da raggiungere la cifra record del 9% di surplus delle partite correnti, disconoscendo per giunta gli stessi trattati europei imposti da loro nell’area euro.
Dopo la Brexit e, soprattutto, dopo il trionfo di Trump è iniziato il nuovo corso della politica e della storia mondiale. La Germania sembra ormai isolata, dopo la resa di Aleppo sembra cercare alleanze e dialogo con Russi e Americani. Sembra un agnello smarrito ormai preda di un branco di lupi, con la Cina sempre lì in attesa, vorace, sul davanzale europeo, seguendo con marcia silenziosa la sua millenaria rotta della via della seta marittima e terrestre. Quindi, prima la Brexit e la perdita di un alleato storico nel direttorio europeo, ora con la vittoria di Trump e l’accordo di una nuova Yalta con Putin, i tedeschi sembrano del tutto spiazzati, e il trionfo del No al referendum sulla riforma Costituzionale in Italia la dice lunga sulle giustificate paure che in questo momento sembrano sempre più montare sulla testa della cancelliera federale tedesca. La copertina del settimanale tedesco Spiegel, datata 12 novembre, che raffigura Donald Trump come una meteorite che si dirige verso la terra, dal titolo emblematico “la fine del mondo come la conosciamo”, la dice tutta sulle preoccupazioni germaniche. In fondo i Tedeschi dovrebbero applaudire un Presidente americano che non ha intenzione di ridurre in cenere nucleare l’Europa; la Clinton sarebbe stata pronta a ciò. Dovrebbero acclamare chi osteggia apertamente il TTIP; la Clinton non avrebbe invece mollato la presa. Dovrebbero schierarsi dalla parte di chi vuole evitare la guerra; la Clinton invece – come ha fatto anche Obama – avrebbe calpestato ogni diritto internazionale pur di attenersi ad un’idea di America che sovrasta gli altri popoli e le altre nazioni.
Ma il fatto che ciò non accada ci sarà pure un perché!
La Germania, i suoi partiti e le sue corporazioni svolgono un ruolo centrale in seno al progetto neoliberale di riorganizzazione del mondo. Avere il controllo e il dominio sull’area euro, tenendo sotto scacco gli stati del sud Europa ormai è cosa assodata e fatta. In quest’ottica la reazione al voto americano diventa facile da interpretare. Si capisce come mai la notizia che il presidente venturo voglia cercare di conciliarsi con la Russia scateni quest’ondata di panico. Per un istante il telone è stato stracciato: pace e accordi con la Russia? Per il ministro della Difesa tedesco, per i politici di ogni partito, per i sindacati corporativi, per tutti loro ciò rappresenta un pensiero raccapricciante. Molto meglio lasciare in piedi l’attuale aggressione strutturale.
Forse nessuno si aspettava l’esito del voto americano, nemmeno il presidente del consiglio Renzi che prima delle elezioni, sicuro della vittoria della Clinton, ha reso omaggio ad Obama con visita ufficiale alla Casa Bianca. Eppure tutto è apparso chiaro, già il pomeriggio del giorno dopo il trionfo di Trump alle elezioni americane. Dopo lo smottamento iniziale (quasi dal sapore del dopo Brexit), dovuto più che altro a un sentimento di sorpresa generale, con i future dell’S&P 500 sospesi a ribasso a – 5%, già nel pomeriggio con il discorso del neo-presidente, si è ravvisato subito un cambio repentino di marcia nelle borse e più in generale nei mercati, con i Treasuries e i rendimenti dei bond, dapprima quelli U.S e subito dopo i core europei, in netta risalita.
Il dato delle elezioni al referendum in Italia è molto emblematico del corso che oramai sta prendendo la storia mondiale. Il fronte sud con il 70% ha risposto compatto con un secco No, respingendo al mittente la dittatura economico-finanziaria imposta dal Bruxelles-group; ha detto No alle politiche di bilancio che nell’ultimo decennio hanno distrutto la base produttiva del Paese e hanno ridotto alla fame intere famiglie, creando le working poor in Europa di ultima generazione. E se hanno potuto dire di No è proprio perché, come i corsi e ricorsi storici, per liberare l’Italia e l’Europa dalla morsa dei nazisti c’è stato bisogno dello sbarco degli americani. Questo è ciò che esattamente è avvenuto al sud, specie in Sicilia.
Il tentativo di controffensiva tedesco è partito subito dopo l’esito del voto referendario. Le dichiarazioni rassicuranti di Draghi sul continuo lancio di scudo, denominato Q.E., a protezione dei titoli di Stato italiani e la mancata proroga di 15 giorni per la ricapitalizzazione bancaria chiesta dai vertici di MPS ne danno prova lampante. Sebbene i mercati stiano seguendo la crisi di governo italiana in maniera alquanto rilassata, la politicizzazione della politica monetaria della banca centrale europea prosegue, senza voler tenere conto dello scollamento che sta avvenendo nelle periferie d’Europa. Anzi, a volerla dire tutta, si sta andando ben oltre. Il nuovo governo del falco europeista Gentiloni (“bisogna cedere sovranità ad un Europa più unita e democratica”, ricordate?), che in teoria dovrebbe guidare la fase di transizione del Paese fino a nuove elezioni, garantendo gli interessi americani e tedeschi, sembrerebbe rispondere all’ala oltranzista d’oltreoceano, quella tanto per intenderci che fa capo ai clintoniani di ferro spalleggiati da Soros, che in questo momento, appoggiando la Germania, proseguono la loro infima guerra sotterranea contro Donald Trump. Il neo-presidente, infatti, sta mettendo in discussione non solo tutto l’agglomerato industrial-militare di stanza nel mondo intero, ma anche la costruzione del nuovo Air Force One e il budget per gli F35 della Lockehead Martin, imponendo il divieto per i responsabili acquisti delle Forze Armate a transitare al comparto privato, vero covo di interessi lobbistici.
E per questo che, come fosse proprio in assetto di guerra, Donald Trump ha delineato la sua squadra di governo , rispondendo a due esigenze primordiali: la prima, forse più imminente, quella di trincerarsi in difesa di un possibile attacco interno, mettendo due generali marines a capo della Difesa e del Pentagono, e poi, successivamente, quella di lungo respiro e di larga veduta, con la sorprendente nomina a Segretario di stato americano del numero uno di Exxon Mobil, il petroliere filorusso Tillerson. Con la nomina di quest’ultimo il neo presidente americano, Donald Trump sembra aver voluto dire al mondo intero che è nata la nuova Yalta, e che è disposto a farla finita con le guerre neocon, girando così le spalle alle lobby industriali-militari statunitense e schiacciando gli occhi agli affaristi della silicon valley.
Questo corso sembra non essere stato affatto compreso dal governo Italiano, che sembra non aver avvertito per niente la poderosa scossa tellurica avvenuta con il referendum costituzionale e la risposta compatta No del fronte sud. Non si è voluta prendere affatto in considerazione, non s’è voluto ascoltare nemmeno il tuono d’allarme che un simile risultato ha potuto significare sul terreno politico di lotta popolare.
Invece il neo primo ministro Gentiloni, spalleggiato dai clintoniani Renzi-Mattarella, proverà a mettersi di traverso andando contro il nuovo corso della storia, e spingerà il Paese verso un maggiore affrancamento ai poteri forti d’Europa. Sulla stesso strada troverà il vecchio collaborazionista-fiancheggiatore nonché Presidente della BCE, Mario Draghi e , attraverso il riconfermato Padoan, legheranno per sempre il Paese agli usurai della Troika, chiedendo (magari prima del 20 gennaio) l’aiuto del fondo salva stati (ESM) per salvare il Monte dei Paschi di Siena. Sarebbe il vero dramma, l’ultimo atto tragico che si consumerà in questo Paese: dopo aver contribuito con 60 miliardi al fondo salva stati, salvando le banche tedesche e francesi dal fallimento ora con 15 miliardi di euro (pari a un 1% di PIL), così facendo ci metteranno il cappio al collo e si decreterà la morte definitiva di questo Paese.
Questo governuccio che si prospetta all’orizzonte, scevro degli interessi nazionali, accomodante e servile al richiamo dei poteri forti (BCE, FMI, UE), si manterrà vivo gestendo miseramente il mercato nero degli schiavi salariati in competizione con la multiforme massa di immigrati, che sempre più invaderanno l’Europa.
Come sempre non si capiranno e non si fiuteranno le potenzialità geostrategiche che si palesano all’orizzonte, in un nuovo scenario che avrebbe potuto vedere l’Italia meglio posizionata sullo scacchiere internazionale, a difesa degli interessi nazionali e affrancandosi alle nuove e fruttuose alleanze che di volta in volta maturano sul campo. L’accordo energetico tra l’ Eni e il gigante Petrolifero russo Rosneft con la cessione del 30% di quote della concessione dell’offshore Zohr per lo sfruttamento della gigantesca riserva di metano in Egitto, nel cuore del mediterraneo, è un esempio eclatante. Il nuovo governo non potrà disconoscere a livello politico il ruolo centrale che d’ora in avanti Mosca dovrà tenere con Roma, soprattutto di fronte ai nuovi scenari economici, nonché alle dispute belliche (Libia, Egitto, Siria) che si definiranno pian piano su tutto il fronte sud del mediterraneo.
Ora diciamolo francamente: quant’è vicina Aleppo a l’Europa? La distanza appare ancora enorme. La prima finalmente liberata dai giustizieri islamici medievali, foraggiati dalle petrolmonarchie arabe, la seconda ancora chiusa nella morsa degli austro-monetaristi che già sono lì appostati a chiedere al nuovo governo la manovra correttiva lacrime e sangue. Le quinte colonne interne dopo il giuramento sono già operative a fungere da tagliagole, in nome e per conto di un popolo non più sovrano ma che ora ha girato loro le spalle. Forse sarebbe opportuno che il fronte del No rimanesse unito, compatto, si girasse e guardasse in avanti, in attesa di un prossimo segnale che possa rappresentare la svolta, il cambio di rotta in direzione di Aleppo.