di Mattia Tagliaferri, membro di segreteria del Partito Comunista | www.sinistra.ch
In un articolo dello scorso 30 novembre riflettevo su come la decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di fissare il cambio minimo Franco/Euro a 1,20 potesse essere comparata a un’entrata di fatto della Svizzera nell’Euro. Tale decisione equivale infatti a una sottoscrizione dei trattati di Maastricht del 1992, con i quali si è dato vita alla moneta unica europea: in essi si determinava infatti l’Euro quale valuta basata sulla fissazione della stessa con le varie monete nazionali. Certamente il cittadino svizzero non effettua le proprie compravendite quotidiane con la moneta dei nostri vicini di casa, ma visto le premesse, l’avere o meno l’Euro fisicamente tra le mani diventa una mera convenzione di comodità commerciale.
Non a caso con l’operazione portata avanti dalla BNS, il Paese è entrato nell’orbita d’influenza diretta della politica monetaria della Banca Centrale Europea (BCE), svuotando così la BNS della propria indipendenza. Invero va detto che l’operazione dell’istituto allora diretto da Hildebrand, è stato fatto più per le pressioni internazionali mosse dai principali centri economici – gli USA padroni del Dollaro e l’Euro capitanato dalla Germania – piuttosto che per i problemi dell’esportazione svizzera, come da tutti sbandierato. Va infatti ricordato che buona parte delle esportazioni nostrane sono composte da prodotti ad alto valore aggiunto, i quali sono difficilmente sostituibili su due piedi, perché non così facilmente reperibili altrove. In questo senso il Franco forte può sì creare dei problemi, ma sicuramente non così ingenti da giustificare una scelta come quella dell’ancoraggio della valuta nazionale con l’Euro, operazione che vede la fuoriuscita di ingenti liquidità per l’acquisto degli Euro necessari a colmare la differenza tra il cambio reale – di mercato – e quello fittizio, arbitrariamente deciso dalla BNS e dalla BCE. Parallelamente non dobbiamo dimenticare quanto forti siano state le pressioni internazionali dovute al rafforzamento del Franco che, divenuto un bene rifugio dal grande valore, stava togliendo molti spazi al Dollaro e all’Euro sul mercato finanziario internazionale. Non è infatti una casualità che i valori di queste due monete si siano alzati dopo la fissazione del cambio Franco/Euro. Da qui deriva l’accanimento sul segreto bancario, che come Partito Comunista ci vede da sempre avversi, a differenza di quei paesi che si sono mossi contro di esso, nonostante lo utilizzassero per trarne grandi benefici prima dello scoppio della crisi.
Una cosa è certa: l’attuale “ancoraggio” all’Euro non faciliterà le scelte per una politica di necessaria indipendenza monetaria e di equidistanza. La Svizzera dovrà così scegliere tra la ricchezza di pochi banchieri e il progressivo impoverimento dei restanti cittadini, o la fine del ruolo di “rifugio finanziario globale”, con tutte le conseguenze del caso. Proprio in questo contesto si inserisce lo scandalo che ha colpito Hildebrand, il quale somiglia sempre più a una vittima della guerra tra la lobby finanziaria – di cui Blocher, il promotore della vertenza, è tra i massimi esponenti – e quella dei filo europeisti. Ritengo meno credibile la possibilità che chi guadagna circa un milione di franchi l’anno, metta a repentaglio tutta la sua vita per “soli” 75’000 franchi.
Nel prossimo futuro UBS e Credit Suisse hanno probabilmente previsto un nuovo crack economico, come del resto fatto da molti analisti. Sono infatti tanti i fattori che potrebbero portare un aggravarsi dell’attuale stato di crisi: la spaccatura dell’Eurozona, ormai tema d’attualità e non più frutto di fervide immaginazioni, visto la politica economica tedesca e i piani di progressiva deindustrializzazione messi in atto dai governi tecnici italiano e greco; lo scoppio di una seconda Guerra Fredda, causata dalla perdita di potere geopolitico statunitense e dal conseguente avanzare dei paesi emergenti come la Cina (in questo senso la situazione mediorientale – siriana e iraniana in particolar modo – dovrebbero essere oggetto di attente riflessioni); dall’ulteriore indebolimento del Dollaro quale valuta di riferimento internazionale; infine, questa volta osservando la situazione svizzera, dal possibile scoppio di una bolla immobiliare a causa di un settore edile pesantemente drogato da un lungo periodo di tassi d’interesse eccezionalmente bassi. Di fronte a simili prospettive una banca come UBS non è certo ben messa, avendo a garanzia dei propri fondi – almeno in una buona parte – cartastraccia proveniente da Bank of America.
E’ ovvio che nell’ottica di un gigante bancario come UBS, un eventuale rischio di bancarotta debba essere sostenuto dallo Stato; un po’ come avvenuto nel 2008 con il finanziamento pubblico dei famosi 60 miliardi. Per la possibilità di UBS – e perché no, anche per Credit Suisse – di “collettivizzare” le proprie perdite, la figura di Hildebrand risultava alquanto scomoda per due problemi: da un lato le regolamentazioni più o meno strette volute dallo stesso Hildebrand nel tentativo di non più trovarsi con le mani legate di fronte a un cosiddetto “too big to fail”, dall’altro proprio la volontà di ancorare il Franco all’Euro. Entrambe questi elementi pongono gravi problemi a un eventuale necessità di finanziamento per le grandi banche: il primo a causa dei possibili vincoli legali; il secondo è determinato dal fatto che il tasso di cambio fisso costa alla BNS un mare di liquidità, che potrebbe essere quella che mancherà per i salvataggi futuri. Il tutto è aggravato dal fatto che Hildebrand fosse intenzionato ad alzare ulteriormente il tasso di cambio minimo Franco/Euro, trovando addirittura il sostegno dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), evidentemente consigliata da pessimi analisti.
L’aver eliminato dai giochi Hildebrand, permetterà probabilmente alla lobby delle banche di mettere un proprio uomo alla testa della BNS. Il portavoce delle grandi banche vorrà verosimilmente eliminare il vincolo di cambio con la BCE – o almeno non lo vorrà alzare – cosa che potrebbe portare grossi malumori non solo a Bruxelles, ma anche a Berlino e Washington. Naturalmente l’obiettivo è presumibilmente quello di poter avere i soldi per sostenere UBS, utilizzando la vecchia scusa del “too big to fail”.
Da un lato c’è il dato positivo del possibile stacco tra il Franco e l’Euro, dall’altro vi è però la problematica legata al fatto che i soldi non regalati all’UE, possano finire nelle casse di UBS e Credit Suisse. Ora è importante prendere coscienza dello scenario che si prospetta, e rivendicare un utilizzo pubblico e socialmente utile di queste valanghe di soldi: in cima all’ordine del giorno devono finire salari minimi; contratti collettivi vincolanti in ogni settore lavorativo; una cassa malati unica, pubblica e con i premi proporzionali al reddito; una riorganizzazione del sistema pensionistico, centrando il tutto sull’AVS, più socialmente sostenibile (con buona pace degli speculatori che gestiscono i fondi pensionistici); investimenti nell’istruzione a tutti i livelli, tornando a garantire mense, doposcuola, corsi di recupero, borse di studio, ecc.